Martina Franca: Il filo rosso del Borghese gentiluomo, tra apparire ed essere
Il “meraviglioso ermafrodito” – così Strauss soleva chiamare il suo Borghese gentiluomo – trova un’ulteriore affascinate natura nel concetto-progetto in scena al Festival della Valle d’Itria a Martina Franca.
L’opera-balletto-commedia, nella quale la Parigi di Molière cede il passo alla Vienna di Hofmannstahl, diventa qui un pretesto virtuoso per porre a fuoco i problemi che investono la cultura e la sua fruizione all’indomani dello scemare dell’emergenza pandemica.
La questione si concentra su apparenza ed essenza – viste non necessariamente in contrasto tra di loro – nel momento in cui la cultura deve tornare ad svolgere un ruolo primario nella vita sociale, anche attraverso chi ad essa arriva non per sete di sapere ma anche per dar sfoggio di munificenza e ostentare una ricchezza materiale spesso di recente acquisizione.
Monsieur Jourdain è dunque il mecenate moderno – sicuramente migliore di tanti parvenu di casa nostra – che tenta di nobilitarsi anche attraverso l’arte e la conoscenza.
Nell’allestimento immaginato dal talentuoso Davide Gasparro, fatto di spazi forzatamente vuoti ma riempito di idee, si rappresenta l’uomo che ricerca una nuova collocazione nel tempo presente e nel futuro, senza smarrire il passato.
La metafora dei leggii che vengono continuamente spostati fino a trovare una posizione logica e, forse, definitiva è lampante ed efficace, così come il fili rossi che costituiscono barriere il cui superamento è possibile solo con la mutua collaborazione.
Poi ancora i costumi sui manichini, in attesa che qualcuno torni a vestirli sembrano un monito ad agire.
I movimenti coreografici di Fabrizio Di Franco, danzati assai bene da lui stesso e da Matilde Gherardi alternano fluidità e convulsione e sono, ancora una volta, perfetta riproduzione del tempo attuale.
A Davide Gasparro sono affidati anche gli interventi recitati che punteggiano l’esecuzione – letti alla Prima da Stefano Massini che di essi è autore – e che qualche volte spiegano l’ovvio, il che in un momento emergenziale non è per forza un demerito: l’idea che la cultura dia lavoro e per questo debba essere retribuita non fa parte del sentire comune, purtroppo. Gasparro affronta allora i monologhi con leggerezza giustamente distaccata e unita ad un pizzico di sana ironia ma anche con sapido puntiglio.
Alla testa dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari Michele Spotti offre una lettura della parte musicale che mette in luce attraverso una ben meditata scelta ritmica e dinamica tutta la viennesità dell’impaginato; rubati, rallentando, piccoli giochi di metronomo ammiccano in una narrazione spiccatamente rapsodica. Le tre danze di Lully e l’ampia scena dei Turchi sono, sotto la bacchetta di Spotti, un capolavoro di equilibrio e misura
La parte cantata – la traduzione italiana di Quirino Principe non è esente da pecche – è affidata a Vittorio Prato, che disegna un Monsieur Jourdain capace di muoversi anche a tempo di danza senza mai perdere di vista fraseggio ed accenti, mentre Ana Victoria Pitts e Barbara Massaro danno vita rispettivamente al Pastore e alla Pastora, cogliendone con precisione la natura.
Bravissimi, tutti, gli invitati turchi, ovvero Manuel Amati, Nico Franchini, Vassily Solodkyy, Alfonso Zambuto, Alberto Comes, Eugenio Di Lieto, e Djokic Strahinja.
Pubblico partecipe e successo meritato per l’intera compagnia.
Alessandro Cammarano
(1 agosto 2020)
La locandina
Direttore | Michele Spotti |
Mise en espace | Davide Gasparro |
Movimenti scenici | Fabrizio Di Franco |
In collaborazione con Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto | |
Luci | Pietro Locicero |
Personaggi e interpreti: | |
Monsieur Jourdain | Vittorio Prato |
Pastore | Ana Victoria Pitts |
Pastora | Barbara Massaro |
Invitati Turchi | Manuel Amati, Nico Franchini, Vassily Solodkyy, Alfonso Zambuto, Alberto Comes, Eugenio Di Lieto, Djokic Strahinja |
Danzatori Fabrizio | Di Franco, Matilde Gherardi |
Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari |
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