Lucca: TRIP, la performance di Fabrizio Ottaviucci alla Tenuta dello Scompiglio
Come sempre alla Tenuta dello Scompiglio, sulle magiche colline lucchesi, la natura gioca un ruolo importante. Qualunque proposta prenda forma all’interno del suo Spazio Performativo ed Espositivo, mostre, istallazioni, teatro, concerti, danza, l’esterno, il bosco, la terra, premono, rivendicando una unicità che non teme rivalità in quanto a bellezza e spettacolo.
Questo succede anche per l’attesa performance del pianista Fabrizio Ottaviucci. Il mix vitale interno/esterno ce lo portiamo dentro, come ricchezza, per tutta la durata del concerto. Trip, un viaggio sognante, accidentato, mistico, complesso, problematico. Ottaviucci non ha partiture davanti a sé, attinge dalla propria memoria, storia, cultura e sensibilità. Il pianoforte muta allora in un sottomarino che scende negli abissi, indaga nel profondo, cerca, evoca, scava, ricorda, esalta. L’artista che lo guida attraverso il viaggio si mette a nudo, tra fragilità e potenza creativa, e ci offre le coordinate, le tappe, le immersioni, le emersioni, mediante suono, gesto e silenzio.
Trip potremmo immaginarlo come un arcipelago dove le isole, grandi, piccole, rocciose, misteriose o lussureggianti, che lo compongono, rappresentano memorie, emozioni e visioni. L’insieme delimita una drammaturgia sonora che alterna caratteri marcati, aggressivi, a poetiche che sfiorano il silenzio. Ottaviucci apre su vivaci grappoli accordali, note che vagano, accelerano, frenano tra vuoti e suoni stoppati. Ma il percorso non è lineare, ogni tanto tra strapiombi, grumi free, cluster, emergono melodie sottotraccia, arpeggi, carillon giocosi, fantasmi. Gli spazi vuoti tra i suoni si dilatano, il pianista ci offre la possibilità di usarli come momenti di riflessione, per proseguire più attrezzati il viaggio. Viaggio che si fa più difficile. Ottaviucci mette le mani sulle corde, crea e diffonde onde scure, inquiete. Rumori industriali, traffico di metropoli, flussi di persone connesse e sconosciute, paure. Quando pare essere finiti in un vicolo cieco senza vie d’uscita, il pianista torna sulla tastiera e ci regala uno dei momenti più commoventi. Ci accompagna in terre d’oriente, tra spezie colorate, tè alla menta, profumi d’ambra e vaniglia, danze sensuali nel travolgente scenario di un tramonto sul deserto.
Ma non dobbiamo illuderci, non è quello il traguardo. Il viaggio continua, e non è una passeggiata. Ottaviucci allontana quelle atmosfere e mette il proprio corpo in gioco, affronta lo strumento con energia, quasi violenza, usa tutta la tastiera anche con il braccio, la percuote, il pianoforte vibra, risuona, le onde sonore si scontrano, si moltiplicano nello spazio. Lotta esaltante tra gesto e visioni radicali di un artista contemporaneo e le memorie romantiche del quale il legno è impregnato. Ma anche questo è solo un passaggio, dopo ci aspettano ancora labirinti, specchi ingannevoli, spazi claustrofobici, lampi di luce finché i suoni si diradano, rallentano e il silenzio ci avvolge. Il viaggio è finito, ma non sappiamo bene dove siamo approdati.
Con Trip Fabrizio Ottaviucci ci racconta un pezzo di sé tra le tracce indelebili del proprio percorso di ricerca, da Cage a Feldman, dalle fascinazioni del minimalismo ai misteri spirituali di Scelsi, dalla musica aleatoria fino a sconfinare tra il free jazz di stampo tayoloriano e il raga indiano. Un indagatore carismatico assoluto e irrefrenabile della contemporaneità che attraverso tocco sopraffino, gesto e improvvisazione, si mette in gioco rischiando ogni volta. E noi con lui.
Paolo Carradori
17 giugno 2023
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