Milano: le tentazioni di Thaïs
Thaïs di Jules Massenet è una di quelle opere che, a un primo ascolto, affascina e lascia subito il segno.
Nonostante ciò manca dalle stagioni scaligere da ben ottanta’anni.
Inspiegabile.
Al tempo stesso l’assenza di Thaïs porta ad ammirarne ancora di più la bellezza come il più prezioso dei tesori raramente esposto.
Il carisma che sprigiona quest’opera non è solo ascrivibile alla vicenda, all’evanescenze melodiche o alle evocazioni orchestrali ma anche a un libretto che, per la prima volta nella storia del melodramma francese, non è più in versi bensì unicamente in prosa.
Siamo negli anni ottanta dell’Ottocento, al centro di un dibattito nato, naturalmente, sulla scia della riforma wagneriana, in cui i compositori fin du siècle sentono l’esigenza di allontanarsi da una versificazione convenzionale per dar spazio a una forma decisamente più flessibile definita poésie melique, una prosa musicale di estrema duttilità.
Il libretto di Louis Gallet -tratto dall’omonimo romanzo di Anatole France- si fa dunque portavoce di innovazioni radicali così, come di conseguenza la musica di Massenet.
Se gli influssi wagneriani sono immediatamente ravvisabili, emergono con maggiore eloquenza tratti legati alla poetica sonora di Gabriel Faurè, soprattutto nell’uso dei legni e degli ottoni, nonchè certi guizzi che ricordano alcuni passi brillanti dei capolavori operettistici di Jaques Offenbach.
In questa cornice di contaminazioni non manca la volontà, da parte del compositore, di (ri)dipingere l’intrigante vicenda paleocristiana tramite un colore locale–storico-geografico, nonchè sociale, estremamente policromatico, delineando con tratti contrastanti l’eterno conflitto che muove l’intreccio: amore carnale e amore spirituale.
La regia, affidata a Olivier Py, mette in luce non solo il rapporto tra Eros e Agape all’interno di una società oppressa dalla morale borghese, ma cerca di visualizzare con estrema essenzialità la volontà da parte di Thaïs di voler cristianizzare l’Eros dimostrando di essere più spirituale di Athanaël.
Se, pertanto, l’atteggiamento repressivo-mortificatore di Athanaël rende questo personaggio pressoché inflessibile, d’altro canto il martirio di Thaïs mostra la consapevolezza di un percorso, non di redenzione, ma di profonda comprensione trascendentale del vero significato e rapporto dialettico fra Eros e Agape.
Lo spettacolo di Py, nonostante i densi contenuti librettistici, risulta nitido e facilmente intelligibile, al di là dei nudi in scena che ormai non destano più scalpore, forse la pantomima delle tentazioni poteva essere più caricaturizzata.
Thaïs va in scena per la prima volta nel 1894 all’Opéra di Parigi. La partitura di Massenet risente delle contaminazioni di questo periodo storico ai confini tra un Romanticismo sfiorito e un Novecento che stava sbocciando in tutta la sua prorompenza. Temi esotici si intrecciano a motivi monastici in un inquieto fluire di ritmi irregolari e motivi che anticipano i più frivoli cabaret parigini.
La visione che ha Lorenzo Viotti di questa partitura è piuttosto omogenea, incline a una lettura misticheggiante, priva di pathos drammatico e chiaro-scuri.
L’incipit, che ricorda alcune inflessioni del Requiem di Fauré, è esposto da Viotti con tenue morbidezza, come una fotografia sfuocata. Al contempo alcuni passi che richiederebbero maggior brillantezza e charme -come ad esempio lo splendido motivo in dodici ottavi che chiude il primo atto dallo squisito sapore da chanson française- mancano di quella sinuosa fantasia nel fraseggio. Tuttavia Viotti dimostra di conoscere bene la parte mantenendo un’ottima aderenza ed equilibrio fra buca e palcoscenico.
In questa lettura ben si inserisce il soprano Marina Rebeka che, nonostante alcuni difetti di pronuncia, risolve con estrema naturalezza la non facile parte di Thaïs pensata da Massenet per il soprano francese Sybil Sanderson, étoile oubliée dall’estensione prodigiosa.
Ad essa si contrappone l’Athanaël di Lucas Meachem, che dipinge con espressiva vocalità baritonale i fragili contrasti che animano il personaggio.
Apprezzabile Giovanni Sala nel ruolo di Nicias, la cui parte, non estesa, richiede un certo impegno adempito.
Bene Caterina Sala e Anna-Doris Capitelli nelle vesti di Crobyle e Myrtle.
Ottimi gli interventi del coro, soprattutto la sezione maschile, istruito dal maestro Alberto Malazzi.
Quanto repertorio è ancora da riscoprire!
Gian Francesco Amoroso
(22 febbraio 2022)
La locandina
Direttore | Lorenzo Viotti |
Regia | Olivier Py |
Scene e costumi | Pierre André Weitz |
Assistente scenografo | Pierre Lebon |
Assistente costumista | Mathieu Crescence |
Luci | Bertrand Killy |
Coreografia | Ivo Bauchiero |
Personaggi e interpreti: | |
Thaïs | Marina Rebeka |
Athanaël | Lucas Meachem |
Nicias | Giovanni Sala |
Crobyle | Caterina Sala |
Myrtale | Anna-Doris Capitelli |
Albine | Valentina Pluzhnikova |
Charmeuse | Federica Guida |
Palémon | Insung Sim |
Un servitore | Jorge Martínez |
Cenobiti | Luigi Albani, Renis Hyka, Michele Mauro, Andrea Semeraro, Massimo Pagano, Giorgio Valerio |
Ballerini solisti | Beatrice Carbone, Gioacchino Starace |
Orchestra e coro del Teatro Alla Scala | |
Maestro del Coro | Alberto Malazzi |
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