Milano: i dolori del Giovane Carlo
Tredici minuti di applausi, conditi comunque da marcato dissenso nei confronti degli autori dell’allestimento e da qualche intemperanza verso Riccardo Chailly, hanno salutato la fine del Don Carlo che ha inaugurato la Stagione 2023-2024 del Teatro alla Scala.
Ancora una volta il teatro meneghino ha scelto la versione italiana “di Milano” in quattro atti del 1884 – approvata per altro dallo stesso Verdi – probabilmente anche per una questione di tempi televisivi che con le versioni in cinque atti, quella originale francese e quella “di Modena” del 1886, avrebbero “sforato” non di poco.
Certo è che prima o poi anche la Scala dovrà fare i conti con il Don Carlos con la S, così come fanno oramai da tempo le principali case d’opera internazionali; resta comunque il fatto che, in qualunque modo lo esegua, Don Carlo(s) sia uno dei massimi vertici non solo del catalogo verdiano, ma dell’intera storia del teatro in musica.
Nota di colore: la serata si è aperta con il Sovrintendente Dominique Meyer al proscenio per celebrare il Canto Lirico Italiano inserito ieri, insieme alla Baguette – si parva licet – nel Patrimonio Immateriale UNESCO..
Lluís Pasqual sceglie la via dei tableau vivant nei quali i richiami a Velasquez – che per altro dipingerà la corte di Filippo IV qualche decennio più tardi rispetto agli eventi narrati – sono quasi prepotenti quando per esempio, durante la “Canzone de velo”, le danze, coreografate da Nuria Castejón, sono affidate tra gli altri a due coppie di nani, figure frequenti non solo alla corte di Spagna.
Poi ci sono frati guerrieri, lo strapotere dell’Altare sul Trono?, eretici precipitati in una botola durante l’autodafé – le scene sono di Daniel Bianco – e successivamente grigliati su un caminetto che pare uno di quelli “fighetti” a butano che si trovano nei rustici di campagna ristrutturati da architetti di grido mentre la Voce dal Cielo canta di redenzione e in sala, pratica stantia, si accendono mezze luci “evocatrici”.
La porta ctonia servirà anche per fare emergere il Grande Inquisitore e far sprofondare, durante il Finale l’Infante ribelle come fosse un Don Giovanni qualsiasi portato via questa volta dal Frate-Carlo V e non dal Commendatore.
Il resto sono i cancelli dorati della cattedrale di Valladolid e un cilindro rotante e scomponibile di pannelli alabastrini all’interno dei quali non si vede pressoché nulla se non grandi inginocchiamenti e gruppetti statici.
Belli i costumi rigorosamente storici disegnati da Franca Squaciapino ed accettabili le luci di Pascal Mérat.
Chailly opta per colori plumbei, tempi a tratti fin troppo sostenuti, affondi orchestrali pesanti, come se la narrazione dovesse essere intesa a mo’ di una trenodia senza soluzione di continuità, il tutto con volumi tali da mettere la buca quasi sempre davanti al palcoscenico.
Nel ruolo eponimo non brilla Francesco Meli che, nonostante l’indubbia bellezza della voce e di un fraseggio appassionato, appare affaticato sin dalle prime battute arrivando ad omettere il Si naturale di “Sarò tuo salvatore” nel secondo atto. Peccato, perché il personaggio, con le sue angosce e tensioni, c’è tutto.
Anna Netrebko è Elisabetta di grande caratura, soprattutto quando non la prende “di petto” e sbriglia la voce in un canto libero e ricco di mezzevoci rapinose. “Tu che le vanità”, soprattutto quando richiama alla mente la Francia, è una fantasmagoria di colori.
La Principessa d’Eboli di Elīna Garanča è una leonessa indomita, capace di un controllo assoluto sulla voce, padrona di un fraseggiare imperioso che trova la sua espressione migliore in “O don fatale” più che nella “Canzone del velo”.
Luca Salsi disegna un Posa che mette l’amicizia al di sopra di qualsiasi ambizione senza tuttavia mai perdere di nobiltà. La voce corre sicura trovando sempre i giusti accenti.
Che Michele Pertusi, terzo tra i Filippo II designati, non fosse in perfetta forma lo si era intuito sin dalle sue prime battute tanto che prima dell’inizio del terzo atto Meyer è tornato al proscenio annunciando che nonostante l’indisposizione il basso avrebbe proseguito comunque la recita.
Da lì in poi è stato un crescendo: Pertusi, evidentemente rassicurato, si è reso protagonista di una prova maiuscola, scolpendo un “Ella giammai m’amò” di rara intensità e quasi superandosi nel successivo, tremendo, duetto con il Grande Inquisitore a cui dava voce e corpo un tonitruante e incomprensibile Jongmin Park in sostituzione di Ain Anger e interprete anche di Un Frate.
A completare con onore il cast Elisa Verzier (Tebaldo), Jinxu Xiahou (il Conte di Lerma/un Araldo reale), Rosalia Cid (Una voce dal cielo), Huanhong Li (Il Frate-Carlo V), e i sei Deputati Fiamminghi Chao Liu, Wonjun Jo, Huanhong Li, Giuseppe De Luca, Xhieldo Hyseni e Neven Crnić.
Superbo il coro preparato da Alberto Malazzi e in buon spolvero l’orchestra.
Della reazione del pubblico si è già detto.
Alessandro Cammarano
(7 dicembre 2023)
La locandina
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Lluís Pasqual |
Scene | Daniel Bianco |
Costumi | Franca Squarciapino |
Luci | Pascal Mérat |
Video | Franc Aleu |
Movimenti coreografici | Nuria Castejón |
Personaggi e interpreti: | |
Filippo II | Michele Pertusi |
Don Carlo | Francesco Meli |
Rodrigo, Marchese di Posa | Luca Salsi |
Il Grande Inquisitore | Jongmin Park |
Un Frate | Jongmin Park |
Il Frate (Carlo Quinto) | Huanhong Li |
Elisabetta di Valois | Anna Netrebko |
La Principessa d’Eboli | Elīna Garanča |
Tebaldo | Elisa Verzier |
Il conte di Lerma / Un araldo reale | Jinxu Xiahou |
Una voce dal cielo | Rosalia Cid |
Deputati Fiamminghi | Chao Liu, Wonjun Jo, Huanhong Li, Giuseppe De Luca, Xhieldo Hyseni,Neven Crnić |
Orchestra e coro del Teatro alla Scala | |
Maestro del coro | Alberto Malazzi |
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