Londra: la didascalia non si addice a Simone
Nonostante la Royal Opera abbia riunito alcune delle punte di diamante del repertorio verdiano internazionale, la ripresa del Simon Boccanegra attualmente in scena a Londra non si e’ rivelata completamente all’altezza delle aspettative. Lo spettacolo è purtroppo afflitto dai difetti di una produzione tradizionale con una regia stereotipata che, francamente, risulta datata.
Nell’ottava ripresa dell’allestimento di Elijah Moshinsky, nato nel 1991, risplendono i bellissimi costumi di Peter J. Hall e le monumentali scene di Michael Yeargan.
L’azione si svolge in una Genova rinascimentale dilaniata dall’odio tra le opposte fazioni e la sete di potere; quello che purtroppo penalizza lo spettacolo è la superficialità dell’approccio registico. La rappresentazione, alquanto statica, e l’abbondanza di gesti ed espressioni decisamente convenzionali non offrono spunti espressivi che vadano oltre la realizzazione didascalica dell’azione scenica.
Nonostante ciò, il genio interpretativo di Ferruccio Furlanetto nei panni di Jacopo Fiesco e di Carlos Alvarez in quello del Doge riescono a farsi apprezzare nella realizzazione dei personaggi.
La voce di Furlanetto risente, ahimè, del tempo che passa, ma rimane potente ed autorevole; il basso italiano costruisce in tutto e per tutto un Fiesco lacerato dal dolore e consumato dall‘odio. Nulla è lasciato al caso, dal fraseggio alla recitazione.
Carlos Alvarez realizza una prova attoriale e vocale completa. Nel corso dell’intera recita, Alvarez cesella ogni frase apparendo padre credibile e al tempo stesso doge autorevole. Il baritono spagnolo è dotato di una delle più belle voci verdiane attualmente in carriera e ne ha dato possente sfoggio nell’ “E vo gridando pace!” che è risuonato come un tuono nel teatro. È tuttavia il finale che lo consacra: Alvarez, adottando una linea di canto sempre elegante e un’interpretazione pienamente efficace, risulta credibile nei panni del Doge morente.
Francesco Meli, a suo agio nel ruolo di Gabriele Adorno, regala al pubblico un’interpretazione spavalda sul versante vocale e musicale. La voce è argento puro e il fraseggio assai curato.
Sul piano interpretativo delude il soprano armeno Hrachuhi Bassenz la quale, dotata di una voce non particolarmente splendente nella tessitura acuta, fraseggia in maniera generica delineando così un personaggio appena abbozzato che viene facilmente dimenticato. Molto grezzo il Paolo Albiani di Mark Rucker. Buona la prova vocale del Coro diretto da William Spaulding.
A completare il quadro una direzione certamente scorrevole e corretta, ma alquanto piatta e priva di pathos di Henrik Nánási. Il direttore ungherese non riesce a far decollare lo spettacolo fallendo nel dipingere efficacemente quei sentimenti di odio e dolore, ma anche amore, di cui l’opera verdiana si nutre e che sono necessari a compensare la tortuosità’ di una disordinata trama quasi inenarrabile.
Successo finale per tutti soprattutto per le voci maschili principali.
Thomas Gobbetti
(24 novembre 2018)
La locandina
Direttore | Henrik Nánási |
Regia | Elijah Moshinsky |
Scene | Michael Yeargan |
Costumi | Peter J. Hall |
Lighting designer | John Harrison |
Maestro d’armi | Philip d’Orléans |
Simon Boccanegra | Carlos Álvarez |
Jacopo Fiesco | Ferruccio Furlanetto |
Amelia Grimaldi | Hrachuhi Bassenz |
Gabriele Adorno | Francesco Meli |
Paolo Albiani | Mark Rucker |
Pietro | Simon Shibambu |
Orchestra of the Royal Opera House | |
Royal Opera Chorus | |
Maestro del Coro | William Spaulding |
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