Macerata: Rigoletto tragico clown senza gobba
La bocca più ghignante che sorridente di un clown fa da ingresso oscuro ad un luna-park suburbano che ha sicuramente visto tempi migliori; di questo parco di divertimenti di cui nulla è dato vedere ma che molto lascia immaginare Rigoletto è il direttore-imbonitore. La gobba è scomparsa, sostituita da una marsina cremisi e una parrucca che lo rendono simile al Danny deVito di American Horror History Freak Show e la cui deformità diventa tutta interiore.
La casa del buffone è una roulotte scalcinata parcheggiata lungo un viale di passaggio e passeggio di prostitute e transessuali, mentre la stamberga di Sparafucile diventa un furgoncino di panini e bibite.
Il Duca e la corte sono una banda di giovinastri, irridenti e afflitti da delirio di onnipotenza, che impazza nelle tenebre del parco alla ricerca di vittime femminili.
Un mondo di degrado ove l’immoralità è palpabile, a partire da quella di Rigoletto che qui più che altrove risalta come il più “cattivo” tra i padri verdiani, impegnato a difendere l’immagine di una figlia che vuole costretta e sottomessa proiezione del suo ideale e alla quale non dà possibilità di scelta; un padre-padrone in continua sfida con un mondo altrettanto corrotto che lo attrae e da cui riceve disprezzo.
Alla fine non ci sarà che distruzione per Rigoletto, artefice della sua sorte attraverso la perdita dell’unico essere che ha creduto di poter controllare.
Federico Grazzini, scuola Piccolo Teatro, si conferma tra i più talentuosi dei registi della sua generazione. Il suo Rigoletto – grazie anche alle scene espressioniste di Andrea Belli, agli efficaci costumi contemporanei di Valeria Donata Bettella e alle luci crepuscolari di Alessandro Verazzi riprese da Ludovico Gobbi – è volutamente esagerato al punto da risultare a tratti quasi violento, ma capace al contempo di aprirsi a momenti di grande lirismo, come il “Caro nome” che Gilda, ragazzina impacciata e occhialuta, canta facendo piccoli e tenerissimi giochi di equilibrismo su una panchina, fino ad assomigliare alla amoureuse dei disegni di Peynet o a una delle figure femminili che si librano nell’aria dei quadri di Chagall.
La rappresentazione del racconto del rapimento di Gilda che i cortigiani fanno al Duca diviene una pantomima perfetta e danzata con lasciva eloquenza, così come la cabaletta “Possente amor mi chiama” è cantata dal libertino mentre si spoglia e indossa una più comoda vestaglia – la stessa con la quale la sventurata e illusa protagonista tenta di coprirsi nel momento in cui viene resa al padre.
Il finale, con Gilda trasfigurata che osserva la definitiva sconfitta del padre e forse l’unico punto di minor forza dello spettacolo, pur nella sua logica drammaturgica.
La direzione di Giampaolo Bisanti è asciutta, analitica, capace di scandagliare e al contempo ricca di allusioni poetiche; ritmi incalzanti e agogiche stringenti sottolineano con intelligenza la crudezza della regia in una meditata osmosi di idee ed intenzioni. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana appare meno resiliente rispetto alle prove delle due serate precedenti.
Amartuvshin Enkhbat non è più solo voce, finalmente; il suo Rigoletto appare meditato nella parola, che si pone al servizio di un fraseggio ricco, il tutto a disegnare un personaggio dilaniato tra rabbia vendetta e “amore” paterno.
Ricca di accenti la Gilda di Claudia Pavone che, oltre alla sicurezza delle agilità e degli acuti, padroneggia un canto tutto sul fiato, a cui si aggiunge un meditato approfondimento del personaggio, sempre in bilico tra bambina e donna.
Enea Scala è un Duca ad alto tasso di testosterone, vocalmente generoso, fisicamente prorompente, capace di acuti folgoranti e padrone di centri torniti.
Non demerita Simon Orfila, che dà voce e corpo ad uno Sparafucile elegantemente blasé, il tutto con voce piena anche se un po’ opaca nelle note gravi; corretta la Maddalena di Martina Belli, che possiede la sensualità necessaria a rendere credibile il personaggio.
Davvero brava Alessandra Della Croce – Giovanna extralusso – e bravi Matteo Ferrara e Vasil Solodkyy, rispettivamente Marullo e Borsa; dimenticabile il Monterone di Seung-Gi Jung.
Negli altri ruoli di contorno ricordiamo la Contessa di Ceprano sensuale di Anastasia Pirogova, il Conte di Ceprano ben caratterizzato di Cesare Kwon, il Paggio di Raffaella Palumbo e l’Usciere giustamente stentoreo di Gianni Paci.
Il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, preparato da Martino Faggiani si rende protagonista di una prova nel complesso positiva.
Successo pieno per tutti, con applausi e un “Tanti auguri a te” che il palcoscenico ha dedicato a Bisanti per il suo compleanno.
Alessandro Cammarano
(21 luglio 2019)
La locandina
Direttore | Giampaolo Bisanti |
Regista | Federico Grazzini |
Scene | Andrea Belli |
Costumi | Valeria Donata Bettella |
Luci | Alessandro Verazzi* |
*Riprese da | Ludovico Gobbi |
Personaggi e Interpreti | |
Il Duca di Mantova | Enea Scala |
Rigoletto | Amartuvshin Enkhbat |
Gilda | Claudia Pavone |
Sparafucile | Simon Orfila |
Maddalena | Martina Belli |
Giovanna | Alessandra Della Croce |
Il Conte Di Monterone | Seung-Gi Jung |
Marullo | Matteo Ferrara |
Matteo Borsa | Vasyl Solodkyy |
Il Conte di Ceprano | Cesare Kwon |
La Contessa di Ceprano | Anastasia Pirogova |
Un Paggio della Duchessa | Raffaella Palumbo |
Un Usciere di Corte | Gianni Paci |
Orchestra Filarmonica Marchigiana e Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” | |
Maestri del Coro | Martino Faggiani, Massimo Fiocchi Malaspina |
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