Lecce: souvenir dalla 6° edizione di Classiche Forme

Nella fantasia che caratterizza ogni anno la compilazione dei programmi del festival Classiche Forme, la sua direttrice artistica Beatrice Rana, talentuosa pianista salentina, sceglie per la serata di chiusura della 6° edizione una raccolta di souvenir musicali. «Questa settimana di concerti è passata velocissima – spiega lei stessa all’inizio della serata rivolgendosi al pubblico che riempie il Chiostro del Rettorato dell’Università – e siamo già arrivati all’ultimo giorno. Dopo un bel viaggio si cercano sempre dei souvenir, abbiamo quindi deciso di sollevarvi da questa fatica e ve li facciamo ascoltare, così che li possiate portare con voi da domani in poi».

Sotto il titolo di “souvenir” va dunque in scena l’ultimo atto di un festival che risplende dei colori intensi della Puglia, caratterizzato da artisti giovani, formazioni variegate, repertori ricercati e programmi inusuali. La prima parte della serata è all’insegna dell’intimità, proponendo tre opere accomunate da un senso di quiete, dove la cartolina è già nostalgico ricordo, pensiero riflessivo, notturno silenzioso. Apre una piacevolissima pagina d’occasione scritta dal compositore ceco František Drdla, Souvenir in puro stile alte Wien, quasi un lento navigare sul Danubio dove sulle placide e scure onde del pianoforte (qui Massimo Spada) si specchia una luminosa falce di luna, impersonata dal violino di Amaury Coeytaux (Quartetto Modigliani), suono di puro argento.

Si prosegue con il tema più intimo e delicato che esista nel repertorio a quattro mani, la Fantasia di Schubert. La cosa più difficile di quest’opera, articolata e impegnativa nella sua ricorsività, è la scelta del tempo. Una questione di quelle irrisolte, che appassiona e divide, e che mette alla prova qualsiasi pianista, perché nelle prime quattro battute si gioca la costruzione di una architettura complessa che troverà il suo equilibrio dopo venti minuti (assai più dilatati nella percezione) di peregrinare senza soluzione di continuità. Il problema sta nei due temi in fa minore del primo movimento (Allegro molto moderato) che ritornano anche nell’ultimo movimento (Tempo Primo), dove il secondo tema si trasforma in un fugato, e nel loro rapporto con il secondo movimento (Largo). L’incipit della Fantasia diventa un sogno quando si riesce a suonare veramente molto lento e veramente molto piano, ma se si prende questa scelta coraggiosa, quando si presenta il secondo tema, più ritmico e sonoro, l’eccessiva lentezza lo può sgretolare, rendendo la sua ricomparsa nel fugato veramente difficile da sostenere, con il rischio di una eccessiva pesantezza. E come affrontare il Largo, avendo già sfoderato una calma serafica in un “molto moderato” che però sarebbe un Allegro, senza rischiare di far arenare la nostra barca? Il duo formato da Beatrice Rana e Massimo Spada opta per una scelta binaria, dando all’incipit dell’opera quel tempo quieto che lo rende onirico, e spingendo invece l’andamento in quelle parti dove l’acqua si increspa creando dei mulinelli poco rassicuranti, scegliendo così il tempo più adatto a seconda della scrittura. Scelta interpretativa che regala a Schubert un attacco ultraterreno, di quelli da ricordare come prezioso souvenir della serata, ma che rende poi l’ascolto delle pagine seguenti più movimentato di quello che ti aspetti. Proseguendo, l’Allegro vivace risulta un po’ compresso, nella velocità come nella durezza di suono, mentre il Trio (Con delicatezza) piace per la sua aura cristallina. Il gran finale respira invece la giusta grandiosità. Ancora una volta è, purtroppo, la scelta del luogo all’aperto a intromettersi nel rapimento dell’ascolto, mangiandosi l’ampiezza sonora delle ultime pagine e l’infinitezza dell’ultimo lungo accordo in piano, contrappeso necessario a chiudere quest’opera pianistica monumentale, che si perde nella percezione del luogo.

