Londra: una Fille du Régiment a diciotto “Do”
Ebbe accoglienza tiepida, la sera dell’undici febbraio 1840, la Fille du régiment, tanto che Berlioz all’indomani la recensì assai negativamente, così come il pubblico non perdonò le défaillances di Mécène Marié de l’Isle, il primo Tonio.
In realtà la prima opera francese, non semplicemente in francese, di Donizetti, che contava di debuttare a Parigi con Les Martyrs, continuamente rinviato dall’Opéra, si guadagnò rapidamente il favore del pubblico raggiungendo le cinquantacinque repliche.
Viene da pensare che dietro l’iniziale diffidenza ci potesse essere lo spirito di Nicolas Chauvin, restio ad accettare il fatto che un “forestiero” potesse eguagliare, quando non superare, i compositori francesi in un genere tutto francese come l’Opéra-comique, cosa che a Donizetti riuscì facilissima, calandosi perfettamente negli stilemi del genere, senza comunque mai tradire se stesso.
I couplet sono petillant, cosi come gli insiemi e i cori, vibranti di uno spirito autenticamente boulevardier; tuttavia quando sono l’amore, la malinconia, la nostalgia ad emergere e ad impadronirsi dell’azione le luci di Parigi cedono il passo al sole lattiginoso e alle nebbie della Bergamasca.
Creato nel 2007 alla Royal Opera House e proposto negli anni in altri teatri, dal Metropolitan alla Staatsoper di Vienna, senza purtroppo passare per l’Italia, l’allestimento di Laurent Pelly è un meccanismo perfettamente oliato in cui tutto funziona, con leggerezza e ironia.
La ripresa londinese è felicissima in quanto ha visto lo stesso Pelly impegnato in tre settimane di prove, cosa che salta immediatamente all’occhio.
Non una sbavatura, non un gesto superfluo, non un movimento di masse che non trovi senso nell’azione.
Pelly, che firma anche i bei costumi liberty, sposta la vicenda agli inizi del Ventesimo secolo e la colora di ironia velata da qualche pennellata di malinconia, complici anche le scene di sapida essenzialità di Chantal Thomas, capaci di evocare senza sovrastare.
Non c’è un momento di respiro, grazie anche ai dialoghi rielaborati da Agathe Mélinard; l’azione incalza leggera, non ci si annoia mai, si ride e si riflette.
Le coreografie di Laura Scozzi offrono momenti indimenticabili, su tutti l’apertura del secondo atto, con le domestiche – ballerini en travesti – di casa Berkenfield che puliscono il salone dando vita a un siparietto degno dei migliori Monty Pyton.
E poi i mutandoni che danzano appesi al filo che Marie si tira dietro, gli invitati alle nozze, artritici e danzerecci; una delizia illuminata dal disegno di luci di Joël Adam.
Evelino Pidò coglie con acume lo spirito boulevardier-orobico della Fille e lo rende attraverso una lettura in filigrana, fatta di tempi serrati che si stemperano in languide meditazioni e di scelte agogiche intelligenti.
La Marie di Sabine Devieilhe è un folletto indiavolato e capace di prodezze vocali che si coniugano con una perfetta aderenza al personaggio. I sopracuti sono un po’ esili, ma in fin dei conti “who cares” a fronte di una prova notevolissima.
Javièr Camarena è un Tonio perfetto, divertente e appassionato, capace di mostrare la sua crescita nel corso degli eventi, passando da bamboccione a uomo vero.
La voce è di quelle baciate dalle Muse, la linea di canto cristallina, gli acuti folgoranti. A questo si aggiunga che il tenore messicano suscita immediata empatia; cosa non da poco.
Inevitabile il bis di “ah mes amis”, portando i Do a diciotto con conseguente diluvio di applausi.
Al suo debutto nel personaggio Enkelejda Shkoza disegna una Marquise de Berkenfield di irresistibile comicità – la lezione di canto è un capolavoro – il tutto con mezzi vocali sontuosi.
Pietro Spagnoli dà vita ad un Sulpice dalla vocalità autorevole, con un canto presente e calibratissimo, e inappuntabile scenicamente; divertendosi fa divertire il pubblico; dote non comune.
Miranda Richardson, cameo di lusso, è un mostro di bravura e la sua Duchesse de Crackentorp, tra l’autoritario e l’isterico, è tutta giocata sulla mimica facciale e su una gestualità appena accennata.
Bravo Donald Maxwell, Hortensius passivo-aggressivo.
Il Coro, preparato da William Spaulding, si conferma come una perfetta compagine di attori cantanti, offrendo una prova maiuscola.
Successo al calor bianco, applausi a scena aperta e ovazioni finali per tutti.
Alessandro Cammarano
(8 luglio 2019)
La locandina
Direttore | Evelino Pidò |
Regia e costumi | Laurent Pelly |
Dialoghi | Agathe Mélinand |
Scene | Chantal Thomas |
Lighting designer | Joël Adam |
Coreografia | Laura Scozzi |
Personaggi e Interpreti: | |
Marie | Sabine Devieilhe |
Tonio | Javier Camarena |
Sulpice Pingot | Pietro Spagnoli |
La Marquise de Berkenfield | Enkelejda Shkoza |
Hortensius | Donald Maxwell |
La Duchesse de Crackentorp | Miranda Richardson |
Orchestra of the Royal Opera House | |
Royal Opera Chorus | |
Mestro del Coro | William Spaulding |
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