Milano: Turandot, reggimi il moccolo stasera

Il 27 aprile del 1926 si legge sul Corriere della Sera: «E allora si vede Toscanini volgersi al pubblico: rimane un momento indeciso come se non potesse vincere la commozione che lo stringe, poi a voce soffocata dice le parole che furono comandate dal Maestro morente al pensiero della sua opera non compiutamente finita: “Qui Toscanini dirà…”

E Toscanini dice: Qui finisce l’opera lasciata incompiuta dal Maestro per la sua morte.

Il pubblico ha un attimo di indecisione. Sapeva che la prima rappresentazione si sarebbe interrotta qui, ma di colpo la scena eccezionale, e l’aver voluto Toscanini compiere personalmente il rito, lo sconvolgono. Poi lentamente il sipario si chiude. Toscanini scende e scompare, e allora un grido si leva nel silenzio della sala: Viva Puccini! Tutti in piedi, allora».

Nel centenario della morte di Giacomo Puccini, avvenuta il 29 novembre 1924, la Scala omaggia il genio di Lucca con una nuova produzione di Turandot.

Per l’occasione, anziché far calare il sipario – come allora – sulle ultime note del maestro, il teatro meneghino ha preferito interrompere la rappresentazione con pochi minuti di silenzio durante i quali, all’apparire in scena dell’immagine di Puccini, il pubblico è stato invitato ad accendere degli orridi lumini di plastica distribuiti all’intervallo dalle maschere. L’omaggio funereo e funesto, che ha scatenato non poche polemiche e imbarazzo, lascia alquanto perplessità, ma passiamo oltre.

L’opera incompiuta e completata da Franco Alfano è indubbiamente il lavoro più sperimentale di Puccini col quale si pone fine alla grande era del melos italiano.

La partitura non solo riassume tutta la poetica finora espressa nelle opere precedenti, ma assorbe nuove espressioni avanguardiste che puntano all’esaltazione della ricerca timbrica, creando un vero e proprio caleidoscopio di sonorità, contrasti, dinamiche repentine che contribuiscono a un incessante crescendo emotivo.

In Turandot troviamo una scrittura frastagliata in cui ogni personaggio è perfettamente incastonato in una situazione emotiva e, al tempo stesso, soggiogato dalla costante presenza emotiva della principessa di gelo, anche laddove non è visibile.

Un clima oscuro che viene ben descritto dal regista Davide Livermore il quale dipinge, insieme a Eleonora Peronetti e Paolo Gep Cucco, una Cina lurida, moderna e al contempo tradizionale, in una dimensione spiritica, piuttosto lontana dalla matrice fiabesca.

Sospeso in un mondo parallelo, al di sopra di tutto, è il regno di Turandot, apparentemente più sereno ma inevitabilmente torbido.

Elemento spettacolistico è la luna, perennemente cangiante, che incombe sulla scena destando stupore e meraviglia, così come suggestivi i video firmati da D-Wok. Poco chiara la presenza dell’Hotel Amour, un bordello sulla destra frequentato dal Principe ignoto e da Ping, Pong e Pang, così come l’indubbia bella presenza del Principino di Persia la cui nudità però poco contribuisce alla vicenda.

Stupenda la bolgia iniziale, inspiegabile (e un po’ comico) il bambino che svela il terzo enigma prima di Calaf, banale la neve che cade mentre Liù canta “Tu che di gel sei cinta”, inquietante il palloncino rosso che vaga nel grigiume scenico, un po’ dimesso il terzo atto sebbene, rispetto ai precedenti, sia stato quello più elegante, ma soprattutto Turandot è l’opera in cui più di tutte il sipario si deve aprire con la musica e non viceversa.

Se visivamente sono stati riscontrati elementi che, mediate un apparato tecnico di altissimo livello, hanno indubbiamente riempito (fin troppo) gli occhi con risultati a volte drammaturgicamente discutibili, sul piano musicale è venuto a mancare completamente l’aspetto lirico e visionario.

Michele Gamba, chiamato a sostituire Daniel Harding, ci restituisce solo la parte altisonante della partitura tramite una direzione che va dal forte al fortissimo, dove la preoccupazione dell’insieme delle masse (non sempre ben gestita) penalizza l’espressività di una scrittura fatta anche di pianissimi, evanescenze, bagliori sonori, crescendo e improvvisi silenzi. La mancanza di tutto ciò, purtroppo, non ha messo in luce una delle partiture di transizione più interessanti del melodramma italiano, dove anche l’aspetto più moderno andrebbe gestito in maniera più risoluta proprio per far emergere maggiormente l’elemento melodico-tardo-romantico che contraddistingue la poetica pucciniana.

Questa visione ridondante ha sfavorito non poco anche la compagnia di canto in cui, nonostante tutto, è emersa ancora una volta per bellezza timbrica Anna Netrebko, in questa edizione scenicamente sovrana grazie anche ai fascinosi costumi di Mariana Fracasso.

Il soprano russo, a parte qualche problema di intonazione e una dizione poco chiara, ha sfoderato una vocalità voluminosa, non sempre omogenea nella zona medio-grave, ma particolarmente congeniale con le necessità che questo ruolo impone esibendo come non mai una padronanza scenica assoluta.

Yusif Eyvazof è, almeno nelle intenzioni, un Calaf eroico, poco incline ad abbandoni lirici, timbro non sempre aureo ma sicuro negli acuti, corona Nessun dorma con un si naturale lungassimo, strappando un applauso a scena aperta.

Un po’ penalizzata la Liù di Rosa Feola la cui musicalità, fraseggio e abbandoni sono stati un po’ travolti dagli eventi. Tuttavia il canto della Feola rimane sempre un esempio di grazia ed eleganza così come la sua idea del personaggio pare una fascio di luce in mezzo alla tempesta.

Dotato di voce cavernosa è il Timur di Vitalij Kowaljow mentre bene, seppur perfettibili nella dizione, Sung-Hwan Damien Park (Ping), Chuan Wang (Pong), Jinxu Xiahou (Pang) così come l’Imperatore Altoum del veterano Raul Gimenez e il resto del cast.

Non ultimi, ottimi il Coro del Teatro alla Scala istruito dal maestro Alberto Malazzi e il Coro delle Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala diretto da Marco De Gasperi.

Al termine applausi calorosi da parte del pubblico, qualche dissenso per il tenore e parecchie perplessità uscendo da teatro oltre alla consapevolezza di una partitura genialmente stratificata che richiederebbe uno scavo interpretativo notevole.

Gian Francesco Amoroso
(25 giugno 2024)

La locandina

Direttore Michele Gamba
Regia Davide Livermore
Scene Eleonora Peronetti, Paolo Gep Cucco, Davide Livermore
Costumi Mariana Fracasso
Luci Antonio Castro
Video D-WOK
Personaggi e interpreti:
La principessa Turandot Anna Netrebko
L’imperatore Altoum Raúl Giménez
Timur Vitalij Kowaljow
Il Principe Ignoto (Calaf) Yusif Eyvazov
Liù Rosa Feola
Ping Sung-Hwan Damien Park
Pang Chuan Wang
Pong Jinxu Xiahou
Un Mandarino Adriano Gramigni
Prima ancella Silvia Spruzzola
Seconda ancella Vittoria Vimercati
Il principe di Persia Haiyang Guo
Orchestra e Coro del Teatro Alla Scala
Maestro del Coro  Alberto Malazzi
Coro delle Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala
Maestro del coro Marco De Gasperi

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