Milano: il Piccolo Principe e la forza della semplicità

Nei casi migliori, i libri per ragazzi non costituiscono un genere letterario “a parte”, riduttivo per quanto poetico. Semmai, hanno la caratteristica di affidare spesso (ma non sempre) a personaggi semplici e accattivanti – di fantasia o realistici – un mondo di pensiero e una narrazione dalle coordinate universali. Analogamente, scrivere un’opera a partire da questi libri non dovrebbe avere come obiettivo esclusivo la semplicità fine a se stessa, ma dovrebbe partire dalla trasparenza del linguaggio musicale per arrivare a illuminare – grazie anche alla dimensione scenica e drammaturgica – quanto di profondo, complesso, talvolta misterioso ma a suo modo sempre rivelatorio, esiste in queste storie.

Negli ultimi vent’anni, il compositore Pierangelo Valtinoni e il librettista Paolo Madron hanno accettato questa sfida, premiati dal riconoscimento del pubblico in tutto il mondo. Il loro viaggio è iniziato in Italia con Pinocchio, è proseguito in Europa ed è arrivato negli angoli più remoti del pianeta, dall’Australia al continente americano e all’Asia, anche attraverso altri titoli notissimi come La regina delle nevi, Il mago di Oz, Alice nel paese delle meraviglie. Sono opere che contano centinaia di rappresentazioni e che vedono le scene italiane non esattamente in primo piano, quanto ad attenzione, anche se non sono mancate le rappresentazioni nei festival e – negli ultimi tempi – anche in alcuni teatri lirici.

Ora la definizione di “profeti in patria” per Valtinoni e Madron è più vicina, grazie alla decisione del Teatro alla Scala di commissionare loro Il piccolo principe. La Fondazione milanese giunge buona terza dopo istituzioni come la Komische Oper di Berlino e la Opernhaus di Zurigo, ma è la prima a questo livello in Italia. E l’impegno è importante: dopo il debutto assoluto in scena sabato, sono oltre trenta le rappresentazioni in calendario, solo in parte riservate alle scuole, fino all’autunno dell’anno prossimo.

A proposito delle opere tratte dalle storie di Collodi, Andersen e Baum, Valtinoni e Madron hanno parlato una volta di “trilogia della ricerca”, sottolineando l’evidente carattere di formazione di questi soggetti, popolati di personaggi alla ricerca di sé nel mondo. Con Il piccolo principe, dal capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, la ricerca lascia lo spazio all’introspezione. Che si può sempre considerare un modo di scoprire il mondo, evidentemente, ma che in questa storia conduce a una serie di riflessioni di natura squisitamente intima, delineate in un contesto fantastico allo stesso tempo avventuroso e improbabile. Quello che conta nelle vicende e negli incontri del piccolo sovrano del minuscolo asteroide B-612, abitato oltre che da lui solo da una rosa, è la consapevolezza e l’elaborazione dei propri sentimenti, del proprio pensiero, delle proprie aspirazioni.

Strutturata in un Prologo, sette scene e un Epilogo, per un’ora circa di musica, la partitura di Valtinoni conferma la genuina efficacia di una scrittura musicale che conosce il segreto di raggiungere la semplicità comunicativa senza passare per una sommaria semplificazione del discorso. Specialmente nelle pagine solo strumentali, o in quelle in cui lo strumentale prevale, il musicista vicentino lascia trasparire una profondità di approccio – questa è la musica dell’introspezione – che la dice lunga sull’elaborazione necessaria per rifinire l’invenzione in maniera da farla risultare accattivante ma lontana dalla banalità, sempre rigenerando la sua genuina vena melodica.

Il clima espressivo è naturalmente strettamente collegato a quello del racconto di Saint-Exupéry. Il punto d’arrivo è una superiore consapevolezza di sé, e anche le scelte timbriche sono caratterizzanti in questo senso. Lo strumento del Piccolo Principe è l’arpa, che ha ruolo spesso quasi solistico; spiccano con teatrale evidenza anche la tromba e le percussioni, mentre gli archi, discretamente robusti quanto a numero, sostengono il canto di conversazione e le misurate uscite solistiche con efficacia tradizionalmente operistica. Volendo fare un’analogia coloristica, si potrebbe dire che la nuova opera di Valtinoni ha tinte pastello, calde e soffuse, nelle quali la brillantezza e l’ironia sono passate al setaccio della riflessione. Nelle voci domina con poche eccezioni una linea melodica morbida, che rinuncia alla varietà ritmica altrove raggiunta dal compositore per dedicarsi alle suggestioni dettate dalla parola.

