Maria José Siri, un soprano figlia del mondo per la musica

Il soprano Maria José Siri sarà a breve impegnata in Manon Lescaut alla Deutsche Oper Berlin e successivamente sarà protagonista della stagione Areniana veronese. L’abbiamo raggiunta per qualche domanda a cui ha accettato gentilmente di rispondere.

  • I suoi studi musicali e esperienze lavorative le hanno permesso di visitare diversi paesi e di lavorare in numerosi e prestigiosi Teatri internazionali. Vi è un’esperienza che l’ha particolarmente segnata nella sua formazione o nel suo modo di esibirsi sul palcoscenico?

L’esperienza che mi ha più segnata fu quando salii per la prima volta sul palcoscenico da solista. Facevo parte del coro di Montevideo quando qualcuno che aveva una compagnia di zarzuela mi diede l’opportunità di debuttare nel ruolo della protagonista di “Luisa Fernanda”. Le prove le facevamo in una sala, ma quando abbiamo fatto la prima prova in palcoscenico e soprattutto alla prima recita mi resi conto che c’è un abisso fra quello che si studia e quello che ti dà il palcoscenico, e quindi l’esperienza più allucinante è stata quella. Dopo son venuti palcoscenici molto più importanti quali il Carlo Felice di Genova su cui ho fatto il mio debutto italiano nelle vesti di Leonora nel “Trovatore”, Il Massimo di Palermo, il Teatro alla Scala e alcuni teatri tedeschi, tutti teatri molto importanti con orchestre incredibili, e quindi piano piano mi adeguavo alle esigenze più grandi e direttori più esigenti.

  • In Italia ha trovato la sua “base operativa” ideale; cosa l’ha colpita in particolare in positivo e in negativo del nostro paese?

Io amo l’Italia, ho sempre amato la lingua italiana ma non l’ho mai studiata, ho studiato altre lingue. Abitare in un paese in cui ascolto questa lingua mi rilassa, è musicale, e non mi succede con tutte le altre lingue che a volte mi stressano. L’Italia è la culla dell’opera, soprattutto per quanto riguarda il mio repertorio. Venire a vivere in Italia non è una cosa che abbia cercato, ma sicuramente è una cosa positiva vivere nel luogo in cui la gente sa a memoria l’opera, la respirano, è una cosa quotidiana, una situazione molto diversa dal paese in cui sono nata, l’Uruguay, in cui ci sono certamente molti melomani che però non hanno l’opportunità di viaggiare ed ascoltare cantanti ecc.

  • Ma torniamo alla musica con una domanda più tecnica. Come approccia lo studio di un nuovo personaggio? Preferisce partire dalla caratterizzazione o si lascia ispirare dalla partitura?

Quando devo imparare un nuovo personaggio inizio dalla partitura, devo leggere la musica e contemporaneamente il libretto e ove possibile anche il testo originale, se posso in lingua originale.  Ma la prima cosa è sempre la musica perché già con le mie mani al pianoforte apprendo di che cosa si tratta e poi scendo in dettaglio con le singole arie, duetti, concertati, recitativi e così via.

  • Gode di una Fan-base molto ampia sui social-media. Quanto il riscontro con il pubblico è importante per lei professionalmente e come persona?

Per me il riscontro con il pubblico è importantissimo. Noi artisti apriamo il cuore una volta che siamo in palcoscenico, e soprattutto adesso tramite i social le persone possono rivolgersi direttamente a noi facendo domande sul personaggio per esempio, o chiedono di poterti incontrare dopo lo spettacolo. I tempi sono cambiati e ora i cantanti lirici, e parlo di quelli della mia generazione, sono più accessibili e disponibili per una conversazione in chat. Io sono sempre disponibile soprattutto per i giovani e amo mantenere un rapporto quotidiano rispondendo a tutti, a meno che ovviamente non sia molto impegnata. Penso che questo serva per infrangere il mito del cantante come essere speciale che non deve esser mai disturbato. Io invece la penso esattamente all’opposto: noi ci alimentiamo anche di questo interesse, di questa passione e di questo amore. Ho sempre avuto questo approccio con la gente, ho stretto amicizia con delle persone che sono rimaste nel mio cuore, e quindi sono regali che mi ha portato l’opera: se non facessi questo mestiere non avrei mai conosciuto queste persone.

