Milano: il balletto dei balletti in scena alla Scala secondo Nureyev

Il rimedio per la calura che ha invaso Milano in questo torrido luglio viene trovato tra i vermigli velluti refrigerati dall’aria condizionata del Teatro alla Scala. Non pochi hanno avuto la medesima idea (il Teatro è pieno) e, suppongo, non sia solo il caldo l’unica motivazione.

In scena, infatti, una Bella addormentata nel bosco dalla quasi omonima fiaba di Charles Perrault (l’imprecisione di traduzione del francese La Belle au bois dormant ormai ci appartiene imprescindibilmente) che da 12 anni mancava dal capoluogo lombardo. La firma risale al 1966 ed è del mitico “Rudy” (qui ripresa da Florence Clerc), che rielabora le tradizionali quanto immortali coreografie di Marius Petipa, con le quali ogni ballerina prima o poi si cimenta nel suo percorso accademico. Le scene e i costumi sono del premio Oscar Franca Squarciapino e denotano un certo horror vacui, che ben si sposa con la fitta trama coreografica, dove, a parte qualche istantanea, non viene lasciata inespressa nemmeno una singola nota della splendida partitura di Čajkovskij.

In un riccamente decorato palazzo barocco si apre dunque la favola delle favole, che anche i neofiti del balletto riconoscono immediatamente fin dalle prime note del prologo, grazie alla fortuna disneyana che ha conferito una sorta di aura “pop” alla composizione di Pëtr Il’ič. Apogeo del balletto classico e compimento perfetto della danza sinfonica, come afferma lo stesso Nureyev nel 1989, in un prologo e tre atti lungo la vicenda de La Bella addormentata nel bosco si esprime tutta l’eccellenza di una compagnia. E qui con tempi a volte decisamente brillanti, soprattutto nel I atto, dettati dalla bacchetta di Felix Korobov a capo dell’Orchestra del Teatro alla Scala, si rivela la bravura e la padronanza del palcoscenico del corpo di ballo scaligero.

Nelle scene affollate, ad eccezione delle parti riservate al Principe Désiré o Florimondo, che dir si voglia – che denotano quanto il “Tartaro volante” abbia affidato una parte più ricca al protagonista maschile, quasi cucitasi addosso ad esaltazione delle sue straordinarie capacità di danzatore – emerge quindi un’ottima prestazione da parte di tutti gli interpreti, principali e comprimari, sia dal punto di vista tecnico che attoriale.

In primis Nicoletta Manni, chiamata nella recita cui abbiamo assistito a sostituire Svetlana Zakharova ancora non ripresasi da un infortunio, ci è parsa decisamente maturata: delinea infatti una dolce, giovane e ingenua Aurora attraverso una tecnica esibita con disinvolta sicurezza, che lascia spazio all’ottima interpretazione del personaggio, consegnata all’espressività della danza più che alla mimica, come la direbbe Čajkovskij. Accanto a lei un Timofej Andrijashenko in completo stato di grazia: ipnotico il lunghissimo ‘solo’ del II atto sulle acute note del violino e la variazione maschile del III atto innesca l’entusiasmo del pubblico. Corrette le sette fate impersonate da Martina Arduino, Alessandra Vassallo, Christelle Cennerelli, Gaia Andreanò, Agnese Di Clemente, Maria Celeste Losa e Virna Toppi, impegnate a portare ognuna una dote o un augurio in dono alla piccola principessa dormiente tra le braccia delle nutrici e nella dorata culla-letto, che sembra alludere alla conchiglia della nascita di Venere del Botticelli; così come sicuri i quattro Principi dell’Adagio della Rosa, Marco Agostino, Gioacchino Starace, Edoardo Caporaletti e Nicola Del Freo, cui Aurora ammicca, si concede e si nega da virginea civettuola. Di particolare nota, poi, le variazioni del III atto durante il Marriage, dal passo a cinque di Virna Toppi, Alessandra Vassallo, Gaia Andreanò e Alessia Auriemma con Del Freo, al pas de deux del Gatto con gli Stivali di Federico Fresi con la Gatta Bianca di Antonella Albano, all’Uccello Blu di Claudio Coviello accanto ad una strepitosa Principessa Fiorina di Vittoria Valerio.

Ultima nota per la dicotomia del Bene e del Male, impersonata rispettivamente dalla autoritaria quanto emancipata figura femminile della Fata dei Lillà di Emanuela Montanari e dalla Carabosse di Beatrice Carbone, fata cattiva sensuale, magnetica e cangiante.

Interminabili gli appalusi a fine recita, soprattutto per i due giovani protagonisti.

Tania Cefis
(5 luglio 2019)

La locandina

Direttore Felix Korobov
Coreografia e regia Rudolf Nureyev
Scene e costumi Franca Squarciapino
Luci Marco Filibeck
Protagonisti e interpreti:
La principessa Aurora Nicoletta Manni
Désiré Timofej Andrijashenko
Re Florestano XXIV Alessandro Grillo
La Regina Marta Romagna
Catalabutte Riccardo Massimi
La Fata dei Lillà Emanuela Montanari
Carabosse Beatrice Carbone

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