Madrid: il Tenorio delude parecchio

Abbiamo tutti da qualche parte nella nostra memoria o nella memoria, e perché no, da qualche parte nel nostro cuore, Don Juan Tenorio, che è l’epitome dell’amante e che per chi crede ancora nell’amore, è quella figura della letteratura che non solo soffre per amore, ma probabilmente dimostra che non si può amare senza soffrire.

E se il Tenorio di Tomás Marco fa soffrire, ma per ragioni ben diverse e ben precise. La versione teatrale ha debuttato lo scorso maggio a Madrid, dopo una storia degna di qualsiasi tragedia amorosa. E quest’opera è stata commissionata dall’Estío Musical Burgalés tra il 2008 e il 2009, per essere rappresentata in prima assoluta nel 2010 e per molte ragioni, soprattutto economiche, non ha potuto farlo e nel 2017 lo ha fatto, ma come concerto all’Auditorium di San Lorenzo de El Escorial, poi è stato girato a Siviglia, e poi è stato registrato su disco. e poi ha l’opportunità di andare in scena al Teatro Real con un testo basato su quello di Zorrilla, arricchendo i suoi famosi versi con brani di Moliére, Zamora, Quevedo, Lorenzo de Ponte e il geniale Tirso de Molina e perfino poesie. di Sor Juana Inés de la Cruz. E il testo non solo permette di verificare quanto sia accurato e perpetuo il mito di don Juan Tenorio ma approfondisce anche la rotondità della sua storia. Prosa e versi carichi di significato e della luce brillante che ha la parola quando è detta dal cuore. Ma, ovviamente, in alcuni creatori c’è la necessità di invertire i valori del classico e renderli più “moderni”, il che è un principio creativo o piuttosto concettuale, discutibile o meno ma che senza dubbio ha un modo unico di esprimersi. in corso, se vuoi avere successo con questa decisione di rinnovare il classico ed è l’eccellenza. Se dovete portare un testo di un altro secolo in questo e volete riempirlo di tecnologia e modernità, avete un solo modo per farlo, proprio per rispetto del classico, ed è perfetto.

E la perfezione qui si è allontanata radicalmente da “questa sponda” e non è possibile sapere dove sia andata a finire.

Il primo elemento che non ha alcun valore degno di nota o riconoscibile è la musica. Tomás Marco ha il suo senso delle risorse musicali. Non troviamo qui brillantezza sonora, anche in diverse occasioni la partitura non consente ai musicisti o ai cantanti di brillare. Non risveglia emozioni in chi lo ascolta. C’è un tono monotono in tutto ciò che chiaramente è in conflitto con la creatività e, ovviamente, con l’assertività. C’è un uso insopportabile delle percussioni senza senso e che crea distrazioni e interruzioni che non aiutano affatto lo sviluppo drammatico. La musica non permette la continuità del discorso, perché manca di un concetto. Anche se è impossibile non evidenziare il lavoro di Santiago Serrate, che alza il testimone davanti al proprietario del Teatro con abilità, professionalità, forza e innegabile talento.

Le performance degli artisti mancano di spettacolarità, perché non esiste una base da cui partire, che permetta loro davvero di brillare. Joan Martín Royo -Tenorio- obbedisce, ma non si distingue particolarmente, non entusiasma. E non è colpa sua, è bravissimo come interprete, ma non ci sono risorse che possa utilizzare per far risaltare la sua voce e quel che è peggio, quel pizzico di comicità più cartoonesca che altro, sfuma il personaggio. completamente. Ed è impossibile non menzionare l’inconsistenza di quel punto di ossessione o di abuso nei confronti delle donne, che è stato aggiunto alla personalità di un Don Giovanni, i cui principi elementari non sono stati modificati ma distrutti. Esiste però un’aria di Doña Inés di Adriana González, con testi di Sor Juana Inés de la Cruz, che le permette di mettere in mostra il suo straordinario talento di soprano. E personalmente ho trovato il lavoro di Juan Francisco Gatell -Don Luis Mejía- estremamente convincente e molto buono. È impossibile evidenziare il lavoro di qualcun altro. Insisto perché in questo caso il punteggio va a sfavore dell’artista. E l’uso del madrigale, o meglio dei quartetti vocali ispirati ai madrigalisti del Rinascimento, è stato ammirato e riconosciuto da una parte della critica e dall’altra c’è chi tra noi non ha gradito affatto. Non c’è modo per la voce di risaltare quando la musica non aiuta.

