Londra: una Traviata di buona routine
In scena alla Royal Opera House il sedicesimo revival della produzione della Traviata nell’elegante e tradizionale allestimento del regista britannico Sir Richard Eyre. Anche se non potevamo certo aspettarci grandi sorprese sul versante della regia, le infinite possibilità interpretative e musicali di questo capolavoro sono sempre motivo di interesse tra gli appassionati.
I panni della protagonista Violetta Valéry sono indossati da Ermohela Jaho, di casa al Covent Garden.
Non c’è alcun dubbio sull’impegno e immedesimazione totale da parte della Jaho nel personaggio. Il soprano albanese frequenta il ruolo da molti anni, è esperta attrice e conquista il gradimento del pubblico; tuttavia i limiti della sua vocalita’ leggera non ne permettono la piena realizzazione.
In verità tutta l’interpretazione risulta particolamente calcata sul versante attoriale. È noto che dopo un acrobatico incipit la parte di Violetta richiede un peso vocale che purtroppo il soprano non possiede. La voce suona quindi particolarmente opaca nei centri, nel tentativo di ingrossare i suoni.
La Jaho è intelligente nel superare le difficoltà del primo atto, senza essere tuttavia essere spumeggiante, e rinuncia all’acuto finale. Dove la parte si fa più lirica nel secondo atto i nodi vengono al pettine e il soprano gioca in difesa ricorrendo a continui suoni filati, di cui va detto padroneggia benissimo l’emissione, ma alla lunga rendono l’interpretazione poco incisiva.
Nel terzo atto adotta una recitazione particolarmente agitata, affetta da tremori evidenti, numerosi colpi di tosse che interrompono anche l’“Addio del passato” e qualche acuto non proprio elegante. L’interpretazione verista ha senza dubbio riscontrato il favore del pubblico che le ha tributato un caloroso successo finale, ma lascia qualche dubbio sul piano musicale.
Charles Castronovo dipinge un Alfredo credibile e se anche talvolta l’emissione può risultare a tratti ingolata il tenore americano gestisce la parte e ne esce positivamente.
Purtroppo non avviene lo stesso per Igor Golovatenko, al suo debutto alla ROH, nel ruolo di Giorgio Germont. Il baritono russo e’ decisamente incline a cantare troppo forte, la voce si spezza rauca almeno in un paio di occasioni e propone una interpretazione poco convincente.
Buoni tutti i comprimari e ottima la prova del Coro soprattutto nella scena della festa alla casa di Flora. Positivo il debutto londinese del direttore Antonello Manacorda che dirige ponendo particolare attenzione all’equilibrio tra voci e volume orchestrale e adotta talora tempi piuttosato dilatati ma efficaci nel trasmettere il pathos musicale.
Thomas Gobbetti
(14 gennaio 2019)
La locandina
Direttore | Antonello Manacorda |
Regia | Richard Eyre |
Scene e costumi | Bob Crowley |
Lighting designer | Jean Kalman |
Violetta Valéry | Ermonela Jaho |
Alfredo Germont | Charles Castronovo |
Giorgio Germont | Igor Golovatenko |
Annina | Catherine Carby |
Flora Bervoix | Aigul Akhmetshina |
Baron Douphol | Germán E Alcántara |
Doctor Grenvil | Simon Shibambu |
Gastone de Letorières | Thomas Atkins |
Marquis D’Obigny | Jeremy White |
Giuseppe | Neil Gillespie |
Un commissionario | Dominic Barrand |
Orchestra of the Royal Opera House | |
Royal Opera Chorus | |
Maestro del Coro | Sergey Levitin |
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