Lo Sheliak, trio “stellare”
L’8 dicembre scorso abbiamo avuto il privilegio di ascoltare dal vivo il Trio Sheliak in occasione di uno dei Concerti in atelier dell’associazione “Piero Farulli”. Il programma offerto comprendeva il Trio in la bemolle maggiore Hob. XV: 14 di Haydn e il Trio in mi bemolle maggiore n.2, op. 100 di Franz Schubert, che il giovane, ma già musicalmente maturo ensemble ha restituito con una tecnica impeccabile, con grazia e anche con decisa personalità, interpretandolo con molta passione. Questi ragazzi hanno già avuto tante soddisfazioni vincendo concorsi e, ultimo ma non ultimo, ottenendo l’Abbiati 2024 per la categoria gruppo da camera di recente formazione. Abbiamo conversato con loro (Emanuele Brilli violino, Matilde Michelozzi violoncello e Sergio Costa pianoforte) per conoscerli meglio.
- Cominciamo con l’illustrare il significato del nome del vostro trio
Sheliak è la terza stella più luminosa della costellazione della Lira. È stato proprio durante una serata estiva che, alla fine di una giornata di prove, noi tre abbiamo fatto una passeggiata sul Lungarno di Firenze. Eravamo alla ricerca di un nome per il nostro trio, ma erano passati mesi senza che ci venisse in mente un’idea convincente.
In quel momento, seduti su una panchina a discutere qualche possibilità, ci è venuto in mente di guardare il limpido cielo notturno sopra le nostre teste. Emanuele ha subito aperto un’applicazione del suo telefono e l’ha puntato verso il cielo, dove vedevamo la stella più brillante, per scoprire cosa ci fosse in quel momento sopra di noi. È così che abbiamo scoperto Sheliak, un nome che è stato attribuito alla stella dagli Arabi e che significa “arpa”, uno strumento che con le sue corde rimanda sia al pianoforte che agli archi. Inoltre, la Lira è di per sé la costellazione che rappresenta la musica, rifacendosi a miti intramontabili fra cui quello di Orfeo. Esserci imbattuti proprio in quella stella, proprio in quel momento, è stata una coincidenza che ci ha colpiti molto, e così abbiamo deciso che Sheliak sarebbe stato il nostro nome. Recentemente si è scoperto che, per l’appunto, questo sistema di stelle di cui fa parte Sheliak, è formato da tre stelle: si sono proprio allineati gli astri!
- Qual è la formazione “di base” di ciascuno di voi? Come e quando vi siete poi incontrati e come ha preso il via la vostra attività?
Siamo cresciuti tra il conservatorio di Firenze e la scuola di musica di Fiesole, ma, benché vicinissimi, non ci siamo mai incontrati prima dell’inizio del gruppo. Matilde e Sergio suonavano già insieme da tempo in duo, e cercando un violinista per formare un trio, ci siamo trovati! La prima prova è stata a Fiesole, nel Villino, e da subito abbiamo sentito che c’era una volontà comune di approfondire insieme un repertorio incredibilmente ricco, e di dare una possibilità all’intesa che già da subito avevamo percepito. Dopo i Master individuali in Svizzera, ci siamo stabiliti a Lucerna, per fare due Master di musica da camera, tra Berna e Lucerna. Conclusi questi studi, siamo tornati in Italia per poter dare il nostro contributo alla musica da camera, e cercare di diffonderla nel miglior modo possibile nel nostro territorio.
- Quale approccio avete per la scelta del repertorio e la successiva preparazione per l’esecuzione?
Nella scelta del repertorio ci piace variare, cercando poi gli innumerevoli collegamenti fra diverse epoche e stili, gli elementi in comune che in qualche modo non sono mai cambiati e che attraversano e caratterizzano la musica in quanto linguaggio umano.
Nel percorso continuo di preparazione all’esecuzione proviamo a capire quale messaggio vuole trasmettere la musica, e come gruppo cerchiamo il modo per noi più efficace di comunicare quel messaggio, quel significato, al pubblico. Un obiettivo importante per noi nello studio di un nuovo pezzo è che tutti e tre abbiamo la stessa intenzione, ma sempre nel rispetto delle tre individualità. E’ un lavoro complesso, in cui cerchiamo di dare valore alle nostre differenze, rendendole il punto di forza del nostro gruppo.
- Quali sono state le maggiori soddisfazioni e/o emozioni?
Dopo i primi anni del nostro trio, innegabilmente difficili per via della pandemia (ci siamo costituiti nel 2019) è stata molto bella la sensazione di avere i primi successi nell’ambito dei concorsi internazionali, come per esempio la vittoria del Premio Filippo Nicosia: era come un riconoscimento per aver creduto nel nostro progetto comune senza farci scoraggiare dalle nostre rinunce o da qualche delusione lungo il percorso. Essere riusciti a uscire dall’involucro e a trovare la nostra identità artistica è stato rappresentato da una serie di momenti emozionanti, dalla vittoria di un concorso ai sinceri complimenti di un maestro che raramente è solito farli, agli auguri di persone colpite nel profondo dopo un nostro concerto. Quest’anno in cui abbiamo finito il nostro percorso in Svizzera, pronti a tornare nel nostro Paese, la nostra più grande soddisfazione è venuta dall’Italia: ricevere il Premio “Piero Farulli” nell’ambito del Premio Abbiati, è stato per noi come essere accolti di nuovo con grande riconoscenza.
- La nostra chiacchierata è di poco successiva al concerto che avete tenuto per l’Associazione “Piero Farulli”. Emanuele Brilli è stato allievo della Scuola fondata da Piero e a lui chiediamo cosa ha acquisito di quel messaggio formativo farulliano e quanto ne ha portato nel Trio.
La Scuola per me è sempre stata una seconda famiglia, e gli amici di quel periodo sono ancora gli stessi. Questo ambiente ha permesso un rapporto con la musica sano, costruttivo, di sostegno reciproco, tanto impegno ma condiviso tra tutti. Un esempio di società dove tutti collaborano, con gli stessi principii, ad un obiettivo comune. Questi stessi ideali, li ho ritrovati con i miei compagni, di vita ormai, con i quali ogni giorno ci mettiamo in discussione e collaboriamo per cercare di rendere tutto questo il più possibile accessibile a tutti.
- A fine concerto Adriana Verchiani Farulli vi ha ringraziato e vi ha anche incaricato di continuare a diffondere il messaggio di Piero, che, nonostante siano passati piü di 40 anni, ha ancora bisogno di essere diffuso. Cosa ne pensate della “musica un bene da restituire” e della formazione musicale attuale?
Il nostro più importante obiettivo nel lavoro artistico è senza dubbio cercare di rendere il messaggio musicale qualcosa di accessibile, cioè riuscire a far vivere a chiunque le sensazioni e le emozioni che la musica può trasmettere, a prescindere da chi ci troviamo davanti. Crediamo tanto in ciò che in musica si può definire “naturale”, che in qualche modo viene da sé e viene recepito con immediatezza da chi ascolta, e ci poniamo sempre quello come comune obiettivo. Per noi il ruolo del musicista di oggi dovrebbe essere scardinare l’idea che la musica classica possa essere solo appannaggio di un’élite; portarla più vicino al pubblico e renderla comprensibile è per noi il modo migliore per restituirne il valore e la profondità a tanti.
Donatella Righini
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