  • Negli ultimi giorni si è ridiscussa l’importanza del ruolo del suggeritore negli spettacoli operistici. Crede che sia una figura necessaria o al giorno d’oggi sacrificabile?

La figura del suggeritore: se è sempre esistito un motivo ci sarà. Purtroppo al giorno d’oggi è sempre più raro trovare un suggeritore: è più frequente nei paesi con il “repertorio” come in Germania, in cui i teatri hanno una compagnia di canto stabile che troverebbe difficile cantare anche tre ruoli diversi in una settimana senza l’aiuto del suggeritore, soprattutto per quanto riguarda le parole, e considerato anche che cantano in varie lingue. In questo caso il suggeritore è essenziale; per il resto mi sto abituando alla sua assenza, non soffro moltissimo la mancanza, ma mi sembra che quelli erano i grandissimi maestri preparatori ed è questa la cosa che mi spaventa, ossia che certe figure spariscano. Personalmente non ne avverto il bisogno, non mi sento insicura in una recita senza suggeritore, però mi dispiace che sparisca una figura tanto fondamentale del palcoscenico.

  • Ha recentemente debuttato al Teatro Verdi di Salerno con Tosca, un personaggio da lei molto amato e cantato. Come la sua lettura di un personaggio si sposa con i differenti allestimenti e scelte registiche? E rimanendo in tema, è più a suo agio in un contesto calligrafico/tradizionale o moderno?

Sì io mi diverto con le trasposizioni di ambientazione ed epoca; non mi piacerebbe fare la stessa produzione sempre allo stesso modo. La meraviglia dell’opera è che ti devi confrontare sempre con persone diverse, direttori, registi, colleghi diversi. È stato un piacere immenso fare questa Tosca di Salerno, ne porterò un ricordo felicissimo. In generale mi piacciono quindi sei le regie tradizionali che quelle cosiddette moderne, solo che in entrambi i casi devono rispettare il libretto: il pubblico deve esser messo in condizione di capire la storia. A volte questo non accade, e non gradisco molto i registi che si inventano cose, è tutto già scritto. Se al contrario inventano qualcosa che aggiunge al linguaggio generale dell’opera per renderla più interessante, ne sono molto felice, altrimenti no.

  • A giugno si esibirà nella Manon Lescaut in scena alla Deutsche Oper Berlin (dopo il fortunato successo scaligero), e successivamente sarà immancabile ospite per la stagione areniana con Aida. Esibirsi nella città che l’ha adottata la porta a subire una pressione maggiore sul risultato della sua performance oppure le facilita l’esecuzione?

Esibirsi all’Arena è sempre un grandissimo piacere; è uno dei miei palcoscenici preferiti, e, lo dico sempre, cantare all’aperto, guardare il cielo, vedere le stelle, con tutta la gente a semicerchio a volte con le candeline e a volte in totale silenzio è stupendo. È meraviglioso quando si genera questo silenzio di ascolto nell’opera. Adoro quel luogo e mi ci sono sempre trovata benissimo. È una grande responsabilità ma preferisco pensare non alla paura ma alla gioia di cantare in un posto come l’Arena.

  • Che messaggio lancerebbe alle giovani generazioni di cantanti che si affacciano all’ambito professionale in questi anni?

Ai giovani di studiare, di non mollare alla prima difficoltà di qualsiasi tipo. Questa è una disciplina dura che richiede molto studio e impegno; a volte bisogna capire che il corpo va allineato in un certo modo perché la tecnica è quella ti porterà a cantare meglio in modo sempre più salutare; è quindi un percorso che richiede molta umiltà in cui si fanno molti sbagli e le cose non sempre vanno come vorremmo. Dico ai cantanti giovani che se davvero amano questo mestiere devono studiare con molto impegno e quando trovano un ostacolo devono pensare che quell’ostacolo è lì per farli crescere, perché imparino qualcosa e facciano nuove esperienze.

Matteo Pozzato

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