Milano: il bivio di Lorenzo Viotti

Un concerto pregno di atmosfere simboliste ha concluso l’ottobre della Filarmonica della Scala.

Lorenzo Viotti, al suo debutto con l’orchestra, ha scelto un programma tanto particolare quanto affascinante: Siegfried-Idyll di Wagner, L’isola dei morti di Rachmaninov, il Prélude à l’aprés-midi d’un faune di Debussy e il Poema dell’Estasi di Skrjabin. Un programma quasi pianistico nella sua concezione, con brani di medie dimensioni il cui primo, l’Idillio, pone le basi per i successivi, che mostrano tre volti della musica a cavallo tra ‘800 e ‘900. Tre brani dal forte collegamento con i contemporanei movimenti simbolisti, come dimostra L’isola dei morti di Rachmaninov, il più radicato nella tradizione romantica, ma ispirato all’omonimo quadro di Böcklin. Sui collegamenti tra il Prélude debussiano e al poema di Mallarmé e sul Poema skrjabiniano, intriso delle concezioni mistico-filosofiche di Solov’ev, già molto è stato scritto. Altro collegamento interessante è nell’orchestrazione, che nei brani alterna momenti quasi cameristici e ricchi di soli a impasti orchestrali densi e maestosi, con un crescendo durato tutto il concerto che ha condotto fino all’apoteosi conclusiva dell’estasi skrjabiniana.

Portare avanti un programma come questo non è affatto semplice. Il rischio è da un lato la totale stasi, i quattro brani essendo quasi quattro visioni di una medesima tematica; dall’altro vi è comunque il rischio del raffazzonamento, con quattro linguaggi che per quanto connessi presentano differenze sostanziali e richiedono un’orchestra attenta e capace di trasfigurare il proprio suono di venti minuti in venti minuti. È una sfida, questa, che Lorenzo Viotti ha vinto. Forte della sua solidità e della sua usuale perizia nella preparazione dell’orchestra, non ha fatto mancare dettagli di grandissimo fascino, soprattutto in una ricerca timbrica che riusciva effettivamente a trasformare la Filarmonica da un brano all’altro, pur mantenendo una coerenza costante. Filarmonica con cui si è creato un grande affiatamento, notatosi soprattutto in alcuni momenti di totale identità tra il gesto di Viotti e la sagomatura della massa sonora. Questo è risultato evidente in L’isola dei morti, il brano meglio riuscito del concerto, in cui la tensione richiesta dal direttore in alcuni crescendo ha creato vere e proprie ondate spasmodiche verso apici mozzati e improvvisi sprofondamenti nel cupo carattere gotico che anima questo poema sinfonico. L’orchestra, serve a poco dirlo, ha confermato le aspettative, con una compattezza sonora impressionante, forse anche troppo rigida, e delle prime parti che hanno offerto dei soli di raffinato respiro musicale. Questo sia negli archi, a partire dal quintetto iniziale dell’Idillio, che nei fiati, in cui si sono distinti i soli di flauto e oboe nel Prélude e i temibili passaggi delle trombe nel Poema, unico brano ad aver sofferto di qualche lieve instabilità di intonazione e che avrebbe necessitato forse di una prova aggiuntiva. Ma, ormai lo sappiamo, le prove aggiuntive sono utopiche visioni.

L’identità tra compagine e direttore, in ogni caso, è stata percepita con buona chiarezza in tutto il programma, pur soffrendo di quello che è forse il principale problema di Lorenzo Viotti. La sua precisione nel lavoro con l’orchestra è notevole, da vero cesellatore, ma è come se mancasse sempre qualcosa. Forse per un’eccessiva rigidità nella sua ricerca, la sensazione è spesso di un’orchestra frenata, trattenuta, che manca dello slancio necessario e non riesce a trovare quella libertà nel rigore che è fondamentale in brani come il Prélude e il Poema. Proprio questi due hanno sofferto molto dell’assenza di una sensualità più radicata e radicale, che non sfoci mai nel volgare, certo, ma che aderisca come un guanto di velluto al contenuto delle opere. La sensazione, invece, è che si cerchi con attenzione e precisione un’estetica, ma chiedendosi più “come” che “perché”.

Sulla giovane età del direttore di Losanna sono già state spese molte, anche troppe parole. A mio avviso alcune di queste rigidità potranno essere abbandonate solo quando Viotti percepirà di esser visto non più come un giovane che deve dimostrare di essere all’altezza del suo cognome, ma come un musicista maturo e indipendente. Forse proprio il trovarsi a 28 anni con una carriera di tale livello è responsabile di un certo meccanismo di autodifesa, un doversi dimostrare a tutti i costi professionale e integerrimo. Va da sé, però, che molta musica si sacrifica sull’altare della perfezione. Starà a lui scegliere quale percorso intraprendere nei prossimi anni, se proseguire su questa impostazione solida ma un po’ sterile, oppure se lasciar fluire con più naturalezza un’espressività musicale che già possiede. D’altronde i punti più convincenti di tutta la serata, ma anche dei concerti estivi con la Gustav Mahler Jugendorchester, sono stati quei momenti di vivida espressione che, assodata la solidità tecnica, si concedevano di trascinare l’orchestra sulla sua personale ed emotiva percezione. Resta dunque solo da vedere dove si dirigeranno ora lo stile e l’estetica di Lorenzo Viotti.

Alessandro Tommasi
(31 ottobre 2018)

La locandina

Filarmonica della Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Programma
Richard Wagner Siegfried Idyll
Sergej Rachmaninov L’isola dei morti op. 29
Claude Debussy Prélude à l’après-midi d’un faune
Aleksandr Skrjabin Le poème de l’extase op. 54

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