Lidia Bramani: Mozart, Figaro e non solo
Dopo i successi dei libri «Mozart massone e rivoluzionario» (2005), «E Susanna non vien. Amore e sesso in Mozart» (con L. Bentivoglio, 2014), Lidia Bramani, musicologa che non ha certo bisogno di presentazioni, dà vita a un nuovo volume: «Le nozze di Figaro. Mozart massone e illuminista» edito da ilSaggiatore e presto in tutte le migliori librerie.
Lidia Bramani, in questo poderoso saggio non solo affronta la prima delle tre opere della trilogia ma sviscera il contesto storico, sociale, politico, culturale, artistico e religioso in cui Mozart ha dato vita a uno dei suoi più importanti capolavori.
Le Salon Musical ha voluto incontrare l’autrice per introdurci alla lettura di questo suo nuovo avvincente lavoro.
- Lidia, sulla figura di Mozart uomo e musicista si è scritto tutto e il contrario di tutto, addirittura si potrebbe pensare superflua una nuova pubblicazione, eppure ogni volta che si mette mano a questo autore emergono spunti di riflessione inesplorati. Dai tuoi studi musicali e musicologici che idea ti sei fatta del genio di Salisburgo?
È vero, è stato scritto moltissimo, come è naturale che sia trattandosi di un gigante della cultura europea. Ma è relativamente recente il tentativo di penetrare la densa sedimentazione di leggende, falsi miti e distorsioni che si è accumulata sulla sua figura, per svelarne la vera natura, il vero portato artistico e storico. Ho voluto affrontare un’opera emblematica mettendo in stretta relazione da un lato la musica e la drammaturgia dall’altro il pensiero individuale e storico da cui entrambe scaturiscono. L’ho fatto perché volevo raccontare, scandagliare, e documentare il fitto intreccio di nessi, conoscenze, letture, prassi, viaggi, amicizie che forgiarono la mente – anche musicale, sì, la mente è una sola – di Mozart. Rendendolo il compositore che ha tracciato una via, che ci ha regalato splendori assoluti, pienamente consapevole delle tensioni scientifiche, psicologiche, politiche, morali del suo tempo. E c’è da aggiungere che fu un musicista in grado non solo di metabolizzare lo spirito illuminista di cui si era nutrito fin da bambino, ma anche di dare a questa straordinaria ondata ideale e creativa un apporto sostanziale, contribuendo a renderla tale.
Ho cominciato a occuparmi di Mozart quando lavoravo al Così fan tutte con Abbado, che voleva ripensare il testo di Da Ponte perché secondo lui racchiudeva un messaggio ben più prezioso, complesso e ardito di quanto sembrasse, come la musica indicava senza ombra di dubbio. E naturalmente aveva ragione. Il fatto poi che il tema della condanna verso chi mette alla prova la fedeltà della propria donna fosse di chiara e inequivocabile matrice ariostesca, richiedeva un diverso sguardo rispetto ai luoghi comuni della musicologia. Ed era particolarmente elettrizzante scoprirlo lì, a Ferrara, dove Abbado la doveva allestire con la regia di Martone, nella città amatissima dall’Ariosto, che vi studiò e vi dimorò a lungo. Di certo non si poteva capire il senso del Così fan tutte, con tutte le implicazioni legate alla rivendicazione di uno stato di natura che coinvolgeva anche la sessualità, per di più femminile, senza ricollegarlo all’universo mozartiano, intorno a quel fatidico 1789 in cui vide la luce il terzo tassello della trilogia dapontiana.
Da lì ha avuto origine la mia attrazione totalizzante per Mozart, all’inseguimento delle molte tracce da lui lasciate, a dirci quanto l’Ottocento fosse ormai impreparato, seguito a ruota dal Novecento, a comprenderne l’energia, la coscienza, il talento prodigioso, tanto sfaccettato e complesso quanto fondante e comunicativo. Il che spiega il rimbalzo, da un testo critico all’altro, di sclerotizzati approcci al suo pensiero. Mozart era ormai stato ingessato nell’icona del genio baciato dall’ispirazione divina benché infantile, sboccato, sventato, indifferente ai terremoti etici della sua epoca. Niente di più falso. Ed è ben poco utile riconoscere nella sua opera, quasi riflesso involontario di una contingenza temporale, qualche tassello riconducibile alla corrente illuministica. Bisogna risalire alle fonti, al contesto, alle influenze che ne modellarono la scrittura. Non alle suggestioni che erano nell’aria quando componeva, ma ai valori da cui attingeva e a cui guardava componendo. Non fu influenzato dall’illuminismo, ma lo rappresentò e lo espresse nella forma più alta.
