Londra: Il ritorno di Semiramide
Semiramide rappresenta l’apice della carriera operistica italiana di Gioachino Rossini. La tragedia della regina babilonese, composta per la Fenice di Venezia e rappresentata per la prima volta durante il carnevale del 1823, termina la decade con cui Rossini stabilì un insieme di norme vocali, formali e drammaturgiche che avrebbero influenzato l’opera italiana ben oltre il trasloco del musicista a Parigi e il ritiro dalle scene come compositore. Quando sopraggiunse la morte del maestro pesarese, Semiramide era decisamente considerata come un vecchio cappello passato di moda. Entro la fine del XIX secolo Rossini era quasi finito nel dimenticatoio e vigeva un consenso generale tale per cui nessuno poteva più cantare la sua musica seria. Tale opinione negativa sarebbe durata per tutta la prima metà del XX secolo. Nonostante l’avvento della Rossini Renaissance dopo la seconda guerra mondiale, Semiramide mancava dal palcoscenico del Covent Garden dal 1887, se si esclude la realizzazione in forma di concerto dell’opera nel 1986 (June Anderson, Marilyn Horne, Chris Merrit e Samuel Ramey nei panni dei protagonisti).
Anche se Semiramide rappresenta emblematicamente la somma di tutto il potenziale drammatico ed emozionale del belcanto e dell’archetipo vocale rossiniano, l’opera si muove già verso il grandioso, più diretto e moralmente ambiguo repertorio romantico.
Più di altre opere del Pesarese è stata accusata di portare con sé una contraddizione: narrare una tragedia che è musicalmente descritta da una partitura più adatta ad un’opera semiseria come La donna del lago. Tuttavia, fortunatamente, la straordinaria duplice natura di questa composizione è stata rivalutata in epoca moderna. La mutata sensibilità musicale ci permette oggi di essere in una migliore posizione per comprendere la grandezza di quest’opera. È questo, infatti, l’aspetto che sembra interessare maggiormente Antonio Pappano.
Sir Anthony dirige l’opera con una padronanza del testo musicale sbalorditiva. L’Orchestra è splendidamente diretta e nello stesso tempo egli è in grado di accompagnare attentamente il canto. Pappano offre una lettura che pone l’accento sugli aspetti drammatici della composizione, senza tuttavia rinunciare alla leggerezza tipica del genio rossiniano. Risulta chiaro come Pappano, aiutato anche da un cast di stelle del canto rossiniano contemporaneo, riesca a proporre una Semiramide drammaturgicamente plausibile rispetto alla mera esibizione vocale di arie e duetti basata sulle capacità canore dei singoli cantanti.
L’eccezionale cast prevedeva Joyce DiDonato nei panni della regina Semiramide, Daniela Barcellona in quelli del guerriero eroe Arsace, Lawrence Brownlee in quello del re indiano Idreno e Michele Pertusi nei panni del principe Assur.
La DiDonato è particolarmente a proprio agio nei ruoli regali, dove riesce a esprimere al meglio il suo carisma da fuoriclasse. Combinando coloratura virtuosistica e autorità drammatica, il mezzosoprano americano ha tutte le carte in regola per disegnare un personaggio a tutto tondo, aiutata in questo anche da una dizione perfetta e da un fraseggio intenso. Se da un lato, avvalendosi del proprio registro vocale mezzo-sopranile, non fa brillare “Bel raggio lusinghier” con vertiginose agilità, dall’altro riesce a sviluppare nel corso dell’intera opera il ruolo di una regina in affanno in modo alquanto convincente. Le agilità rossiniane sono snocciolate con grande raffinatezza, velocità e considerevole volume. Veramente intenso il complesso duetto con Assur “Se la vita ancor t’è cara” , nel secondo atto. Un unico appunto riguarda le note più acute che forse non sono quelle che meglio si adattano alla sua morbida vocalità.
