Madrid: l’attualità di Theodora
Theodora è, in sostanza, una donna, ed esserlo nel suo contesto forse era molto difficile. Per questo bisogna considerare la sua storia dalla prospettiva dei nostri giorni, non perché oggi sia più facile essere donna, ma perché in questi tempi una donna è mille volte più donna di quanto lo fosse allora.
L’Oratorio, che debuttò nella severa Londra del 1750, diventa contemporaneo, attuale. Si colloca nel tempo con forza, estetica e, soprattutto, buon gusto. L’opera, in tutte le sue forme, è eterna, e nulla contribuisce di più alla sua essenza che il fatto che i registi portino i grandi classici nel presente più assoluto, rispettandone le fondamenta. Un lavoro che merita sempre di più l’applauso più sincero, perché se c’è una cosa che tutto questo fa è dare vita al genere.
La proposta audace e talentuosa di Katie Mitchell è quella di riportare la storia della Theodora di Thomas Morell, basata sull’opera di Robert Boyle Love and Religion Demonstrated in the Martyrdom of Theodora and Didymus, ai giorni nostri, ambientandola in una cucina di un raffinato salone da ricevimenti in un’elegante ma sobria ambasciata, oppure come prostituta in un nightclub. Ma, soprattutto, rendendola una donna e lasciandola essere donna. In questa storia si confrontano da sempre la fede – perché ciò in cui si crede determina la condotta, ciò che si è e ciò che si fa – e i valori, che sono sempre stati sotto la feroce sentenza della religione e delle credenze. È molto interessante osservare come una storia che attraversa i secoli non solo non abbia perso rilevanza, ma potrebbe avvenire anche adesso.
Il dispositivo scenico creato da Chloe Lamford è forse uno degli elementi più eloquenti della rappresentazione. Dotato di una versatilità straordinaria, di una pulizia visiva e al contempo di una forza spaziale travolgente, è una scenografia mutevole, precisa, ben progettata, ottimamente elaborata e straordinariamente ben sfruttata dal cast. Qualcuno potrebbe sostenere che non aggiunge nulla o che addirittura altera il senso dell’opera. La storia rimane esatta e fedele, ma sì, in un contesto che l’autore non avrebbe mai potuto immaginare. È qui che risiede il genio di tutto questo. E sì, c’è chi potrebbe giudicare la presenza di signorine vestite in modo molto succinto che compiono vere e proprie acrobazie su una barra metallica su cui “ballano”, o meglio, salgono, scivolano, si contorcono e dominano, non solo come atto carnale, ma anche come dimostrazione innegabile di come una donna cammini quando indossa grandi tacchi e gira in aria o calca la realtà a terra.
Quando si afferma che la storia si presenta intatta, c’è un elemento che emerge con forza: essendo un oratorio, è normale e logico che l’azione risulti rallentata. Il tempo scorre con molta calma, perché le azioni sono praticamente suggerite, e non del tutto concrete. Ma la regia non solo consolida il lavoro attoriale e interpretativo in questa “lentezza”, ma introduce una risorsa meravigliosa che mette alla prova l’artista, magnificandone la destrezza corporea e creando un’atmosfera ineguagliabile di sensazioni e sentimenti anche per il pubblico: il rallentatore. Questo slow motion contribuisce all’intensità drammatica in modo innovativo e sorprendente. Un’ulteriore sfida per tutti e, al contempo, un piacere.
E se qualcosa merita una menzione speciale, è l’impeccabile illuminazione ideata da James Farncombe, un vero elemento di perfezione.
Ovviamente, il momento più importante di tutta questa sinfonia artistica è senza dubbio la musica. La straordinaria opera di Georg Friedrich Händel ha una personalità propria. Non è creata per rafforzare o intensificare il testo: no, la musica esiste di per sé. Accompagna, ma ciò che realmente fa è essere ed esistere. Ogni accordo è intriso di una sonorità unica e rappresentativa, che conferisce autenticità e, soprattutto, identità. Ivor Bolton svolge un magnifico lavoro alla guida delle corde, sollevando la bacchetta con la forza che la responsabilità impone, non solo per conquistare, ma per emozionare.
