Milano: il destino gira intorno alla guerra

Quasi dieci minuti di applausi hanno posto il sigillo su quella liturgia laica – una delle ultime – che è l’inaugurazione della Scala al termine di uno dei Sant’Ambrogio più riusciti degli ultimi anni.

La Forza del destino mancava da oltre quattro lustri dalle scene milanesi, quando nel 2001 fu rappresentata la prima versione del 1862 – quella che le fece guadagnare la nomea di opera “da scongiuri”, per intenderci – che Verdi compose per San Pietroburgo, e vi ritorna nella revisione approntata per Milano nel 1869, con il libretto di Piave rivisto da Ghislanzoni.

Quello che si è visto ed ascoltato ieri sera convince pienamente, sia dal punto di vista musicale che per quanto concerne l’allestimento.

Leo Muscato firma uno spettacolo di virtuosa tradizione, lontano da oleografie stucchevoli e da strizzatine d’occhio ad un passato che per fortuna è appunto “passato”.

Il Leitmotiv è la guerra – uno degli elementi forti dell’opera – che amplifica le vicende dei protagonisti risolvendo con intelligenza gli scollamenti spazio-temporali che della Forza sono elemento caratterizzante e “scivoloso”.

Grazie alla scena circolare immaginata da Federica Parolini – mentre Silvia Aymonino firma i costumi curatissimi e Alessandro Verazzi il disegno di luci – la ruota del tempo gira portando l’azione dal Diciottesimo secolo ai giorni nostri – l’ultimo atto mostra delle rovine che potrebbero essere quelle di una città ucraina o mediorientale – passando per le trincee innevate della Grande Guerra e raccontando un conflitto che rimane, tragicamente, sempre uguale a se stesso.

Muscato rifugge la retorica, non si pone in cattedra e, con acuta semplicità, pone l’attenzione sull’oggi, purtroppo identico a quello che è stato nel passato, perché, si sa, la storia non insegna nulla; i soldati assumono una valenza amplificatrice e non solo di contorno ai personaggi principali, componendo di volta in volta, sembra un ossimoro, dei tableaux vivants in movimento – che meraviglia il retablo che si compone durante “La Vergine degli Angeli”! – di grande impatto, ponendo in risalto il valore del “tutto”.

Sul podio Riccardo Chailly offre una delle sue prove migliori di sempre, e complice un’Orchestra in stato di grazia, restituisce all’ascolto una Forza di travolgente partecipazione emotiva nella quale la telluricità dei pieni orchestrali si stempera in velluti trasognati allorquando la narrazione si sposta dai molti all’uno, incardinando tutto su scelte dinamiche incalzanti e una tavolozza tale da porre in evidenza tutte le minute preziosità della partitura, il tutto in totale e costante sintonia con il palcoscenico.

Lodi incondizionate al Coro che, preparato certosinamente da Albero Malazzi, si rende protagonista di una prova maiuscola sia dal punto di vista vocale che per quanto riguarda la presenza scenica.

Anna Netrebko, alla sua settima inaugurazione scaligera, disegna una Leonora di Vargas da antologia, coniugando il canto di potenza ad una capacità sublime di dominare i filati e i pianissimi, poggiando tutto su una linea di canto decisa e dolcissima ad un tempo, il tutto a dare vita ad un personaggio cesellato nel fraseggio e convincente nella recitazione.

Non le è da meno Brian Jagde che, corso a sostituire l’annunciato Jonas Kaufmann, conferisce ad Alvaro una vena di fanciullesca incoscienza tale da umanizzarlo ulteriormente; la voce corre sicura, sale impavida all’acuto trovando poi nei centri dorati la sua espressione piena.

Ludovic Tézier, baritono grand-seigneur,  è semplicemente una lezione di canto e di interpretazione; il suo Carlo di Vargas è un caleidoscopio di colori, illuminato da un fraseggio caratterizzato da una nobiltà mai affettata e il suo “Urna fatale” è da antologia.

Nella parte tutto sommato non gratissima di Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya esibisce bel carattere e una voce non grandissima ma ben educata.

Magnifico il Melitone accidioso e poco caritatevole tratteggiato da Marco Filippo Romano, capace di rifuggire da qualsiasi tentazione macchiettistica e mettendo di contro in luce tutta la cattiveria del personaggio.

Assai bene fa anche Alexander Vinogradov, Padre guardiano dal fraseggiare autorevole e dalla cavata setosa.

Carlo Bosi è un Mastro Trabuco extralusso, così come Fabrizio Beggi caratterizza con gusto il Marchese di Calarava.

A completare il cast Marcela Rahal (Curra), Huanhong Li (Un alcade) e Xhieldo Hyseni (Un chirurgo).

Del successo pieno – al netto di una sparutissima contestazione dal loggione – si è già detto.

Alessandro Cammarano
(7 dicembre 2024)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Michela Lucenti
Personaggi e interpreti:
Il marchese di Calatrava Fabrizio Beggi
Donna Leonora Anna Netrebko
Don Carlo di Vargas Ludovic Tézier
Don Alvaro Brian Jagde
Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya
Padre guardiano Alexander Vinogradov
Fra Melitone Marco Filippo Romano
Curra Marcela Rahal
Un alcade Huanhong Li
Mastro Trabuco Carlo Bosi
Un chirurgo Xhieldo Hyseni
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi

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