- Qual è stato il motivo che ti ha spinto ad approfondire Le nozze di Figaro?
Nel mio “Mozart massone e rivoluzionario” avevo messo in relazione le radici culturali di questo incredibile enfant prodige, cresciuto in un ambiente famigliare aperto, colto ed evoluto, con la maturazione individuale, artistica ed esistenziale successiva alla sua iniziazione, avvenuta nel dicembre del 1784. Qui ho invece pensato di approfondire ulteriormente il rapporto tra ciò che il compositore divenne nella capitale austriaca, dove si trasferì dal 1781, e il suo teatro. E non potevo che partire dalle Nozze di Figaro (1786), perché scritte nel momento di massima espansione dell’illuminismo a Vienna, quando Mozart s’inserì con entusiasmo nella cerchia dei riformatori sostenuti da Giuseppe II. Così sono scesa nel dettaglio analizzando Le nozze di Figaro attraverso continui richiami al serbatoio ideale da cui sgorgava. Nella prima parte del libro (Mozart illuminato ovvero Il pensiero che diede alla luce Le nozze di Figaro) descrivo gli straordinari legami che si erano instaurati tra alcune personalità di spicco nell’Europa dell’epoca, al cui centro si trovava Mozart. Nella seconda parte (Le Nozze illuminate ovvero Il pensiero di Mozart nelle Nozze di Figaro) riconduco la partitura, con le sue parole e la sua musica, alle ascendenze, alle matrici, alle provenienze che ho precedentemente documentato. Quasi si trattasse di un volume doppio, speculare. Se lo faccio in modo non criptico, rivolgendomi agli appassionati, a chi ama e conosce l’opera o a chi desidera conoscerla meglio, in nota riporto l’indagine più tecnica e dettagliata, formale, tematica, armonica, che costituisce in realtà la base del mio approccio. Non si può capire la forza espressiva di certe arditezze armoniche se non alla luce dell’interpretazione che Mozart vuole darci del testo di Beaumarchais ripensato insieme a Da Ponte. Non dobbiamo dimenticarci del suo ruolo attivo sul libretto. Ricordiamoci che fu Mozart a scegliere Le Mariage de Figaro, la commedia che stava furoreggiando in Europa per il suo contenuto rivoluzionario e di cui possedeva una traduzione tedesca, dove due servi e una moglie bistrattata hanno la meglio su un padrone e marito prevaricatore e ipocrita.
- Che importanza ha quest’opera all’interno della produzione mozartiana e ancor più nel panorama del melodramma europeo?
Nelle Nozze di Figaro Mozart raccoglie ciò che ha già seminato in Idomeneo (1781) e nel Ratto dal serraglio (1782). Aveva quattordici anni quando comunicava alla sorella, da Bologna, di avere letto la prima parte del Télémaque di Fénelon, e di apprestarsi ad affrontarne la seconda, costituita come la precedente da dodici libri, per un totale di ventiquattro! È proprio in quell’imponente romanzo pedagogico – pubblicato nel 1699 all’insaputa dell’autore e considerato vessillo ante litteram del progressismo illuminista – che Idomeneo si fa portavoce degli ideali di pace e tolleranza che saranno cuore dell’opera mozartiana dedicata al mitico re di Creta. Sempre in Italia, Mozart si era dilettato con Le mille e una notte avvicinandosi all’Islam, come avverrà nel Ratto dal serraglio, con lo sguardo aperto e multiculturale che continuerà a coltivare in quanto illuminista e massone.
E poi Le nozze di Figaro (1786) si collocano a metà del decennio viennese di Mozart (1781-1791) quando, all’apice del fervore culturale cittadino, si accostava, con grande coerenza e nel solco dei suoi ideali, a testi arditi e originali. Nel frattempo frequentava assiduamente le logge, i personaggi di primo piano del mondo giornalistico, giuridico, pedagogico, filosofico, nonché i salotti progressisti che sostenevano le riforme del Kaiser. Dopo Nozze, quello slancio dovrà fare i conti con le resistenze conservatrici alla politica egualitaria di Giuseppe II, molto amato da Mozart, e di lì a poco con i contraccolpi causati dalla Rivoluzione Francese.
Nozze è la prima opera della trilogia dapontiana, e pone le basi per la nuova arcata che scaricherà la sua tensione sul dittico Zauberflöte – Clemenza di Tito (1791): testamento di una visione etica che il corso politico stava minando, ma continuerà a vivere nel suo teatro. Progetto etico che sicuramente reggeva l’iniziativa, sua e dell’amico e Fratello clarinettista Anton Stadler, di fondare una loggia dal nome “Grotta”.