La stessa misura caratterizza il testo di Paolo Madron, che maneggia come sempre con notevole efficacia metri diversi, dal settenario all’endecasillabo al verso libero, e lascia trasparire la pensierosità dell’insieme nel sorvegliato utilizzo delle rime, qui delineate, si direbbe, in chiave riflessiva, più che ironica o di colore, come spesso accadeva nelle altre opere del giornalista-librettista. Peccato che non sia stato possibile seguire il testo neanche sui minuscoli schermi a ciò destinati sugli schienali delle poltrone. (È questa, come si sa, l’inadeguata risposta scaligera a una necessità riconosciuta e ben più efficacemente risolta in tutti i teatri musicali del mondo)

Il piccolo principe è stato proposto nella regia ordinata e funzionale di Polly Graham. I personaggi salgono e scendono da un praticabile (scene di Basia Bińkowska) stagliato sullo sfondo blu del cielo – elemento centrale della narrazione e in certo modo della musica – che allude con qualche elemento all’aeroplano del Pilota, il primo e decisivo incontro del piccolo protagonista. Interessanti i costumi pure firmati da Bińkowska: si va dallo stile anni ’40 della prima scena (vi compaiono gli adulti che non sanno capire che cosa rappresenta il celebre disegno del boa che ha inghiottito un elefante, e lo prendono per un cappello) a quello favolistico e fantasioso degli altri singolari personaggi. Spesso suggestive le luci di Marco Filibeck.

Vitali Alekseenok ha diretto l’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala con apprezzabile attenzione alle sfumature dinamiche e alla duttilità del fraseggio, ottenendo dai giovani strumentisti i giusti colori e gli appropriati dettagli espressivi. Appassionato e pertinente, con bella vivacità scenica e qualche coinvolgimento nei movimenti coreografici di Jenny Ogilvie, l’apporto dei giovanissimi cantori del coro di voci bianche  della stessa Accademia scaligera, istruito da Bruno  Casoni. Fra i cantanti, provenienti dalla scuola di perfezionamento della Scala, da segnalare in particolare il basso Matias Moncada nel ruolo del Pilota, voce agile e buona presenza attoriale, il soprano Mara Gaudenzi, che ha dato stupore e ingenuità  al Piccolo Principe e il soprano Fan Zhou, svettante nell’agilità che Valtinoni dipinge sulle esternazioni della Vanitosa ed efficace nella parte della Rosa. Leggiadra e ironica Greta Doveri nel travestimento della Volpe, positivi tutti gli altri: Andrea Tanzillo, Valentina Diaz, Gloria Taiuti e l’insinuante Sung-Hwan Damien Park, un temibile Serpente.

Al debutto assoluto, il teatro era affollato di bambini, entusiasti di partecipare allo spettacolo, quando richiesti di alzare le stelle di carta fornite all’ingresso, ed evidentemente “preparati” ad ascoltare in un’altra forma una storia ben conosciuta.

Cesare Galla
(15 ottobre 2022)

N.B.: Le fotografie a corredo dell’articolo, diffuse dall’Ufficio Stampa del Teatro alla Scala,  non corrispondono a quelle degli interpreti della Prima del 15 ottobre. Ce ne scusiamo con i lettori.

La locandina

Direttore Vitali Alekseenok
Regia Polly Graham
Scene e costumi Basia Bińkowska
Luci Marco Filibeck
Movimenti coreografici Jenny Ogilvie
Personaggi e interpreti:
Il Piccolo Principe Mara Gaudenzi
Il Pilota Matias Moncada
La Volpe / Passante 1 Greta Doveri
Il Re / Il Serpente / Passante 2 Sung-Hwan
La Madre / La Vanitosa / La Rosa Fan Zhou
Il Padre / L’Uomo d’Affari Andrea Tanzillo
L’Eco Valentina Diaz e Carlotta Taiuti
I Passanti / Lo Stormo di Uccelli / Coro delle Rose Coro di Voci bianche
Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala
Maestro del coro Bruno Casoni

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