Lugano: Mäkelä e Rana tra virtuosismo e introspezione
Ci sono serate di musica alla fine delle quali il primo pensiero che affiora alla mente lasciando la sala è “«Io c’ero»; perché, lo si voglia o no, ci sono concerti che lasciano il segno aprendo scorci interpretativi forse distanti – o meglio non perfettamente allineati – con la cosiddetta “tradizione”, non sempre intellettualmente corretta ma spesso incredibilmente rassicurante, che concepisce l’esegesi di una composizione come un fatto univoco ed incontrovertibile, bollando qualsiasi altra lettura come “sbagliata”.
Ma nell’arte, e più segnatamente nella musica, ha senso il discettare di “giusto” o “sbagliato”? Sinceramente crediamo di no, soprattutto quando la soggettività dell’interpretazione poggia su basi formali e soprattutto estetiche solidamente fondate.
Plastica testimonianza di ciò è data dall’approccio di Klaus Mäkelä, alla testa dell’Orchestre de Paris, alla Sinfonia n. 7 in do maggiore, op. 60 Leningrado di Dmitrij Šostakovič eseguita al LAC lo scorso nell’ambito della stagione di LuganoMusica.
Il ventiseienne direttore finlandese, forte di un gesto di esemplare chiarezza, offre della sinfonia un’interpretazione che solo all’apparenza sembra privilegiare l’aspetto eroico dell’impaginato – per altro imprescindibile – a discapito del messaggio “segreto” fatto di dolore e sofferenza del popolo di Leningrado stremato dall’assedio tedesco ma comunque fiducioso nella propria resistenza e della vittoria finale.
La speranza fa da filo conduttore ad una lettura tesa, drammaticamente vibrante, intensamente narrativa eppure priva di qualsiasi indulgenza retorica; cinematografica sì, ma nell’accezione più alta del termine.
I tempi si serrano, le dinamiche diventano frustanti, il tutto in una luminosità capace di rendere immediatamente intellegibili la tragedia e la speranza privilegiando però quest’ultima.
L’acustica più che generosa della Sala Teatro del LAC mette in risalto la potenza dell’orchestra parigina che offre una prestazione maiuscola.
Al termine l’ovazione del pubblico pone il sigillo del successo pieno.
La prima parte del concerto era invece dedicata a quel monumento di virtuosismo pianistico che è la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, op. 43 di Sergej Rachmaninov affidata a Beatrice Rana.
Ripartita in 24 variazioni, la Rapsodia, è trai lavori maggiormente riusciti di Rachmaninov. In essa, infatti, il compositore unisce virtuosismo e costruzione formale capace di accontentare sia il grande pubblico che gli ascoltatori più accorti. Il tema delle variazioni è il Capriccio n. 24 in la minore dai 24 Capricci op. 1 scritti dal violinista italiano; non un tributo a Paganini, ma un omaggio a Liszt, che lavorò sullo stesso Capriccio nei suoi Études d’éxécution trascendante d’après Paganini.
Qui il pianismo stellare della Rana, che trova perfetta sintonia con Mäkelä, si articola in un approccio che senza prescindere dalla componente virtuosistica pur assai presente si concentra su uno scavo che giunge a rivelare gli aspetti più intimi della composizione, il tutto con una presa di suono lucidamente introspettiva e un fraseggio rigogliosamente meditato.
Il dialogo con l’orchestra, complice un Mäkelä sempre ispiratissimo e anch’egli lontano da qualsivoglia tentazione calligrafica, è morbidamente serrato.
Anche per lei consensi travolgenti e due bis.
Alessandro Cammarano
(12 maggio 2023)
La locandina
Direttore | Klaus Mäkelä |
Pianoforte | Beatrice Rana |
Orchestre de Paris | |
Programma: | |
Sergej Rachmaninov | |
Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, op. 43 | |
Dmitrij Šostakovič | |
Sinfonia n. 7 in do maggiore, op. 60 Leningrado |
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