E Nozze si colloca al centro della sua produzione viennese operistica, strumentale e liederistica. Ci sono affinità e richiami con altri lavori scritti in quello stesso periodo. Mozart raccoglie, elabora, rilancia, porta alle estreme conseguenze espressive anche temi, stilemi, forme, spunti dei suoi colleghi compositori, in primis Paisiello. L’opera è ricolma di allusioni, citazioni narrative o tematiche, armoniche o formali, e anche estetiche, da brani od opere di altri autori. Sono evocazioni, giochi, rimandi che sviluppa ogni volta in modo personale, inimitabile, altissimo.
Il melodramma successivo poggerà sulla scrittura drammaturgica di Mozart, rivolta all’introspezione psicologica e alla rappresentazione di aspirazioni sociali.
- Se si parla di massoneria si pensa subito a Die Zauberflöte, ma dal tuo libro si apprende che lo spirito massonico era presente già nei primi lavori mozartiani così come coesiste nelle Nozze di Figaro una visione molto ampia non solo sull’associazione massonica ma anche su molte professioni religiose. Ci puoi dire qualcosa al riguardo?
Mozart ebbe contatti con personalità di area massonica molto prima di diventarne membro. Con alcuni di loro collaborò anche sul piano artistico. Ma certo è a Vienna che si cala in quell’universo ideale, se ne appassiona, coinvolgendo perfino il padre in visita da lui. E’ singolare che in uno dei libri della sua biblioteca, il romanzo filosofico Faustin (1783) dell’amico e Fratello di loggia Johann Pezzl, il protagonista – un’anima bella volterriana, illuminista e tollerante – dopo aver constatato, in un pellegrinaggio europeo e americano, l’intolleranza di ogni religione verso le altre, decida di trasferirsi a Vienna, come Mozart e come lo stesso autore, perché vi regnava Giuseppe II. Da notare che il vero eroe, la guida morale di Faustin, è un cattolico, un religioso difensore della libertà. Superstizioni, ingiustizie, pregiudizi, perbenismi, ipocrisie – tra cui la schiavitù, la prassi della castrazione dei cantanti, la denuncia dell’atteggiamento prevenuto verso l’Islam, l’ottusità censoria della Chiesa romana – sono vinte, secondo Pezzl, da Federico II di Prussia e, soprattutto, da Giuseppe II. Il nuovo corso europeo è segnato dalla speranza grazie al cattolico imperatore asburgico che aveva ordinato la chiusura delle parrocchie non dedite all’attività sociale di tipo educativo, assistenziale, ospedaliero verso le classi povere, e al quale erano legati i massoni delle logge frequentate da Mozart. Logge che erano diventate veri e propri centri di sostegno della politica imperiale, e nelle quali il compositore si trovò fianco a fianco con le punte di diamante dei vari campi del sapere. Spesso si trattava di suoi sostenitori, come Josef Sonnenfels, che lottò per l’abolizione della tortura e della pena di morte creando le premesse per il primo codice giuridico egualitario, base e monumento del garantismo occidentale.
Nella prima parte del libro ricostruisco, e documento in nota, questa straordinaria griglia ideale, scientifica, artistica che, con Mozart al centro, coinvolge la nascente psicologia, gli albori dell’illuminismo di area austriaca e tedesca, la Naturphilosophie con la sua ribellione all’artificiosità del potere, la fiducia in uno stato laico volto a ridurre sopraffazioni e soprusi consentendo la libera professione di fede a cattolici, anglicani, protestanti. Emancipando per la prima volta, almeno in parte, anche gli ebrei. Di questa trama densa e creativamente avviluppata le logge massoniche erano la fucina centrale, che forgiava a tempo pieno libelli, giornali, pubblicazioni, organizzando incontri, riunioni, concerti e raccogliendo fondi per i più deboli della scala sociale. Il lato esoterico interessava solo simbolicamente Mozart e i suoi Fratelli, mentre era l’aspetto scientifico, artistico, politico, etico, spirituale e filantropico ad appassionarli. Le Nozze di Figaro, che analizzo nella seconda parte del libro, ne rappresentano il manifesto compiuto. Per capirlo bisogna leggerle come l’esito delle idee cui Mozart si abbeverava, dall’individuazione del testo fino alle trasformazioni apportate con Da Ponte, in sinergia perfetta. Senza ricorrere astrattamente a modelli dell’epoca, di cui può esserci riverbero indiretto, ma riconoscendone invece le radici nei libri di Mozart, nei lavori dei suoi amici e Fratelli scienziati, filosofi, nei suoi collaboratori, nelle sue dichiarazioni, nelle sue scelte. Si scopre così come il pensiero che alimenta Le nozze di Figaro sia costituito da ambiti che gli studiosi dei vari settori stanno rivalutando e ponendo in una nuova luce, come l’opera del filosofo ebreo Moses Mendelssohn, nonno di Felix, vessillo d’ideali che oggi più che mai perseguiamo; frutto del mondo illuministico tedesco ed europeo, filtrato da quello viennese e dalla cultura mozartiana negli anni Ottanta.
