Maxim Mironov: «Credo che una vera Donizetti Renaissance non sia ancora avvenuta»
A poche ore dall’andata in scena della “Fille du régiment” al Teatro Comunale di Bologna, in cui farà il suo debutto come Tonio, Maxim Mironov, astro del Belcanto, ha risposto ad alcune nostre domande sul suo personaggio, su Donizetti e non solo.
- In questi giorni sei impegnato nella produzione della “Fille du régiment” al Teatro Comunale di Bologna. Tonio non è solo nove Do; Donizetti, al di là delle apparenze ne fa un personaggio complesso. Qual è la tua visione?
Certamente i nove, o a volte anche dieci o addirittura venti Do (se si fa il bis) sono un bell’ostacolo da superare. L’aria di Tonio è diventata il Sacro Graal dei tenori e il pubblico si aspetta qualcosa di sovrumano dalla sua esecuzione. Per me, la seconda aria è più eccitante; è più corta, meno espansiva ma piena di quella malinconia belcantistica che solo compositori come Donizetti e Bellini sapevano captare. L’arco del personaggio si appoggia su queste due arie; tra l’una e l’altra passa il tempo, e Tonio nel secondo atto non è più un ragazzino innamorato, ma un uomo maturo che è sopravvissuto alle battaglie ed è profondamente cambiato. Un’unica cosa è rimasta invariata: il suo amore per Marie.
- La riscoperta di Donizetti è iniziata prima di quella di Rossini, ma una vera Donizetti Renaissance è relativamente recente. Perché, secondo te?
Credo che una vera Donizetti Renaissance non sia ancora avvenuta. Forse a Bergamo mancano persone come Gianfranco Mariotti o Alberto Zedda per Rossini a Pesaro, pronte cioè a dedicare la propria vita a Donizetti, che credono in lui e nella sua arte. È solo così che si può avere una vera Renaissance e arrivare alla riscoperta più diffusa dell’immenso patrimonio che ci ha lasciato Donizetti, un compositore così estremamente prolifico di cui si conoscono sei-sette opere al massimo; ma ciò vale anche per gli altri compositori del Belcanto. Di Mercadante si conosce appena il nome, per esempio, nonostante abbia scritto più di sessanta opere teatrali. E vogliamo parlare di Pacini o di Zingarelli? Manca la consapevolezza che questo immenso patrimonio musicale italiano va salvaguardato e gelosamente custodito, perché rappresenta non solo l’identità culturale del popolo, ma anche una risorsa inesauribile di benessere di questo paese.
- Le tue interpretazioni si distinguono sempre per un giusto equilibrio di rigore e fantasia. Come si arriva ai tuoi risultati?
La risposta potrebbe risultare banale, ma è l’unica vera: studiare, pensare, ascoltare, leggere, essere curiosi e non essere mai soddisfatti del risultato. Ho avuto la fortuna di collaborare con i migliori direttori d’orchestra, cantanti e registi; di tutte queste esperienze ho fatto tesoro e continuo ad arricchirlo con nuove conoscenze ancora oggi. Ogni persona che incontriamo può insegnarci qualcosa, sta a noi imparare.
- Perdonami la domanda un po’ banale, ma, oltre ad essere bravi, oggi essere belli aiuta più che in passato?
Intanto grazie per il complimento. Non mi ritengo affatto particolarmente bello, ma me lo dicono spesso e dunque ci devo credere. L’aspetto fisico ha sempre aiutato, secondo me, ma se prima un cantante come Pavarotti poteva, con il potere del canto, diventare giovane, bello e snello, adesso non è più così. Il pubblico, viziato dalla televisione e dal cinema, vuole vedere la corrispondenza esatta tra il fisico del cantante e il personaggio che interpreta. L’opera diventa sempre più spettacolo da vedere piuttosto che da ascoltare. La moda degli ultimi anni delle opere in diretta nei cinema ha peggiorato le cose e messo noi cantanti alla pari con i divi di Hollywood. Dunque siamo obbligati a stare al passo e a curare l’aspetto fisico.
Oltre a quelli squisitamente belcantistici quali sono i personaggi che vedi più vicini alla tua vocalità e con i quali ti piacerebbe confrontarti?
In questo caso è la voce a comandare: bisogna assecondare lo sviluppo vocale nelle scelte dei ruoli. Per adesso sto molto bene nel soave belcanto dell’ottocento. Pian piano scopro i nuovi ruoli di Bellini, Donizetti e Mercadante. Ultimamente mi sono anche immerso nel meraviglioso mondo della musica da camera. Con l’uscita, l’anno scorso, del mio primo CD “La ricordanza” con le musiche di Bellini ho aperto una porta magnifica e segreta che ha portato me e il mio pubblico a esplorare un repertorio sublime. Continuando le ricerche ho preparato un nuovo CD con le musiche di Rossini, con il quale celebro la memoria del 150esimo anno dalla scomparsa del Cigno pesarese. Sarà in distribuzione tra poche settimane.
- Ultima domanda. Cosa pensi del teatro di regia?
Penso che il teatro di regia d’opera abbia bisogno di registi geniali. Solo nelle loro mani e con la loro immaginazione si possono fare delle cose per le quali vale la pena spendere tempo e denaro. Molti credono che fare le regie moderne dell’opera sia una cosa facile. È la cosa più difficile in assoluto! Perché il regista si mette in compagnia di persone come Rossini, Verdi, Puccini, Mozart, Da Ponte e con questi ragazzi qui bisogna essere molto bravi; perché in caso contrario vincono sempre loro.
Certamente il teatro d’opera non può rimanere ingessato nel passato. Ma per farlo bene in modo contemporaneo bisogna avere qualcosa di geniale da proporre. Molto spesso mi sono capitate produzioni estremamente moderne dal punto di vista visivo ma allo stesso tempo estremamente vecchie dal punto di vista della recitazione dei cantanti. Ambientano l’opera sul Marte, ma quando si arriva al finale primo, tutti si piazzano belli belli sul proscenio e cantano come se fossero nel 1812! Pochi registi moderni hanno saputo superare questo ostacolo.
Alessandro Cammarano
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