Il cielo nella voce Crisi e riscatto di una cantante lirica
Non c’è due senza tre, ed ecco che dopo aver presentato il suo Il cielo nella voce Crisi e riscatto di una cantante lirica (Diastema, 2022, pagg. 168, Euro 14) a Roma, dove risiede, nell’ambito della kermesse sul libro Più libri, più liberi, e nella natia Genova, Maria Fausta Gallamini si appresta ad accompagnare la sua creatura alla Libreria Minerva di Trieste.
La città giuliana fu la prima a offrire una scrittura al giovane soprano ligure che si era fatta notare in un concorso televisivo, affidandole il personaggio di Gretel in un’edizione in versione italiana del capolavoro di Engelbert Humperdinck che Il Teatro Verdi aveva destinato al pubblico delle scuole.
«Torno volentieri a Trieste – dice – l’ho già fatto qualche anno fa, con mio marito, tornando da una breve vacanza in montagna. È stato piacevole, la pandemia non ce la immaginavamo neanche. Di Hänsel e Gretel, la mia prima scrittura da professionista a poco più di vent’anni, conservo il ricordo prezioso di Gianfranco Masini che ci preparò alle recite nel migliore dei modi. Era un musicista molto bravo, e purtroppo non è più con noi. Trieste mi piaceva, mi ricordava Genova. Della successiva esperienza estiva in Cin Ci Là al Politeama Rossetti mi ero quasi dimenticata. E dire che la trasmisero in televisione e che, volendo, si può trovare in rete …
- Non ama l’operetta?
Non la conoscevo per niente e, rivedendomi dopo tanto tempo, mi sono stupita di come mi sono buttata in un’esperienza completamente diversa dalle cose cui ero abituata, con persone completamente diverse da quelle che frequentavo. È stata comunque un’esperienza che mi ha insegnato molte cose.
- Veniamo al libro: come e quando ha deciso di scriverlo?
L’idea è germogliata molto lentamente. Fra i trenta e i cinquant’anni ho attraversato un periodo di dolore. Mi dispiaceva di non essere potuta arrivare con il canto e la musica, che erano il centro della mia vita, dove avrei voluto. C’erano tante cose di me che erano entrate in una bolla di dolore che continuava a oscurare il mio carattere che è gioioso, vivace. Questa nuvola pesava sempre di più. Poi, la mia vita si è chiarita, mi sono sposata, ho un matrimonio felice, un rapporto bellissimo con mio marito e questo mi ha fatto scattare nuove decisioni. Ho cominciato a buttare giù delle sensazioni, così, per il puro piacere di entrare nella bolla di dolore e cercare, scrivendone, di esorcizzarla. Poi è arrivata la pandemia, eravamo tutti chiusi a casa. Mi sono detta, pensando ai miei nipoti, devo mettere giù tutto nero su bianco. È stato mio marito a suggerirmi di scrivere un libro. Mi sono detta, proviamo e l’ho fatto con sincerità. I nipoti, che non sapevano niente di questa mia prima vita di successi, quando hanno letto la bozza del libro mi hanno detto che li avevo fatti piangere. Poi l’ho consegnato e sentivo che andava via da me, non lo potevo rileggere di continuo per correggerlo, come facevo. Ora che è stampato non lo rileggo più e sono contenta di averlo scritto.
- Scala, Salisburgo, Opéra di Parigi, i maestri più importanti dell’epoca, da Karajan a Prêtre, da Abbado a Seiji Ozawa: la sua carriera, breve, è stata costellata da incontri importanti di cui si parla molto nel libro. Quando tutto questo non c’è stato più, cosa ha fatto?
Da Genova mi ero trasferita a Roma, ho lavorato al centro agli Astalli in un’organizzazione dei Gesuiti che dava accoglienza ai rifugiati. Ogni giorno andavo in un ambulatorio in cui il mio compito era di accogliere queste persone sfortunate che arrivavano a Roma da ogni parte del mondo. Era molto faticoso e a un certo punto ho deciso di smettere. Mi hanno contattato, però, dall’ufficio internazionale del Jesuit Refugee Service, la struttura che organizza tutti gli uffici del mondo, e mi hanno chiesto di fare quello che, mai e poi mai, avrei pensato di fare nella vita. Raccogliere fondi presso le congregazioni religiose che sono sempre più povere di persone, per la crisi delle vocazioni, ma che volevano contribuire economicamente ai progetti di accoglienza.
- Nel suo libro parla della sua rinascita, di come ha ritrovato la sua voce grazie all’incontro con un’insegnante a New York e al suo ritorno alle scene, in Giappone, con il Falstaff di Verdi su invito di Ozawa. E dopo quel Falstaff non ci sono state altre occasioni?
Dopo quel Falstaff non è più successo niente, Ozawa che mi aveva dato quest’opportunità perché mi voleva aiutare, non ha più potuto farlo, io non avevo agente, non l’ho mai avuto, mi chiamavano direttamente i direttori o i registi. Era un mondo diverso da quello che ho ritrovato.
- Ha mai pensato di insegnare?
Non credo di averne la capacità e il talento. Oggi, se ascolto cantare la Netrebko mi prende uno “scriccichino” nel cuore, per non averlo saputo fare io, ma, alla fine, la musica l’ho messa da parte…
- Pensa che Un cielo nella voce possa essere utile ai giovani che intraprendono la difficile strada della musica e del canto?
Credo di sì, perché è un libro onesto. Ho voluto raccontare il senso di colpa che mi ha accompagnato per tanto tempo. Non potevo accettare di aver perso il mio strumento, la voce. Ho lottato per ricostruirlo all’interno di me stessa. È un libro che dà delle risposte sincere e indica la possibilità di una rinascita a chi, per un motivo o per l’altro, perde la propria voce.
Grazie Maria Fausta, l’appuntamento a questo punto è mercoledì 8 novembre alla Libreria Minerva di Trieste. Non mancate!
Rino Alessi
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