Milano: che noia il Gianni Schicchi secondo Woody Allen, meglio Salieri
Mentre Milano langue sotto i calori estivi, sul palcoscenico scaligero va in scena un insolito dittico: Prima la musica poi le parole di Antonio Salieri e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini.
Tralasciando il fatto che il Trittico pucciniano non andrebbe mai smembrato, non solo per rispetto della volontà dell’autore ma anche per regioni intrinseche a una continuità drammaturgica voluta e non casuale, il divario fra i due atti unici è abissale.
Salieri crea un divertissement in cui i quattro personaggi che agiscono fanno la parodia alle stravaganze del mondo del teatro. Un maestro di cappella che bisticcia col poeta, due primedonne – una seria e l’altra buffa – che si contendono il primato della celebrità. Molti i riferimenti settecenteschi: opere, arie e personaggi fra i quali spicca il famoso castrato Luigi Marchesi.
L’operina, complice la simpatica ma poco caricaturizzante regia di Grischa Asagaroff, decolla solo alla fine col meraviglioso quartetto contrappuntistico che rende giustizia alla vera arte di Antonio Salieri.
Fra le belle scene di Luigi Perego si sono mossi con fresca disinvoltura Anna-Doris Capitelli, Francesca Pia Vitale e Maharram Huseynov (allievi dell’Accademia del Teatro alla Scala) affiancati dal poliedrico Ambrogio Maestri.
Assai discussa la regia di Gianni Schicchi firmata da Woody Allen. Il celebre regista americano omaggia il neorealismo italiano trasformando l’opera più-fiorentina-che-fiorentina-non-si-può in una sorta di parodia della malavita italiana. Numerosi gli stereotipi che ritraggono il Belpaese nei suoi cliché triti e ritriti, divertenti per una commedia brillante ma che poco c’azzeccano con la vicenda di dantesca memoria.
Nonostante la scena e i costumi di Santo Loquasto fossero di felice impatto visivo, le luci di York Kennedy (riprese da Marco Filibeck) non hanno contribuito a sottolineare alcuni passi che avrebbero richiesto maggior rilievo.
Il divario tra regia e partitura aumenta quando lo Schicchi di Ambrogio Maestri, vestito da gengster con tanto di doppiopetto gessato, canta alcune frasi con accento toscano.
Ancor più straniante la direzione di Ádám Fischer, più a suo agio in Salieri ma assai lontano dalla poetica pucciniana. Preciso e geometrico, la sua bacchetta manca di abbandoni e di quel clima sinistro che rende grottesca e inquietante tutta la partitura.
Ciò nonostante gli allievi dell’Accademia si sono complessivamente difesi ottenendo un risultato vocale di buon livello grazie dalla preparazione di Eva Mei.
Tecnicamente Woody Allen si conferma un fuoriclasse anche in questa sua parentesi operistica discutibile ma non trascurabile.
Gian Francesco Amoroso
(10 luglio 2019)
La locandina
Prima la musica e poi le parole | |
Direttore | Ádám Fischer |
Regia | Grischa Asagaroff |
Scene e costumi | Luigi Perego |
Luci | Marco Filibeck |
Personaggi e Interpreti | |
Maestro di cappella | Ambrogio Maestri |
Donna Eleonora | Anna-Doris Capitelli |
Tonina | Francesca Pia Vitale |
Poeta | Maharram Huseynov |
Gianni Schicchi | |
Direttore | Ádám Fischer |
Regia | Woody Allen |
Regia ripresa da | Kathleen Smith Belcher |
Supervisore | Grischa Asagaroff |
Scene e costumi | Santo Loquasto |
Luci | York Kennedy |
Personaggi e Interpreti | |
Gianni Schicchi | Ambrogio Maestri |
Lauretta | Francesca Manzo |
Zita | Daria Cherniy |
Rinuccio | Chuan Wang |
Gherardo | Hun Kim |
Nella | Marika Spadafino |
Betto | Lasha Sesitashvili |
Simone | Eugenio Di Lieto |
Marco | Giorgi Lomiseli |
La Ciesca | Caterina Piva |
Orchestra del Teatro Alla Scala |
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