Le radici di Antonio Vivaldi. I Virtuosi Italiani alla Chiesa della Pietà a Venezia

Nella ricca offerta artistica che Venezia come sempre propone, oltre alla Biennale, alla Mostra del Cinema, e alla Fenice, il turista più raffinato non può fare a meno di godere dei meravigliosi concerti dei Virtuosi Italiani, che quasi ogni sera si celebrano nell’elegante cornice acustica della Chiesa della Pietà.
Entrando in uno dei più armoniosi ed eleganti ambienti sacri della Venezia settecentesca, la consapevolezza di essere nella “Chiesa di Vivaldi” arricchisce di emozione l’evento. Chiudendo gli occhi, infatti, non è difficile immaginare di vedere le c.d. “putte” vivaldiane, o figlie di Choro, nome veneziano attribuito alle orfane che venivano ospitate nell’attiguo Ospedale della Pietà, e che qui si esibivano durante la messa nei cori delimitati dalle grate ancor oggi conservate.
La maggior parte della produzione artistica vivaldiana fu, infatti, destinata alle giovani fanciulle dell’Ospedale della Pietà, uno dei quattro conservatori al quale Vivaldi fu legato con diversi incarichi dal 1703 al 1740. La maggior parte di queste partiture furono probabilmente concepite dal Prete Rosso proprio come veri e propri studi orchestrali, per affinare la preparazione tecnica individuale delle sue allieve mediante l’esecuzione collettiva.
L’ensemble dei Virtuosi Italiani, attivo dalla fine degli anni ’80 e qui diretto maestro Carlo Menozzi, attinge alla sterminata produzione vivaldiana e propone un programma raffinato.  L’apertura è affidata al Canone per archi e basso continuo in re maggiore di Pachelbel, che il compositore tedesco scrisse inizialmente come parte di una pièce di musica da camera per tre violini e basso continuo, per poi riarrangiarlo fino a raggiungere la forma di brano orchestrale. L’attacco del violoncello di Gionata Brunelli infonde nella sala un’atmosfera di pura magia e la ripresa delle variazioni dei violini esprime con eloquenza il livello di coesione stilistica e affiatamento artistico tra i componenti del gruppo.
La serata prosegue con il Concerto per archi e cembalo in la maggiore F XI n. 4, nel quale il Veneziano risolse la mancanza di una parte solistica (e, quindi, di un’accattivante alternanza di registri) agendo sul piano strutturale – con ritornelli di materiale tematico nuovo collocati tra gli intermezzi – oppure intervenendo sul piano stilistico, alternando la scrittura contrappuntistico-imitativa del linguaggio sonatistico al linguaggio più sinfonico melodico. Gli interventi alternati dei singoli archi sono scorrevoli ed esaltano le varie sfaccettature della scrittura, come si confà alla migliore tradizione violinistica italiana.
E’ quindi la volta del Concerto per violino, archi e basso continuo in sol maggiore Op. 3III. N. 3 RV 310, composto nel 1711 dove l’effort compositivo di Vivaldi si concentra sulla sfolgorante sonorità affidata al violino solo, come emerge chiaramente dall’Allegro iniziale. La parte solistica viene eseguita con disinvoltura dal maestro di concerto Carlo Menozzi, che riesce a levigare ogni suono caratterizzandolo con sonorità ben calibrate, pur senza tuttavia sfoggiare quel nerbo virtuosistico e quello scatto tipicamente vivaldiano che ci si aspetta.
Il momento clou della serata è, com’era intuibile, l’esecuzione delle Quattro Stagioni, in cui la camaleontica tessitura vivaldiana viene resa dall’ensemble con vivida immedesimazione interpretativa, pulizia di suono ed eleganza del legato. Il raffinato lavoro di cesello dei Virtuosi trova terreno d’elezione nel secondo concerto (l’Estate), dove lo sfogo tematico vivaldiano e l’elaborazione contrappuntistica vengono resi con perizia stilistica e contrasti di rilievo.
E’ con l’Inverno, però, che si ha quell’impressione, rara, di ascoltare un brano così celebre come se fosse la prima volta. Non c’è patetico sfoggio di sentimentalismo o sfrontata teatralità barocca, ma una sobria gradazione delle agilità, un fraseggio elegante sorretto da agogiche e dinamiche calibrate all’insegna del buon gusto.  Unico neo la scelta dei tempi, forse troppo spediti nel celebre Largo e, forse, proporzionalmente troppo dilatati nel terzo movimento. Licenza poetica o condivisibile scelta stilistica? Ai posteri l’ardua sentenza.
A fine serata, scroscianti applausi da parte di un pubblico emozionalmente avvinto dalla meravigliosa atmosfera creata dai Virtuosi. Un concerto di sostanza e un complesso orchestrale in stato di grazia.

Pietro Gandetto 

(Venezia, 1°settembre 2017)

La locandina

I Virtuosi Italiani
Maestro di concerto al violino Carlo Menozzi
Programma
   
Johann Pachelbel
Canone per archi e basso continuo in re maggiore
Antonio Vivaldi
Concerto per archi e cembalo in la maggiore F XI n. 4
Concerto per violino, archi e basso continuo in sol maggiore Op. 3III. N. 3 RV 31
Le Quatto Stagioni da “Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione” op-VIII

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