La scelta di affidare a un mezzosoprano la parte della protagonista ha esaltato I momenti musicali con Arsace. Infatti la voce della DiDonato e di Daniela Barcellona, in grande spolvero vocale, si fondevano all’unisono in paradisiaci duetti. In special modo il duetto del secondo atto “Giorno d’orror”, che già sembra contenere qualcosa del futuro canto di amicizia femminile e devozione “Mira o Norma” di Bellini, è stato puro diletto per le orecchie.
Daniela Barcellona, affrontando il ruolo che l’ha portata a Londra in occasione di Semiramide durante i Proms lo scorso anno, torna al Covent Garden dopo il grandioso successo personale nel suo debutto sul palco londinese con La donna del lago nel 2013. Come sempre, la Barcellona incarna a tutto spessore il personaggio in scena e convince con la sua tecnica vocale e attoriale.
Grande ritorno alla Royal Opera House anche per Michele Pertusi. Il basso parmigiano, con l’immensa qualità vocale che lo contraddistingue e con una voce particolarmente corposa, ha dato una prova vocale ed interpretativa straordinaria. L’allucinazione di Assur nel secondo atto ha rappresentato uno dei momenti più intensi di tutta l’opera. Impossibile non percepire in questa musica l’anticipazione delle scene di delirio colpevole che ritroveremo nelle opere italiane che saranno composte di lì a breve.
Irrilevante ai fini drammatici dell’opera e creato puramente per dare al tenore qualcosa da cantare, il ruolo di Idreno è stato brillantemente affrontato da Lawrence Brownlee, con acuti spavaldi e rapidissime colorature rossiniane.
Lo spettacolo, musicalmente irreprensibile e memorabile, è stato accompagnato da una messa in scena non totalmente convincente. David Alden ha diretto la produzione che aveva visto la luce all’Opera di Stato Bavarese lo scorso febbraio. Semiramide è un’opera particolarmente infelice da rappresentare, e l’allestimento presentava purtroppo qualche capriccio registico assolutamente evitabile. Mancando l’opera dal Covent Garden dal lontano 1887, forse non sentivamo la necessità’ di assistere a una Semiramide ambientata in un’epoca non ben definita (scene di Paul Steinberg e costumi di Buki Shiff), a cavallo tra un odierno regime Nord Coreano e il Medio Oriente. Il tutto completato da gigantografie che sembravano ritrarre Donald Trump e una statua enorme totalitaria come il dio Baal.
Certamente positiva, riallacciandosi al testo di Voltaire da cui è tratta l’opera, la manifesta volontà del regista di dare una connotazione politica alla rappresentazione. Purtroppo alcuni espedienti registici gratuiti e di dubbio gusto hanno imperversato soprattutto nel primo atto: fra i tanti esempi vi è quello di Azema, che si muove istericamente in scena avvolta in una camicia di forza dorata che la fa sembrare un verme alieno, e quello del fantasma di Nino, che esce da un sarcofago come Dracula ai tempi d’oro.
Alla fine di un secondo atto straordinariamente intenso Joyce DiDonato ha raccolto un tripudio di applausi seguito dal successo di tutta la compagnia di canto e del direttore.
Thomas Gobbetti
(Londra, 25 novembre 2017)
La locandina
Regia | David Alden |
Scene | Paul Steinberg |
Costumi | Buki Shiff |
Luci | Michael Bauer |
Coreografie | Beate Vollack |
Direttore | Antonio Pappano |
Semiramide | Joyce DiDonato |
Assur | Michele Pertusi |
Arsace | Daniela Barcellona |
Idreno | Lawrence Brownlee |
Azema | Jacquelyn Stucker |
Oroe | Bálint Szabó |
Mitrane | Konu Kim |
L’ombra di Nino | Simon Shibambu |
Royal Opera Chorus | |
Orchestra of the Royal Opera House | |
Maestro del Coro | Peter Manning |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!