E senza dubbio è nelle voci che si concentra la maggiore emozione, il valore più alto e il tesoro condiviso più prezioso. Iestyn Davies, il contraltista che dà vita a
Didymus, che in un momento si vestirà come lei, ma che sarà sempre vestito di un talento traboccante e di un controllo della tecnica vocale impeccabile. Questo artista britannico possiede una sensibilità particolare e sul palco riesce ad amare, essere picchiato e piangere, tutto con la stessa intensità, mettendo sempre in mostra il suo straordinario apparato vocale. Per quanto riguarda Julia Bullock, che a differenza di altre Theodora è presente in scena fin dall’inizio dello spettacolo, questa soprano statunitense, con una presenza scenica forte e carismatica, affronta il personaggio con precisione e commuove profondamente. Non è per fare paragoni, ma il personaggio di Irene interpretato da Joyce DiDonato rappresenta un valore altissimo per la dinamica scenica dell’opera, conquistando il pubblico per la ricchezza del ruolo e i momenti di grande brillantezza che offre all’artista. Questo mezzosoprano americano, specializzata in Händel, ci ha lasciati tutti stupefatti con la sua straordinaria voce, la dizione, il fraseggio ineguagliabile e, soprattutto, la dedizione sul palco. Nota per la sua agilità nella coloratura, è stata capace di deliziarci con la sua maestria e il controllo dei toni gravi. E, per alcuni di noi, non possiamo non menzionare il geniale Ed Lyon, il nostro preferito: questo straordinario tenore britannico, con una voce potente, consacrata e autentica, ha trasformato il personaggio di Septimius in un atto di puro talento e arte sublime. Straordinario è dire poco per un artista così sublime.
Degna di nota è anche l’eccellente performance del coro titolare del teatro, diretto da José Luis Basso, in questa eccezionale coproduzione tra il Teatro Real e la Royal Opera House – Covent Garden di Londra, che per la prima volta è presentata in versione scenica.
Si parla molto del duetto finale interpretato dagli amanti prima dell’esecuzione, ma il duetto del primo atto è carico di emozione, amore e speranza, e il fulgore delle loro voci, mentre vivono una realtà profondamente propria, li rende ancora più brillanti. Ci sarà sempre spazio per l’amore nelle tragedie, e ogni storia d’amore finirà sempre male, perché così è il mondo, così è la vita. Per questo, amerà sempre la pena amare ed essere amati. Gloria all’amore che Theodora è capace di provare.
Ricardo Ladrón de Guevara
(23 novembre 2024)
Original en español
Theodora es en esencia mujer y serlo en su contexto quizá era muy difícil, por eso hay que mirarlo desde la óptica de nuestros días, y no porque ahora sea más fácil ser mujer, si no porque en estos tiempos una mujer es mil veces más mujer que antes.
El Oratorio estrenado en el severo Londres de 1750, se hace contemporáneo, se hace actual. Se sitúa en el tiempo con poderío, estética y sobre todo buen gusto. La ópera en todas sus formas es eterna y no hay algo que contribuya más a su esencia que los Directores introduzcan los grandes clásicos en el más absoluto presente, respetando sus bases. Una labor que cada vez merece el aplauso más sincero porque si algo hace todo esto es darle al género vida.
La propuesta de la osada y talentosa Katie Mitchell es retrotraer la historia de la Theodora de Thomas Morell, basada en la obra de Robert Boyle “Love and Religion Demonstrated in the Martyrdom of Theodora and Didymus” a nuestros días, haciendo que trabaje en la cocina de un exquisito salón de fiestas de una elegante pero sobria embajada o como prostituta en un Night Club. Pero por sobre todas las cosas haciéndola, mujer y dejándola ser mujer. Se confrontan en esta historia desde siempre la fe porque en lo que se cree determina la conducta y lo que se es y se hace. Los valores siempre han estado bajo la feroz sentencia de la religión y las creencias y es muy interesante ver como una historia en siglos no solo es que no ha perdido vigencia si no que podría estar sucediendo ahora mismo.
El dispositivo escénico que ha creado Chloe Lamford es posiblemente uno de los elementos más elocuentes de la función. Dotado de una versatilidad abrumadora, de una limpieza visual y a la vez una contundente y arrolladora fuerza de espacio. Es una escenografía cambiante, es precisa, está bien diseñada, muy bien elaborada y extraordinariamente bien utilizada por el elenco. Hay quien podría opinar que no aporta o que incluso cambia el sentido de la obra. La historia se mantiene exacta y fiel, pero si, en un contexto en el que jamás su autor soñó que pudiera estar. Allí radica la genialidad de todo esto. Y si. Hay quien podría juzgar el hecho de que aparezcan señoritas muy ligeras de ropa haciendo verdaderas proezas en esa barra metálica en la que “bailan” o más bien dicho, suben, se deslizan, se retuercen y dominan no solo como un acto carnal si no como una muestra innegable de como pisa una mujer cuando lo hace en grandes tacones y en el aire dando vueltas o abajo en el suelo pisando la realidad que le toca vivir
Cuando se dice que la historia se presenta intacta, hay un elemento que está presente y de que forma!. Al ser un oratorio, es normal y lógico que la acción se vea relentizada. El tiempo transcurre con mucha paciencia porque las acciones prácticamente están sugeridas y no son digamos así concretas. Pero, es que la dirección artística no solo es que consolida el trabajo actoral e interpretativo en esta “lentitud” es que introduce un recurso, maravilloso que pone a prueba al artista porque magnifica su destreza corporal y genera una atmósfera inigualable de sensaciones y sentimientos incluso en el público espectador y es la Cámara lenta. Esta Slow Motion viene a contribuir con la intensidad dramática de manera virtual y rompedora. Representando un reto para todos y un deleite también.