Il terzo brano nella scaletta è l’opera commissionata dal festival Classiche Forme a Fabio Massimo Capogrosso, Souvenir da uno sguardo alla Luna da un caleidoscopio per pianoforte a quattro mani, presentato in prima esecuzione dagli stessi Rana e Spada. Il compositore italiano, classe 1984, il cui ultimo riconoscimento in ordine di tempo è la firma della colonna sonora per la serie su Aldo Moro presentata a Cannes (“Esterno notte” del regista Marco Bellocchio), spiega della sua opera: «Quando mi è stata proposta la commissione da Beatrice Rana lo scorso febbraio ho scelto di scrivere un brano per duo pianistico, il primo per questa formazione, mentre avevo già sperimentato la composizione per questo strumento. Quale luogo geografico per il mio souvenir musicale ho scelto la luna, che mi accompagna da tempo come fonte di ispirazione, ma in realtà l’idea era di scrivere un pezzo di carattere intimo dedicato a loro due, che sono coppia non solo nella musica ma anche nella vita. Ho pensato ad un brano che potessero eseguire con una grande libertà. Anche se tutto è scritto, poiché solitamente sono molto chiaro sulla partitura, l’esecuzione si presta a molteplici possibilità di interpretazione, come la gestione dei tempi e delle pause. Mi piaceva che loro potessero gestire l’esecuzione, dare un loro senso al mio pezzo». Ne esce una pagina dalle dimensioni contenute e dall’aura notturna, costruita non tanto su temi melodici quanto su ritmi ripetitivi che formano un tappeto ipnotico, affidati al secondo pianista nel registro basso (Spada), e fasci di colori dati da ricercatezze timbriche, nelle mani del primo pianista che fluttuano nei registri acuti (Rana). All’inizio sono lampi di luce, creati dagli arpeggi strappati che ricordano subito la caduta dei cristalli che si vedono nell’ottica del caleidoscopio, poi sono note singole, lunghe, solitarie. «La parte affidata a Massimo Spada – precisa il compositore – è caratterizzata da un tempo cadenzato, così percepito anche se la scrittura è in realtà poliritmica, mentre quella di Beatrice Rana è una parte più libera, che consiste in scie luminose. C’è un’unica parte, centrale, in cui esce un tema. Essendo lei una virtuosa straordinaria, scriverle una parte virtuosistica era una scelta quasi scontata, invece mi piaceva darle poche note, quelle che solo una grande pianista può eseguire in maniera profonda». Nel brano di Capogrosso c’è spazio anche per un momento coreografico, quando nella pagina finale, dopo un veloce intervento sulla cordiera per renderlo un pianoforte preparato, i due esecutori uniscono le mani vicine per suonare con gesto ampio e comune quasi dei silenziosi rintocchi. La musica contemporanea necessita della dimensione visiva? «Dipende da brano a brano – spiega Capogrosso – qui era una scelta voluta. Nel momento finale, dopo essersi cercati, i due pianisti fanno la stessa nota, con un gesto ampio. C’è anche in altri brani che ho scritto, come per esempio “La maschera della morte rossa” dedicato al Sestetto Stradivari dell’Accademia di Santa Cecilia, dove c’è un momento in cui i due violoncelli e la seconda viola simulano questo orologio d’ebano che scocca la mezzanotte, che ho chiesto di realizzare con gesti ampi». L’amore per la luna non diventerà a breve un’antologia dedicata all’argenteo satellite, sorride il compositore alla nostra domanda, per il momento le sue attenzioni si rivolgono all’orchestra, il posto in cui si sente più a suo agio.

Nella seconda parte della serata cambia il registro, dalla nostalgia alla gioia, dalla quiete al turbine sonoro che pervade l’ampio Souvenir de Florence Op. 70 di Čajkovskij. Il Quartetto Modigliani sale sul palcoscenico assieme al violista Georgy Kovalev e alla violoncellista Ludovica Rana, e in sei fanno brillare le luminarie dello sfondo in una cavalcata che attraversa con energia i quattro movimenti dell’opera. Aldilà dei suoni perfetti che escono dagli strumenti del quartetto francese, ciò che pervade l’esecuzione regalando un ascolto convincente ed avvincente è la familiare sicurezza con cui conducono l’opera, a dimostrazione di un profondo lavoro di anni su queste pagine tra studio, ricerca, esibizioni ed incisione assieme alle parti del Quartetto Hagen. E la gioia del turista russo Čajkovskij nella vacanza toscana risuona nella bianca Lecce, regalando veramente un souvenir che descrive al meglio l’essenza di questo giovane festival.

Monique Cìola
(23 luglio 2022)

La locandina

Quartetto Modigliani
(Amaury Coeytaux e Loic Rio violini, Laurent Marfaing viola, François Kieffer violoncello)
Viola Georgy Kovalev
Violoncello Ludovica Rana
Pianoforte Beatrice Rana e Massimo Spada
Programma:
František Drdla
Souvenir per violino e pianoforte
Franz Schubert
Fantasia in fa minore per pianoforte a quattro mani, Op. 103, D. 940
Fabio Massimo Capogrosso
Souvenir da uno sguardo alla Luna da un caleidoscopio per pianoforte a quattro mani
Commissione d’opera per ClassicheFORME 2022
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Souvenir de Florence Op. 70

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