Milano: Il rimpatrio scaligero del Pirata di Bellini
Il ritorno del Pirata di Bellini e di Francesca da Rimini di Zandonai a distanza di sessant’anni dalle celeberrime rappresentazioni milanesi, insieme al recente debutto (!) scaligero del Fierrabras di Schubert, sono un segno importante di un’operazione culturale che va al di là di un mero recupero musicale.
Tralasciando il prezioso documento sonoro della storica interpretazione di Maria Callas e la diametralmente opposta lettura di Montserrat Caballé, è interessante soffermarsi sulla recensione che Massimo Mila scrisse in seguito alla rappresentazione del 1958. Mila, pur identificando nel Pirata elementi innovativi rispetto al melodramma rossiniano, non riconosce come imprescindibili snodi storici i reali principi che rendono quest’opera importante dal punto di vista musicale e drammaturgico.
Negli anni ’50 del secolo scorso la ricezione dell’opera belliniana, complice l’egemonia di Toscanini, era limitata ai soliti titoli considerati per lo più composizioni embrionali di un romanticismo che maturerà in Verdi e raggiungerà i più alti vertici in Wagner.
Tutto ciò è in parte vero se però si omette che nel 1827, quando il ventiseienne Bellini debuttò alla Scala con Pirata, i modelli di riferimento erano ben altri, Rossini in primis.
Ci volle tutto l’impeto di un giovane musicista incosciente – ma assai colto – per esordire nel più importante tempio della lirica con un’opera che principia con un naufragio e capitola con la follia della primadonna. La Lucia donizettiana verrà composta otto anni più tardi, eppure Bellini ne anticipa già in parte non solo il clima ma soprattutto lo stato psicologico e patologico del personaggio femminile: Imogene, vittima di un nero destino, sin dal suo apparire mostra evidenti segni di squilibrio e il canto belliniano, seppur nel suo sublime divenire, ne amplifica il tormento.
L’inquietante triangolo, tutt’altro che amoroso, che s’instaura fra Imogene, Ernesto e Gualtiero altro non è che una violenza reiterata nei confronti di una donna che un tempo fu innamorata. Imogene infatti non solo è oppressa dalla presenza del marito costretta a sposarlo per ricatto, ma è anche perseguitata dal desiderio compulsivo del pirata Gualtiero che rivendica l’amore perduto.
Questo stato claustrofobico è ben espresso da Emilio Sagi, regista della nuova produzione del Teatro alla Scala in coproduzione con il Teatro Real di Madrid e la San Francisco Opera.
La scena – ad opera di Daniel Bianco – riflette il mare di tormenti in cui agiscono i personaggi, la parete superiore che inclinandosi incombe su Imogene incarna le nubi che le aggravan la fronte, e quell’immenso manto che cala nell’ultima scena altro non è che il nero destino al quale è condannata. I personaggi, emotivamente ben tratteggiati, agiscono in quest’ambientazione prevalentemente psicologica, in cui di tanto in tanto affiorano fondali paesaggistici poco definiti.
Musicalmente Riccardo Frizza propone una lettura integrale dell’opera, riapre i tagli di tradizione restituendo all’alternarsi delle arie e delle pagine corali il giusto respiro e equilibrio formale. Frizza concede molto spazio al canto dando prova di conoscere e saper gestire il delicato linguaggio belliniano con particolare attenzione al contrasto fra gli elementi classici e romantici coesistenti in partitura.
Sonya Yoncheva affronta il complesso personaggio di Imogene puntando soprattutto sugli accenti drammatici della scrittura di Bellini, esasperando dal punto di vista espressivo anche le parti maggiormente belcantistiche. Particolarmente intensa e suggestiva la grande e impegnativa scena di pazzia.
L’impervia parte di Gualtiero viene affrontata da Piero Pretti con gusto nel fraseggio e particolare attenzione ai pianissimi; seppur non sempre a suo agio nella zona acuta, soprattutto nel primo atto, si muove in scena con disinvolta padronanza.
Nicola Alaimo, troppo leggero per un ruolo che richiederebbe maggior peso vocale, risolve la parte di Ernesto con un certo istinto musicale, ma ciò non risulta sufficiente.
Vocalmente molto interessante il Goffredo di Riccardo Fassi ma scenicamente tratteggiato un po’ troppo giovane per essere anagraficamente il secondo padre e saggio istitutore di Gualtiero.
Ottimo l’Itulbo di Francesco Pittari così come l’Adele di Marina de Liso.
Un plauso a Bruno Casoni che ha ottenuto dal coro interessanti tinte e accenti di straordinario impatto emozionale.
Gian Francesco Amoroso
(Milano, 29 giugno 2019)
La locandina
Direttore | Riccardo Frizza |
Regia | Emilio Sagi |
Scene | Daniel Bianco |
Costumi | Pepa Ojanguren |
Luci | Albert Faura |
Imogene | Sonya Yoncheva |
Gualtiero | Piero Pretti |
Ernesto | Nicola Alaimo |
Itulbo | Francesco Pittari |
Goffredo | Riccardo Fassi |
Adele | Marina de Liso |
Orchestra e Coro del Teatro Alla Scala | |
Maestro del Coro | Bruno Casoni |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!