Mario Cassi, la musica è il mio grande rimedio
«Come vivo questo periodo di reclusione? Non in maniera serena, devo dire» risponde, senza troppe esitazioni, Mario Cassi, il baritono toscano, al telefono da Arezzo, la sua città, cui è molto legato, tanto da aver partecipato «con enorme piacere» al primo Arezzo rARo Festival, la rassegna voluta dalla Fondazione Guido d’Arezzo e dal Comune di Arezzo e realizzata in collaborazione con la Filarmonica Gioachino Rossini e con Classica HD che, nel luglio dello scorso 2019, ha riportato la grande musica d’arte nella bella città toscana. Un cartellone all’insegna dell’esclusività con l’eccezione de La Traviata conclusiva in cui Cassi, in carriera da vent’anni scarsi, ha ripetuto al Teatro Romano di Arezzo, il personaggio verrdiano di Germont padre.
Laureato in economia all’Università di Firenze, Mario Cassi ha studiato canto privatamente nella sua città dapprima con Slavka Taskova Paoletti, la Lulu di Boulez, poi con Alessandra Rossi e Bruno de Simone. Nel 2002 vince il secondo premio al Concorso Viotti di Vercelli e ottiene il premio speciale Cesare Bardelli al “Toti Dal Monte” di Treviso che lo porta al debutto nella Cenerentola di Gioachino Rossini.
Nel 2003, all’importante concorso Operalia organizzato da Placido Domingo gli assegnano il Premio per la Zarzuela e nel 2004 si afferma anche al concorso Spiros Argiris di Sarzana.
I debutti importanti sono l’inevitabile prosecuzione di un percorso dagli inizi molto lusinghieri che è coronato dalla chiamata di Riccardo Muti per il personaggio brillante del Dottor Malatesta nel Don Pasquale di Donizetti.
Con Muti nel Don Pasquale, Cassi è in scena al Ravenna Festival e al Musikverein di Vienna, ma anche all’Opéra Royal de Wallonie di Liegi, teatro cui negli anni è rimasto molto legato, e in cui affronta quello che è un po’ il suo cavallo di battaglia, Figaro nel Barbiere di Siviglia di Rossini, personaggio interpretato un po’ dappertutto, dall’Arena di Verona al Teatro Real di Madrid, dal Palau de les Arts di Valencia al Liceu di Barcellona, dall’Opéra di Montecarlo, fino al Colon di Buenos Aires, e, in Italia, a Firenze, alle Terme di Caracalla, al San Carlo, al Teatro Verdi di Trieste, per non parlare del Rossini Opera Festival sotto la direzione di Alberto Zedda dove è stato Figaro per la prima volta.
Nel 2017 è ancora Malatesta in Don Pasquale a Düsseldorf con la regia di Rolando Villazon; nel 2018 è protagonista di Don Giovanni a Colonia dopo aver partecipato a più edizioni di Così fan tutte nell’ultimo spettacolo strehleriano ed essere stato Papageno.
Negli ultimi anni amplia il suo vasto repertorio che a Mozart, Rossini e Donizetti affianca il barocco de La Calisto di Cavalli, l’opera contemporanea di Henze e rarità come I due Figaro di Mercadante, e s’indirizza verso il belcanto romantico di Riccardo nei Puritani di Bellini, Enrico in Lucia di Lammermoor, il Conte di Vergy in Gemma di Vergy sempre di Donizetti e, dello stesso autore, La favorite in versione originale francese.
Verdi arriva a Liegi con Germont padre nel 2016, e il Conte di Luna del Trovatore per la regia di Stefano Vizioli nel 2018: all’Arena di Verona debutta nel 2019 in Aida.
«La preoccupazione – prosegue ancora Mario Cassi – è soprattutto per i miei cari che riesco ad andare a trovare con moderazione, come ci è stato richiesto. I miei genitori, che mi hanno molto sostenuto quando ho deciso di dedicarmi alla musica. Il rischio di contagio è grande. Sono arrivato a quest’inattività forzata dopo un periodo di superlavoro, con lunghe permanenze in Giappone tanto per dire un solo Paese. Vivendo da solo, mi occupo di tutto in casa e devo fare tutto. Lo stress fisico mi ha fatto bene, sono molto dimagrito e questo nella mia professione aiuta ed è un toccasana per la mia schiena che mi dà qualche piccolo problema. In apparenza, quindi, mi sento abbastanza bene studio molto e ascolto tanta musica. La mia collezione di dischi e di CD è veramente molto vasta. Psicologicamente comincio ad avere paura. Una sensazione di disagio incontrollabile, legata all’incertezza per il futuro, che è rara in una natura solare come la mia. In pratica, non riesco a vedere la mia felicità in un mondo di persone infelici. E, soprattutto, non riesco a pensare di tornare a lavorare in palcoscenico, finché non finisce questo strazio disumano.».
Pure, con questo strazio e con quest’incertezza, bisogna convivere…
«Certo, e il mio grande rimedio è sicuramente la musica e lo studio dei nuovi personaggi che, non so quando, mi aspettano. Un conforto mi viene dalle parole che mi rivolse quando cantai in concerto all’Ambasciata italiana di Parigi, la moglie dell’ex Presidente del Consiglio francese Balladur che da anni convive con la malattia degenerativa del figlio. In quest’ora, mi disse, mi ha fatto dimenticare i problemi di ogni giorno. È il più bel complimento che io abbia mai ricevuto…».
Che autore sta studiando Mario Cassi? «Verdi. È arrivato il momento di approfondirlo. Già la mia prima insegnante mi aveva pronosticato un destino verdiano vista l’estensione del mio registro acuto. Il Conte di Luna è, per il momento, il personaggio che mi ha più dato soddisfazioni, ma è ancora un amoroso. Ora mi aspettano i ruoli paterni. Simon Boccanegra me l’avevano già proposto, ma ho deciso di rimandare il debutto e lo sto avvicinando. Poi c’è Monforte de I Vespri Siciliani che già avevo esaminato con interesse in passato e che ora sto rimettendo in voce. Non è il caso di fare anticipazioni, evidentemente, ma è in programma per il 2021, pandemia permettendo.».
Che Verdi ti porti fortuna allora, Mario Cassi!
Rino Alessi
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