Mauro D’Alay: 12 Violin Concertos Op. 1
“Mauro d’Alaia, che era venuto in Inghilterra in compagnia di Faustina [Bordoni], era un buon violinista e un valente direttore. Il suo modo di suonare era assai brillante e chiaro (sehr brillant und deutlich), ma non si addentrava in difficoltà fuori dell’ordinario”. Così lo giudicò Quantz, re dei flautisti e flautista dei re, dopo averlo ascoltato al teatro di Haymarket durante la stagione operistica londinese del 1727. E questo è invece Farinelli, re dei castrati e castrato dei re, in una relazione sulle sontuossime nozze dell’Infante di Spagna Don Felipe, futuro sovrano di Parma, con la figlia primogenita di Luigi XV (1739): “La Perucchiera [Anna Maria Peruzzi] cantò un’aria con violino a solo servita dal famoso Maurino. Questo col suo manico ha superato ogn’uno […] Basta, lui con l’assistenza del suo merito fa da prima donna all’ultimo eccesso”. Due testimonianze di peso che concordano nell’inquadrare il violinista parmense fra i massimi comprimari, se non proprio fra i protagonisti assoluti, di una stagione della musica europea egemonizzata dalle ugole d’oro di castrati e primedonne in formato esportazione.
E come compositore? Restano ancora sub judice le passionali iperboli nazionaliste di Fausto Torrefranca, spintosi a definire D’Alay “vero musicista profeta”, precursore del secondo stile galante nonché addirittura del Classicismo fino a Boccherini e Mozart inclusi. Per autenticare siffatte patenti di nobiltà si dovrebbero semmai studiare e includere in repertorio i manoscritti inediti conservati in varie biblioteche italiane (Venezia, Napoli, Gorizia) e tedesche (Dresda, Wiesentheid, Darmstadt). Ciò che finora ci offriva la discografia era una registrazione di sei sonate a violino e continuo, ovvero la metà strumentale di una collezione di Cantate e Suonate stampate a Londra nel 1728 (CD Tactus, 1999). Dynamic vi aggiunge ora l’integrale della prima e unica sua pubblicazione puramente strumentale: XII Concerti a violino principale, violino primo e secondo, alto viola, violoncello e cimbalo […] Opera prima, Libro primo, Amsterdam, Le Cène, 1725. È senza dubbio un progresso, ma anche qui la destinazione ad un pubblico internazionale misto di professionisti e buoni dilettanti non ci consente di percepire appieno lo scarto fra la pagina scritta – quando più e quando meno “brillante e chiara” secondo la testimonianza di Quantz – e i procedimenti estemporanei di prassi esecutiva che giustificherebbero i coevi riconoscimenti di “virtuoso sublime” ovvero, per dirla con Farinelli, di quel merito del “manico” che certo non doveva difettare ad un affermato solista di lungo corso come il Maurino da Parma.
Tale è fra i moderni lo stesso Luca Fanfoni, anch’egli parmense purosangue. Al suo attivo – oltre al suono bello, di volta in volta argentino e profondo – sta la costruzione di un ensemble a geometria familiare: la moglie Antonella Tanetti e il figlio Daniele (violini) più gli altri rampolli Benedetta (viola), Massimiliano (violoncello) e Camilla (tamburino francese) ne sono le colonne; altri amici vi si uniscono per integrare una pattuglia di otto elementi che suonano praticamente a parti reali. Suonano su strumenti originali d’epoca o copie fedeli, ma senza estremismi “autenticisti” quanto a incordatura e arco; ed è comunque un gran bel suonare.
Dunque dove sta il problema? Nell’atteggiamento letteralista di fronte alla pagina scritta, dove il polistilismo di transizione – fra corellismi e vivaldismi di maniera (una Follia; tanti attacchi recisi in forma di “motto” seguiti da catene di progressioni) con aggiunta di spezie cromatiche e di condimenti francesi, iberici e mitteleuropei – finisce per risultare frammentario e non risolve in una cifra stilistica unitaria che ricada decisamente o nel perimetro cameristico o in quello orchestrale. All’infuori, forse, di una generale asimmetria nel fraseggio e nel ritmo che potrebbe anche passare per imitazione della sfrenata libertà praticata dai cantori teatrali dell’epoca, spesso a dispetto dei compositori. Insomma Maurino non è un Bach, grande assimilatore di linguaggi disparati: il suo violinismo sembra piuttosto guardare all’opera, e non a caso i cantabili affidati al violino principale nei movimenti lenti centrali sono il suo vero punto di forza per intensità espressiva e gravitas di accento.
O meglio, anche qui l’eccezione c’è: l’assolo di viola nel Largo del concerto n. 5; valeva magari la pena di accentuare in altri luoghi questa apertura all’ideale concertante in dialogo con le altre voci della compagine, che qui appaiono un filo troppo sottomesse e prive d’iniziativa? Tirando le somme: un disco a tratti di piacevole ascolto, che con qualche maggiore audacia interpretativa poteva rivelarci un profilo d’autore meritevole di ulteriori approfondimenti.
Carlo Vitali
Mauro D’Alay: 12 Violin Concertos Op. 1 | |
Reale Concerto, direttore e violino principale Luca Fanfoni | |
2 CD DYNAMIC CDS7892.02 (2021) |
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