Milano: Tjeknavorian e la sensualità di Ravel
Il mondo poetico di Maurice Ravel ricorda un funambolo che cammina concentrato verso il proprio ideale di leggerezza e perfezione, attratto, però, dalle suggestioni che il mondo, laggiù, nel suo straordinario fermento gli invia.
Il fascino delle sue pagine risiede nella sapiente commistione di generi ed influssi artistici sorretti da una costruzione formale di straordinario rigore e da un utilizzo quasi maniacale dell’ampio potenziale che l’orchestra di inizio Novecento poteva suggerire.
Ricchezza che si è colta nella pomeridiana di domenica: il capoluogo milanese spazzato dal vento, teso e freddo per la stagione, il cielo di una intensità di colore che scolpisce i chiaroscuri dei palazzi, ma quel lontano sentore di primavera che giunge dai giardini fioriti e da una luminosità differente. Così da immergere le pagine raveliane anche in un contesto climatico favorevole.
Auditorium quasi esaurito nei posti e vivo entusiasmo sin dalla prima pagina proposta, il Concerto in sol maggiore, spesso ad uso dei mattatori della tastiera sulla quale possono giocare con i ritmi, i glissando, gli arpeggi precipitosi e suadenti per abbandonarsi al lirismo cantabile del secondo movimento.
Assecondati, solitamente, dal virtuosismo delle prime parti orchestrali. Ma se questo senz’altro c’è stato, da parte sia della compagine sinfonia che del pianista, il risultato è stato rivolto in tutt’altra direzione: geometria di interpretazione, smorzatura del lato più sportivo in favore di una attenzione al suono e alla sua bellezza, coerenza dei tre movimenti e non loro separazione in blocchi contrapposti hanno reso alla celebre pagina il suo sinfonismo della quale è intrisa. Eccellenti gli strumentisti con le prime parti messe in risalto dai soli richiesti, sia per freschezza esecutiva che per brillantezza di suono e ritmo.
Emmanuel Tjeknavorian si conferma interprete che associa una musicalità profonda ad un rispetto assoluto per la musica: nulla è fatto per dar risalto alla propria immagine di interprete, ma tutto è rivolto al rendere con passione quanto il compositore si è sforzato di tracciare sulla partitura.
Nella medesima linea interpretativa Sergey Babayan sulla cui capacità tecnica è inutile dilungarsi, tanto emana di totale immedesimazione con la parte musicale nel tocco sempre nei tasti, dove l’affondo permette al suono di svilupparsi in tutte le sfumature possibili sapendo però, dove occorre, giocare con le note stesse.
Medesima impressione si è ricevuta nella pagina solistica del Menuet sur le nome d’Haydn, di minore ascolto, ma che concentra in due facciate quella che è stata la costante ansia di perfezione raveliana: da un lato la forma portata al suo estremo, dall’altro la ricerca timbrica e di concatenazioni armoniche raffinate e mai volte ad un risultato effettistico di facile presa.
Il Concerto in re maggiore, per la mano sinistra è la visione speculare al precedente: dove l’animo di Ravel è catturato dal dolore attraversato negli anni attorno alla Prima Guerra Mondiale, rispecchiatosi nella menomazione non solo del pianista dedicatario, ma di tutta una parte d’Europa e di mondo nel quale era cresciuto e vi si ritrovava. Il colore cupo, angosciante di tutta la pagina è emerso con lucida chiarezza, plauso maggiore, quindi, ai due interpreti che non si sono allontanati dall’idea di base circa l’impianto sinfonico delle due pagine, ma ne hanno rilevato le sottigliezze di costruzione e le tragiche differenze. Bis meritatissimo per il pianista che ha offerto una breve pagina di Arvo Pärt.
Un momento di maggior rilassatezza, un ritorno a quel Settecento idealizzato non solo da Ravel, ma da molta cultura musicale di inizio secolo, si è avuto con la Sinfonia in Fa diesis minore di Haydn, celebre per la gustosa e sempre piacevole gag finale che prevede l’uscita dei singoli strumentisti allo spegnersi della loro frase musicale. Ma ciò non ha distolto l’attenzione dal mutare di approccio da parte di Emmanuel Tjeknavorian: archi più lievi, fraseggio articolato, concentrazione verso i vari movimenti interni alle parti e al loro dialogo, ma senza perdere di vista quella grazia viennese della quale il maestro è attento portavoce. Senza indulgere in eccessi, ma con l’eleganza della quale ha dato prova anche in precedenti esecuzioni.
Finale in linea con le aspettative, col celeberrimo Boléro: esecuzione che ha sottolineato il gioco timbrico delle prime parti e condotto con rigorosa decisione all’esplosione finale senza nulla concedere a facili effettismi.
Applausi entusiastici al termine di ogni brano e con ancor più gioiosa partecipazione al finale, sia per il maestro che per l’Orchestra Sinfonica di Milano in ottima sinergia ormai da inizio stagione e della quale si confida per il proseguo di cartellone nonché per la futura stagione, con le medesime qualità si esecutive che di programmazione.
Emanuele Amoroso
(6 aprile 2025)
La locandina
Direttore | Emmanuel Tjeknavorian |
Pianoforte | Sergey Babayan |
Orchestra Sinfonica di Milano | |
Programma: | |
Maurice Ravel | |
Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore | |
Menuet sur le nom d’Haydn per pianoforte | |
Concerto per pianoforte e orchestra in Re maggiore per la mano sinistra | |
Franz Joseph Haydn | |
Sinfonia n. 45 in Fa diesis minore Hob.I:45 “Sinfonia degli addii” | |
Maurice Ravel | |
Boléro |
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