La messa in scena di “Señor Serrano” diretta da Álex Serrano e Pau Palacios, con la consulenza drammaturgica di Clara Serra, è supportata dall’uso della tecnologia con la proposta audiovisiva di un gigantesco video dal vivo. In teoria, il regista intende ricreare le riprese di un film a cui abbiamo assistito “dietro le quinte” e l’uso del video supporta questo presunto film che si sta girando e che ovviamente riguarda Tenorio. Ma l’immagine che ha, sì, di grande qualità, manca di significato, proporzione e concetto. C’è una passeggiata nel dettaglio degli elementi che compongono la decorazione che a volte risulta noiosa e troppo densa. Le riprese delle scene con il chromakey verde sono l’unico punto visivo che mi piace. Passare la macchina da presa sopra i bicchieri di caffè o un primissimo piano sulla manipolazione della frutta o sul trucco che c’è per gli attori nel “film” è un eccesso di cattivo gusto, senza alcun senso. Le scene sono molto lente e noiose, e non c’è una narrazione chiara che abbia il suo apice alla fine con l’alzarsi dello schermo in cui vediamo un palcoscenico vuoto senza che ci sia un uso pratico di quel vuoto. Non c’è nulla dall’inizio e rimane così. Se viene proposto uno scenario vuoto lo si riempie con un concetto chiaro, ma quando questo non esiste il vuoto è ancora più vuoto. Si insulta il personaggio di Tenorio mettendolo in frigorifero senza la minima giustificazione, così come si insulta il testo, facendolo tutt’uno con questo miscuglio di cose assurde. Viene utilizzato solo il boccascena, il che compromette non solo lo spazio scenico ma anche l’acustica e il suono. Non c’è bellezza o pulizia negli elementi presenti. Manca il senso estetico, il che compromette seriamente la grandezza dello spettacolo operistico. Il meraviglioso Teatro Real è troppo grande per questo inconsistente Tenorio.

Ricardo Ladrón de Guevara
(17 maggio 2024)

Originale spagnolo

No es verdad ángel de amor, que cuando algo no brilla,

durante la función no deja uno de mirar el reloj

y solo se siente placer cuando termina”

Todos tenemos en alguna parte de la memoria o del recuerdo, y por qué no, en alguna parte del corazón al Don Juan Tenorio, que es el epítome del enamorado y que para los que aún creen en el amor, es aquella figura de la literatura que no solo sufre por amor, sino que probablemente demuestre que no se puede amar sin sufrir.

Y si. El “Tenorio” de Tomás Marco te hace sufrir, pero por razones muy diferentes y muy específicas. La versión para escena se ha estrenado en este mes mayo en Madrid tras una historia digna de cualquier tragedia de amor también.  Y es que ésta ópera nace por encargo del Estío Musical Burgalés entre 2008 y 2009, para estrenarla en 2010 y por muchas razones, sobre todo financieras, no puede hacerlo y en 2017 lo hace, pero como concierto en el Auditorio de San Lorenzo de El Escorial, después se hace en Sevilla, y más se graba en disco.  y luego tiene la oportunidad de subir al escenario del Teatro Real con un texto que se basa en el de Zorrilla, enriqueciendo sus conocidos versos con pasajes de Moliére, Zamora, Quevedo, Lorenzo de Ponte y el genial Tirso de Molina y hasta poemas de Sor Juana Inés de la Cruz. Y es que el texto no solo permite comprobar lo acertado y perpetuo del mito de Don Juan Tenorio sino que ahonda en la rotundidad de su historia. Prosa y verso cargados de significado y de la brillante luz que la palabra tiene cuando es dicha desde el corazón. Pero, claro, existe una necesidad en algunos creadores de revertir los valores de lo clásico y hacerlos más “modernos” lo cual es un principio creativo o más bien conceptual, que es o no discutible pero que tiene sin duda, una única forma de hacerse, si es que se quiere resultar acertado con esta decisión de remozar lo clásico y es la excelencia. Si vas a traer un texto de otro siglo a éste y quieres llenarlo de tecnología y de modernidad, solo tienes una manera de hacerlo, precisamente por respeto al clásico, y es perfecto.

Y la perfección aquí se ha apartado radicalmente de “esta orilla” y no es factible saber a dónde ha ido a parar.

