Milano: quando Manon Lescaut deraglia

«Allorché nel 1923, e precisamente il 1° febbraio, l’opera venne rappresentata alla Scala di Milano, sotto la direzione del maestro Toscanini», racconta Luigi Ricci nel prezioso libro Puccini interprete di se stesso edito da Ricordi in occasione del trentesimo anniversario della Manon Lescaut «Puccini non soltanto portò sostanziali modifiche alla partitura ma ebbe il coraggio di scrivere al suo amico Giuseppe Adami: ormai il libretto di Manon è di tutti e di nessuno. C’è l’aria di Manon al quart’atto (quella che tagliano) che ripete sempre tre o quattro parole: Sola, perduta, abbandonata, io la deserta donna. Bisognerebbe mettere al posto di queste ripetizioni altre sentite parole. Sarà forse un solo verso. In cinque minuti lo fate. Vi prego: fatemelo e ditelo a Valcarenghi. Mi ricordo che, ai suoi tempi ormai lontani, quelle ripetizioni mi davano una noia tremenda».

Che Puccini fosse un insoddisfatto cronico e che ogni sua creazione era soggetta a un numero indefinibile di modifiche e ritocchi è cosa risaputa, così come sono ormai noti gli intenti di Riccardo Chailly nel riproporre le prime edizioni delle partiture del genio di Lucca. Operazione di certo interessante che disegna il processo evolutivo di un’opera dettato, la maggior parte delle volte, da contingenze sceniche che solo il palcoscenico può rivelare.

Due esempi del labor limae dell’autore sono il finale del primo atto notevolmente più articolato ma in fin dei conti puramente esteriore e l’aria di Manon del quarto atto che, grazie alle modifiche apportate, ha raggiunto un certo equilibrio formale e un conseguente potenziamento drammatico.

Tuttavia, come ormai sua consuetudine, Chailly per l’allestimento della Manon Lescaut della Stagione 2018/2019 ha scelto di eseguire la partitura della prima edizione andata in scena a Torino nel 1893.

Se le bellissime scene di Leslie Travers e i costumi di Marie-Jeanne Lecca – e qui occorre fare un plauso agli scenografi e ai costumisti scaligeri che operano spesso nell’ombra – sono di eccellente fattura, la regia di David Pountney non convince.

La vicenda è trasposta all’epoca di Puccini: una stazione ferroviaria e un treno sono i confini mentali e piscologici dove la protagonista è imprigionata e nei quali trascina il suo sventurato amante. Attorno a lei compaiono a tratti diverse ipotetiche Manon, giovani fanciulle ipnotizzate, vittime in divenire della loro vana indole e schiave di una società che si maschera dietro un perbenismo di facciata.

Manon compare nel primo atto su un carrello ferroviario in un cumulo di sabbia, anticipazione e presagio della «deserta donna» che di lì a poco si rivelerà, in una condizione mentale totalmente anaffettiva. Il secondo atto si svolge nelle carrozze di un treno lussuosissimo mentre nel terzo Manon è imprigionata in un misero vagone nel piazzale del porto di l’Havre. Nel finale la stazione è invasa da dune di sabbia, sullo sfondo il cielo muta il proprio volto.

Tante idee disordinate, alcuni déjà-vu, che nulla aggiungono alla drammaturgia pucciniana ma che spesso limitano l’azione non solo scenica ma anche musicale. I livelli su cui lavora Puccini sono molteplici, chiari e ben articolati: un tessuto leitmotivico raffinatissimo, un melos sensuale che affiora dal canto di conversazione con abbandoni estremi e slanci improvvisi, nonché una precisissima aderenza del testo con la musica. Il tutto ignorato in favore di una lettura psicoanalitica ridondante e superflua.

In tutt’altra direzione va la concertazione di Riccardo Chailly che, particolarmente risoluto nei primi due atti, stacca tempi rapidi lasciando poco spazio ai momenti di maggior estasi. Stemperati gli animi, il maestro Chailly dirige l’Intermezzo con tenera poesia e rassegnata malinconia, affrontando gli atti successivi con meno tensione e maggior respiro. Nonostante alcune intemperanze, Chailly si conferma un abile maestro nell’accompagnare le voci senza mai coprirle o metterle in difficoltà.

Maria José Siri – soprano dal timbro brunito, già applaudita in diverse produzioni scaligere – complici alcune trovate registiche, al di là di un’ottima emissione, è risultata piuttosto anafettiva e totalmente priva di scavo del personaggio.

Agli antipodi il Des Greiux di Marcelo Alvarez, temperamentoso oltre misura, spesso in serie difficoltà vocali, ha compromesso in più punti la dettagliatissima scrittura pucciniana soprattutto laddove è richiesto un canto legato ed espressivo.

Particolarmente a fuoco vocalmente e scenicamente il Lescaut di Massimo Cavalletti.

Ottimo Carlo Lepore nel ruolo di Geronte la cui vocalità scura è stata amministrata con nobiltà di accento dando il giusto carattere al personaggio.

Marco Ciaponi – in triplice veste di Edmondo, Maestro di ballo e Lampionaio – efficace nella sua versatilità scenica è appropriato nel canto.

Bene il resto del cast così come il coro diretto da Bruno Casoni.

Successo di pubblico per Riccardo Chailly mentre vivaci contestazioni sono state riservate per la regia e il tenore.

Una riflessione a latere: un tempo gli spettacoli che non accoglievano consensi di pubblico e di critica venivano rimossi dal cartellone e sostituiti, oggi, che non esiste più la censura ma di certo non si nuota nell’oro, non converrebbe impiegare i finanziamenti per produzioni artistiche degne del buon nome di uno dei teatri più gloriosi del mondo?

Gian Francesco Amoroso
(31 marzo 2019)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia David Pountney
Scene Leslie Travers
Costumi Marie-Jeanne Lecca
Coreografia Denni Sayers
Luci Fabrice Kebour
Personaggi e interpreti:
Manon Maria José Siri
Lescaut Massimo Cavalletti
Des Grieux Marcelo Álvarez
Geronte Carlo Lepore
Edmondo / Il maestro di ballo / Lampionaio Marco Ciaponi
L’Oste Emanuele Cordaro
Un Musico Alessandra Visentin
Sergente degli arcieri Daniele Antonangeli
Un Comandante di Marina Gianluca Breda
Musici Barbara Lavarian, Roberta Salvati (sop. primi), Silvia Spruzzola (sop. secondo), Julija Samsonova, Maria Miccoli (contralti)
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala

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