Y si algo merece un apunte aparte es la impecable iluminación que James Farncombe ha diseñado. Un verdadero elemento de perfección.
Pero, claro, llega el momento de hablar del que es sin duda alguna el punto más importante de toda esta sinfonía de cosas artísticas y es la música. La genial obra de Georg Friedrich Händel tiene personalidad propia. No está hecha para afianzar o intensificar el texto, no, la música existe por si sola y una cosa es que acompañe, pero lo que realmente hace es ser y existir. Cada acorde está impregnado de una sonoridad única y representativa que le da autenticidad y sobre todo identificación. Ivor Bolton hace un magnífico trabajo al frente de las cuerdas y levanta su batuta con la fortaleza que la responsabilidad conlleva no solo para lograr gustar, si no para conseguir emocionar.
Y sin duda alguna en las voces está la mayor emoción, la mayor valía y el tesoro compartido más valioso. Iestyn Davies el Contratenor que da vida al Didymus que en un momento se vestirá de ella, pero que siempre estará vestido de un talento rebosante y un manejo de la técnica vocal impecable. Este artista británico está dotado de una particular sensibilidad y sobre el escenario logra amar, ser apaleado y llorar todo con la misma intensidad y siempre haciendo gala del aparato vocal que tiene. En el caso de Julia Bullock que a diferencia de otras Theodoras está presente en escena desde el principio del espectáculo, soprano estadounidense con fuerza escénica y carismática presencia, que con exactitud encara el personaje y conmueve enormemente. Y no es por establecer comparaciones pero es que el personaje de Irene de Joyce DiDonato representa un valor tan alto para la actividad escénica de la obra, que logra una empatía tal con el público, por lo rico del personaje y por los momentos de brillo que le ofrece a la artista. Esta mezzo norteamericana también, especializa en Handel nos ha dejado a todos atónitos con su extraordinaria voz, su dicción, su fraseo incomparable y sobre todo su entrega sobre el escenario. Se le conoce sobre todo por su coloratura como Mezzosoprano ligera, y ha sido capaz de deleitarnos con su agilidad, con su virtuosismo y sobre todo con el manejo de los graves. Y para algunos de nosotros, no podemos dejar de decir que también el genial Ed Lyon es nuestro favorito, pues este extraordinario tenor británico con una potente, consagrada y realista voz que ha hecho del Septimius un acto contundente y talentoso de arte puro. Excelente es poco para este artista tan sublime.
Y es muy destacada la labor del Coro titular del Teatro a cargo de José Luis Basso en esta estupenda coproducción entre el Teatro Real y la Royal Opera House – Convent Garden de Londres y que por primera vez tiene versión escénica .
Mucho se habla del dueto final que interpretan los dos amantes antes de ser ejecutados, pero el que interpretan en el primer acto está cargado de emoción, amor y esperanza y el brillo de las voces cuando están sentimentalmente viviendo una realidad muy suya los hace ser aún más brillantes. Siempre habrá lugar para el amor en las tragedias y siempre acabará mal cualquier historia de amor, porque así es el mundo y así es la vida, por eso, siempre valdrá la pena amar y ser amado.
Gloria al amor que Theodora es capaz de sentir.
Ricardo Ladrón de Guevara
(23 novembre 2024)
La locandina
Direttore | Ivor Bolton |
Regia | Katie Mitchell |
Scene | Chloe Lamford |
Costumi | Sussie Juhlin-Wallén |
Luci e video | James Farncombe |
Coreografia | Sarita Piotrowski |
Intimacy coordination | Ita O’Brian |
Personaggi e interpreti: | |
Theodora | Julia Bullock |
Irene | Joyce DiDonato |
Didymus | Iestyn Davies |
Septimius | Ed Lyon |
Valens | Callum Thorpe |
Messenger | Thando Mjandana |
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real | |
Maestro del Coro | José Luis Basso |
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