El primer elemento que carece de cualquier valor destacable o reconocible es la música. Tomás Marco tiene su propio sentido del recurso musical. No encontramos aquí brillo sonoro, incluso en varias ocasiones la partitura no permite el lucimiento ni de los músicos ni de los cantantes. No despierta en quien la escucha, emociones. Hay un viso de monocorde en todo que riñe claro, con la creatividad y por supuesto con la asertividad. Hay un uso insoportable de la percusión sin sentido ninguno y que va creando distracciones e interrupciones que en nada ayudan al desarrollo dramático. La música no permite la continuidad del discurso, porque carece de un concepto. Aunque no es posible dejar de destacar la labor de Santiago Serrate, que alza la batuta frente a la titular del Teatro con destreza , profesionalidad, fuerza y con un innegable talento.

Las actuaciones de los artistas carecen de espectacularidad, porque no hay una base de donde arrancar, que realmente les permita brillar. Joan Martín -Tenorio- cumple, pero no se destaca especialmente, no emociona. Y eso no es su culpa, él es brillante como intérprete, pero es que no hay recursos que pueda utilizar para que su voz destaque y lo que es peor, ese dejo de comicidad que es más caricaturesco que otra cosa, hace que el personaje se desdibuje completamente. Y no es posible dejar de mencionar lo desacertado, de ese punto de obseso o abusador con las mujeres, que se ha agregado a la personalidad de un Don Juan, al que se le han, no cambiado sino destrozado sus principios elementales. No obstante Hay un aria de la Doña Inés de Adriana González, con letra de Sor Juana Inés de la Cruz, que le permite hacer gala de su extraordinario talento como soprano. Y en lo personal el trabajo de Juan Francisco Gatell -Don Luis Mejía- me pareció extremadamente convincente y muy bueno. Siendo imposible destacar el trabajo de nadie más. Insisto, porque la partitura va en contra del artista en este caso.  Y es que el uso del madrigal, o mejor dicho cuartetos vocales inspirados en los madrigalistas del Renacimiento, han sido admirados y reconocidos por una parte de la crítica y en la otra parte, estamos los que no nos ha gustado nada. No hay forma de que las voces se destaquen cuando la música no ayuda.

La puesta en escena de “Señor Serrano” liderada por Álex Serrano y Pau Palacios, con la asesoría dramatúrgica de Clara Serra, está apoyada en el uso de la tecnología con una propuesta audiovisual de un gigantesco video en directo. En teoría el Director pretende recrear la filmación de una película a la que asistimos “entre bastidores” y el uso del video apoya esta supuesta película que se está rodando, y que obviamente es sobre Tenorio. Pero, la imagen que tiene, si, de una gran calidad, carece de sentido, de proporción y de concepto. Hay un paseo por el detalle de los elementos, que conforman el decorado que en ocasiones resulta tedioso y demasiado denso. El rodaje de escenas sobre un croma verde son el único punto visual que gusta. Pasear la cámara por los vasos de café o un primerísimo prime plano del manoseo de las frutas o los maquillajes que están allí para los actores de “la película” resulta un exceso de mal gusto, sin ningún sentido. Las escenas son muy lentas y tediosas, y no hay una narrativa clara que tiene su apogeo al final con la subida de la pantalla en la que vemos un escenario vacío sin que haya un uso práctico de ese vacío. No hay nada desde el principio y así se mantiene. Si se plantea un escenario vacío, se llena con un concepto claro, pero cuando este no existe, lo vacío es aún más vacío. Se Insulta al personaje del Tenorio metiéndolo en una nevera sin que haya la más mínima justificación, tal y como se insulta el texto, haciéndolo uno con esta mezcla de cosas absurdas. Se utiliza el proscenio únicamente, lo que compromete no solo el espacio escénico sino la acústica y la sonoridad. No hay belleza ni limpieza en los elementos presentes. No hay sentido estético, lo que compromete seriamente la grandeza del espectáculo operístico. El maravilloso Teatro Real le queda muy agrande a este insustancial Tenorio.

Ricardo Ladrón de Guevara

La locandina

Direttore Santiago Serrate
Regia Àlex Serrano, Pau Palacios (Collettivo “Señor Serrano”)
Scene e luci Cube.bz
Direzione artística Jacobo Cayetano (Zuloark)
Costumi Atena Pou Clavell, Joan Ros Garrofé
Drammaturga Clara Serra
Video Xavier Gibert
Assistenti allá regia Anna Llopart / Cristina Cubells
Cameramen Bibiana Gispert, Marc Costa
Personaggi e interpreti:
Tenorio Joan Martín-Royo
Don Luis  Juan Franciso Gatell
Doña Inés Adriana González
La Narración Juan Antonio Sanabria
Doña Ana Lucía Caihuela
Lucía Sandra Ferrández
Orquesta Titular del Teatro Real
Coro del programma Crescendo del Teatro Real
Maestro del coro Luis Basso

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