- Mozart, nella sua produzione teatrale, esplora con estrema sensibilità la psiche femminile, universo sfaccettato nella drammaturgia delle Nozze. Qual è la tua prospettiva, soprattutto dal punto di vista musicale?
Ecco, qui si entra a gamba tesa nel cuore del mio lavoro. L’interpretazione delle Nozze di Figaro, nella seconda parte del libro, si fonda tanto sulle radici culturali di Mozart quanto sull’analisi musicale, di cui racconto gli aspetti più universalmente accessibili a un pubblico di appassionati o di interessati. Ma, e a questo tengo molto, è nelle note che si trova la base, con l’indagine delle scelte formali, drammaturgiche, strumentali, tematiche, timbriche, vocali, armoniche della scrittura mozartiana. Possono non essere neppure guardate, perché la mia narrazione è autonoma, ma costituiscono le fondamenta sotterranee, a disposizione degli interpreti, degli studiosi, dei musicisti.
Perché sento il bisogno di questa premessa per spiegare l’importanza della prospettiva femminile nelle Nozze di Figaro? Perché con l’editore si è deciso di estrapolare quattro tematiche fondanti, nella cui ottica affrontare alcuni, molti, numeri emblematici dell’opera. Oltre all’assunto politico legato al Mariage de Figaro di Beaumarchais, alla Naturphilosophie che permea la partitura, alla libertà erotica che non significa libertinismo, è proprio l’angolazione femminile a scorrere come un filone aureo nella partitura. Anche nella pièce originale la rivendicazione dei diritti femminili era centrale. Mozart e Da Ponte non la attenuano affatto, bensì l’amplificano, il che vale anche per gli altri argomenti scottanti. Eppure non lo si può capire appieno senza la lente d’ingrandimento sulla sua scrittura: dal ruolo musicalmente trainante di Susanna e della Contessa alle armonie sofisticate che sottolineano i loro comportamenti più coinvolgenti, alti e stimabili, dai colori che definiscono le differenti generazioni femminili alla loro decisionalità drammaturgica, formale, tematica. Al punto che Mozart anticipa nella cavatina Porgi amor qualche ristoro un motivo che assocerà a Pamina nel Flauto Magico. E che dire del Capro e la capretta di Marcellina? Se Beaumarchais aveva reso la vecchia governante vessillo del femminismo – sì, chiamiamolo così, perché erano gli anni delle prime, vere, forti, battaglie delle donne – Mozart la innalza ancor più. Le toglie l’arringa che aveva fatto scalpore, è vero, perché non poteva certo renderla teatrale. Ma le dedica un’aria, formalmente articolata e varia, armonicamente originale, dal barocco sapore händeliano, di cui non v’è traccia in Beaumarchais, scegliendo con Da Ponte il quinto canto dell’Orlando furioso di Ariosto. Senza a nulla rinunciare delle sue raffinate e ardite armi musicali, per costruire un messaggio finissimo sulle parole-chiave “libertà” e “crudeltà”. Un canto che andrebbe studiato in tutte le scuole di ogni ordine e grado perché si scaglia contro il femminicidio.
Ma naturalmente è solo un esempio. Il femminile e il femminismo innervano l’opera. Per sfociare nel sublime Finale, dove il perdono viene chiesto dal basso, dal Conte, e cala dall’alto, da colei che risparmia l’amato nemico, il marito-tiranno, dopo averlo combattuto come una vera condottiera. Non sono casuali né i rapporti paritari di Mozart con la sorella, la moglie, le musiciste, né la presenza di Percy (1775) dell’antischiavista Hannah More tra i volumi della sua biblioteca. Tragedia attraversata da una forte denuncia del potere patriarcale, e della violenza maschile che dalle mura domestiche si espande alle guerre di religione, con una netta condanna delle Crociate. La prospettiva femminile è dunque insita in quella politica, con ancora più slancio rispetto a Beaumarchais, e come siano entrambi capillari lo chiarisce il puzzle complessivo dell’intera opera, che affronto nella più ampia versione sul web.
