Lubiana: un’Italiana in Algeri travolgente
Con una produzione tenuta a battesimo nel febbraio scorso e realizzata in coproduzione con il Teatro Carlo Goldoni della Città di Livorno dove l’Italiana in Algeri, mancava da tempo immemorabile – e dire che Livorno è la città da cui fuggono sia Lindoro sia Isabella e Taddeo per sbarcare sulle coste dell’Africa del Nord -, si è inaugurata, senza grandi squilli di trombe e di fanfare, la stagione 2023/2024 del Teatro Nazionale Sloveno di Lubiana.
L’Italiana in Algeri è la dodicesima opera di Rossini, e fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Benedetto di Venezia il ventidue maggio del 1813. Con il quasi coevo Tancredi, anch’esso battezzato a Venezia, Italijanka v Alziru, questo il titolo dell’opera in sloveno, segnò la svolta definitiva alla fama di Rossini come compositore principe delle scene italiane. Guarda caso, il 1813 è l’anno di nascita sia di Wagner sia di Verdi; Rossini aveva all’epoca ventun anni. Il successo fu precoce, come il talento e, a soli trentacinque anni, il ritiro dopo aver presentato a Parigi Guglielmo Tell, anzi Guillaume Tell.
Nel lavoro Rossini era ossessivo, il suo ritmo era divenuto una leggenda: sei delle sue opere erano già state messe in scena l’anno prima, e nel 1813 ne aggiunse altre quattro. Aveva la velocità nel sangue, il Pesarese, L’italiana in Algeri la scrisse in meno di un mese. Il tempo gli mancava? Non c’era problema e Rossini recuperò un tema operistico messo in musica dal Marcolini cinque anni prima, e fu quindi oggetto di accuse di plagio, del tutto infondate e ingiustificate. Sono in molti a trovare somiglianze fra L’Italiana in Algeri e Il Ratto dal serraglio mozartiano, ma al di là della comune ambientazione esotica, poco accomuna di Mozart e Rossini se non la precocità del loro successo e del loro ritiro, per Mozart avvenuto a causa della sua morte prematura, per Rossini a causa delle sue depressioni che gli impedivano di lavorare a un ritmo normale, o era superattivo o inerte e poco reattivo.
I parallelismi, insomma, lasciano il tempo che trovano e se il tema delle due opere è comune, lo stile è diverso: nel periodo precedente alla prima viennese di Die Entführung aus dem Serail, nel 1782, tutto ciò che ricordava i turchi era in voga in Europa, anche per la memoria dell’ultimo assedio turco di Vienna cento anni prima. La spedizione di Napoleone in Egitto fu un nuovo stimolo per l’interesse per le storie di pirateria levantine.
La Diva Maria Marcolini nel ruolo di Isabella e il leggendario basso Filippo Galli in quello di Mustafà garantirono alla prima de L’italiana in Algeri il successo.
L’opera, su libretto di Angelo Anelli, entrò in breve tempo nel repertorio di quasi tutti i maggiori teatri d’opera europei. In seguito fu dimenticata per molto tempo e, si potrebbe dire, ingiustamente.
Non fa eccezione Lubiana, dove l’opera – anche alla ripresa di settembre – è stata accolta come una gradita novità. C’è da dire che il colore orientale della residenza del Bey di Algeri, la coloratura di Isabella e i languori (con sopracuti facili) di Lindoro, le buffonate di Taddeo, che coinvolgono il più nobile Mustafà, lo svolgersi comico della storia intricata, ma non troppo, sono stati perfettamente restituiti dallo spettacolo, fatto con pochi mezzi e molte idee, di Emanuele Gamba, che lo firma per la regia, con la collaborazione di Maurizio Checchetto per le scene, Carlos Tieppo per i costumi, magnifici, e Lukas Zuschlag per le coreografie.
Un lavoro eccezionale è stato svolto per consentire agli interpreti, tutti artisti stabili del Teatro di Lubiana, di eseguire alla perfezione e in un italiano bene intellegibile i recitativi al cembalo di Igor Grasselli, dallo stesso Gamba e Marco Guidarini, che per la prima volta si presentava nella capitale slovena.
Dall’Orchestra e dal coro maschile stabili, quest’ultimo ben preparato da Zeljka Ucnic Remic, Guidarini è riuscito a ricavare la forza propulsiva, la vivacità, il ritmo che Rossini, e questo Rossini in particolare, esige. Insomma, è stato un magnifico gioco di squadra che ha coinvolto anche l’Isabella quasi sopranile di Elena Dobrovec abbigliata da Jessica Rabbitt, il giovane Lindoro belcantista al punto giusto di Aco Biscevic, lo straripante Mustafà di Peter Martincic, il sapido Taddeo di Rok Bavcar.
In Elvira abbiamo ritrovato Stefica Grasselli che avevamo lasciato Anna Frank nell’opera di Frid Das Tagebuch der Anne Frank che, in repertorio per l’attività con le scuole a Lubiana, traducemmo per la prima esecuzione italiana al Festival di Musica Sacra su richiesta di Eddi De Nadai e che è stato ripreso di recente al Teatro Regio di Torino che lo riprenderà nel gennaio prossimo. L’artista, all’epoca alle prime armi, è maturata e realizza alla perfezione la figura caricaturale della moglie tradita e ritrovata e completa con Inez Osina Ruez (Zulma) e con il simpatico Marko Ferjancic (Haly) un ensemble molto equilibrato.
Successo vivo per tutti, si replica fino a tutto dicembre.
Rino Alessi
(17 settembre 2023)
La locandina
Direttore | Marco Guidarini |
Regia | Emanuele Gamba |
Scene | Massimo Checchetto |
Costumi | Carlos Tieppo |
Coreografie | Lukas Zuschlag |
Personaggi e interpreti: | |
Isabella | Elena Dobrovec |
Lindoro | Aco Biscevic |
Mustafà | Peter Martincic |
Taddeo | Rok Bavcar |
Elvira | Stefica Grasselli |
Zulma | Inez Osina Ruez |
Haly | Marko Ferjancic |
Orchestra, coro e corpo di ballo Dell’Opera di Lubiana | |
Maestro del coro | Zeljka Ucnic Remic |
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