Martina Franca: Pizzi va a nozze con il Matrimonio segreto

Attualizzare non vuol dire necessariamente stravolgere, anzi; la trasposizione degli eventi narrati in un’opera per renderne immediatamente intellegibili al pubblico contemporaneo lo spirito e il significato è in certo senso doveroso.

Pierluigi Pizzi, nel Matrimonio segreto – titolo che aveva affrontato una sola volta, come scenografo di una produzione romana che vedeva alla regia Sandro Sequi – proposto al Festival della Valle d’Itria e del quale cura regia, scene e costumi, offre un perfetto esempio di come lo spostamento temporale dal Settecento a oggi giochi un ruolo essenziale alla comprensione del senso più vero e profondo dell’opera.

La struttura scenica è la medesima dell’Ecuba, ma se nella tragedia di Manfroce i vuoti prevalgono sui pieni, nel Matrimonio segreto le pareti si chiudono a dar vita ad un open space tripartito, la cui vetrata di fondo ricorda quelle rigorose dell’architettura razionalista, sul quale si aprono varie porte che corrispondono alle stanze dei protagonisti.

Don Geronimo è un collezionista-gallerista, prova ne siano le tele di Burri e Fontana appese alle pareti e le sedie Wassily al centro della scena, oltre ad una serie di complementi d’arredo d’autore che sembrano usciti da un numero speciale di “AD”; Paolino non è più un garzone un po’ ingenuo, ma un valido collaboratore del mercante d’arte, tanto che quando non si trova invescato nel turbine degli equivoci amorosi lavora al computer.

Carolina ed Elisetta diventano due ragazze emancipate la cui personalità emerge con forza, così come Fidalma da zitellona acida e vogliosa si trasforma in una donna ancora piacente e dichiaratamente alla ricerca di un toy-boy.

Al Conte Robinson spetta il ruolo del piacione da lounge bar, spesso un po’ sopra le righe, ma sempre e comunque ironico.

Il ritmo imposto da Pizzi è quello di una sit-com sofisticata, con tempi teatrali calibrati al millimetro e un’attenzione assoluta alla mimica facciale e al linguaggio del corpo.

Tutti sono vestiti benissimo in un impasto cromatico perfetto anche nei contrasti; i kimono di Fidalma sono da passerella, cosi come la camicia fantasia del Conte Robinson, passando per i pantaloni bianchi e la polo nera di Paolino che ricordano gli outfit di Cary Grant nelle fotografie di Cecil Beaton.

Le caccole, care a certa “tradizione” qui non trovano spazio: la sordità di Geronimo, per esempio è appena accennata; si ammicca invece di esternare e la comicità insita nella musica e nel libretto trova piena esaltazione.

La scena della tentata seduzione di Fidalma nei confronti di Paolino è un capolavoro in cui la donna vogliosa diventa una piovra a venti tentacoli, il tutto senza mai derogare al buon gusto.

La giovanissima compagnia di canto contribuisce a creare una chimica pressoché perfetta, con il risultato di una recitazione affiatata e mai affettata.

Michele Spotti, bacchetta venticinquenne da tenere sott’occhio perché potrà offrirci motivi di grande soddisfazione, riesce nell’arduo compito di domare la resilienza alla leggerezza dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli – forse ancora non del tutto defatigata dopo l’Ecuba – e a dar vita ad una lettura dell’impaginato cimarosiano improntata ad una gradevolissima narratività, ponendo l’accento sui punti salienti attraverso agogiche ammiccanti e slanci dinamici ben calibrati.

Proprio perché nel Matrimonio segreto non ci sono protagonisti, tutti assurgono al ruolo di parte principale, in questo caso onorando pienamente il compito loro assegnato.

Marco Filippo Romano è Don Geronimo di cospicui mezzi vocali, qui impiegati in un canto intelligente e privo di qualunque indulgenza al comico “facile”, mettendo in luce il mezzo carattere del personaggio.

La Carolina di Benedetta Torre si beneficia di un fraseggio ben controllato e di un’assoluta naturalezza nella recitazione, così come Maria Laura Iacobellis – Elisetta – convince per la verve unita ad una voce dal colore gradevole.

Ana Victoria Pitts è Fidalma volitiva e dalle movenze di una sophisticated lady degna di una commedia anni Trenta.

Il Paolino di Alasdair Kent sembra uscito da un college inglese, tenero e deciso, oltre che cantato con bella musicalità.

Vittorio Prato è nato per il palcoscenico e il suo Conte Robinson risulta incantevole per vocalità e prestanza fisica, forte tra l’altro di un fraseggio mai banale.

Il pubblico si diverte – e come non potrebbe – decretando un successo pieno per tutti, con Pizzi alla ribalta a prendersi gli applausi con il sorriso di chi sa di aver scritto una bellissima pagina di teatro in musica.

Alessandro Cammarano
(31 luglio 2019)

La locandina

Direttore Michele Spotti
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci / Regista assistente Massimo Gasparon
Personaggi e interpreti:
Signor Geronimo Marco Filippo Romano
Elisetta Maria Laura Iacobellis
Carolina Benedetta Torre
Fidalma Ana Victoria Pitts
Conte Robinson Vittorio Prato
Paolino Alasdair Kent
Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari

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