- Quindi il tuo non è solo un libro cartaceo, ma c’è anche una parte on line? In che cosa consiste esattamente?
Alla fine dell’Introduzione è indicata una password, con la quale si accede alla sezione on line, che è anch’essa inscindibile dalla prima parte del libro. Non consiste solo nei numeri scelti e ricondotti ad alcune tematiche portanti come nella seconda parte del volume cartaceo, ma analizza tutta la partitura delle Nozze di Figaro, numero per numero, sempre con lo stesso stretto riferimento al contesto, alle opere contemporanee, di Mozart e non solo, e riportando in nota l’analisi battuta per battuta.
- Cherubino, confesso, è da sempre il mio personaggio preferito al quale Mozart dedica due pagine prodigiose e in cui è racchiuso un mondo di sentimenti, contrasti, pathos ed erotismo. Tu cosa ne pensi?
Cherubino dà voce ai diritti dei giovanissimi, all’autoerotismo e all’erotismo in tutte le sue forme, eterosessuale, omosessuale, bisessuale, transgender. Era già così in Beaumarchais, che fu assai vicino a quel Cavalier d’Eon, uomo travestitosi da donna e creduto tale, da cui nacque il termine eonismo e che Voltaire designò come l’esempio che i posteri avrebbero portato a conferma dell’evoluzione dei costumi cui il Settecento era pervenuto. Il suo personaggio è sospeso tra punto di vista maschile, femminile, naturalistico, psicologico. Riassume gran parte di quelle tensioni ideali che descrivo nella prima parte del libro, magnetizzandole, per utilizzare un termine di Mesmer, il medico amico di Mozart che ha aperto la strada alla medicina psicosomatica e alla psicologia dinamica. E analizzo – in modo più descrittivo nel testo, più dettagliato e specifico nelle note – le simbiosi musicali tra le sue arie e quelle della Contessa. Quasi fosse un concentrato delle rivendicazioni di eros rispetto a convenzioni, luoghi comuni, imposizioni, istituzioni. Il tutto in chiave libertaria, ripeto, non libertina. Eppure così suggestiva, languida, suadente, con i suoi retaggi stilnovistici resi moderni da una sensualità raffinatissima, che il ragazzino porta con sé guidando la drammaturgia, quasi spargendo semi amorosi come il Puck di Shakespeare, l’autore prediletto da Mozart, come sappiamo dalla moglie Constanze.
- Cosa rappresenta per te, donna contemporanea, «Le nozze di figaro» e cosa può significare oggi un’opera concepita nello spirito della Rivoluzione francese?
Per me rappresenta il punto da cui dovremmo ricominciare: l’uguaglianza di genere, di generazione, di condizione. Ma attenzione, si tratta di valori che derivano da un terreno solo in parte comune a quello che produsse la Rivoluzione Francese. I massoni vicini a Mozart erano radicali negli obiettivi, ma pensavano, con Giuseppe II, che non sarebbe stato più facile o più rapido raggiungerli tagliando teste, seminando il terrore. La loro filosofia si fondava sulla necessità di diffondere e condividere arte, cultura, educazione; di creare una legge scritta uguale per tutti; di contestare, per dirla con Beaumarchais, non le classi sociali ma i loro abusi. Tant’è che nella Vienna mozartiana si ottennero risultati superiori a quelli conseguiti da una Rivoluzione che, nello scontrarsi col reale, rinnegò e contraddisse gran parte dei presupposti condivisi dagli illuministi e massoni viennesi: l’istruzione primaria obbligatoria per maschi e femmine, la libertà religiosa, la sanità pubblica, un codice penale garantista ed egualitario, una tassazione proporzionale al reddito.
Quando il protosocialista Franz Heinrich Ziegenhagen manderà la sua Dottrina della Giusta Armonia – un libello politico cooperativistico, egualitarista, pacifista, addirittura antispecista – alla Convenzione Nazionale parigina, non riceverà risposta. Perché ripudiava qualsiasi forma di violenza. Mozart musicherà, nella KV619, un frammento di questo testo, scritto da una persona che spese tutto ciò che aveva per creare un’industria con quote partecipative e assistenziali.
Per me significa ripartire da una donna, la Contessa, che sa vincere con il perdono non con l’assoggettamento, con l’amore e l’intelligenza non con l’astuzia, che sa essere vera amica, confidente, sodale di una serva, come ancor oggi non succede – quasi mai – nella realtà. E molto altro, naturalmente…
Grazie Lidia per il tuo prezioso e appassionato contributo. Non ci resta che precipitarci ad acquistarlo appena le librerie riapriranno!
Gian Francesco Amoroso
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