Milano: un pallido Onegin
Un cubo di cemento brutalista con finestrelle e cumuli di libri in mezzo a un campo di grano, un fondale mostra un cielo cangiante, nuvoloso, talvolta vermiglio, altre volte stellato. È questo lo scenario in cui si svolge gran parte di questa nuova produzione di Evgenij Onegin, la cui regia, firmata da Mario Martone, con le scene di Margherita Palli e i costumi -non bellissimi- di Ursula Patzak, ha suscitato non poche perplessità.
L’intimo e puro mondo interiore di Tat’jana, isolato in uno spazio collettivo, si sgretola alla fine della prima parte del secondo atto al termine del fatale litigio fra Onegin e Lenskij, un sogno infranto, irrecuperabile.
Il terzo atto mostra una scena minimalista con ampi veli rossi che creano suggestivi giochi d’ombra, poi il nulla a parte un divano, qualche sedia e dei lampadari di cristallo.
Se l’idea di partenza può sembrare interessante, vengono a mancare tuttavia molti degli elementi essenziali di questo straordinario dramma a partire dal binomio sogno/realtà, tema ricorrente nella poetica di Čajkovskij, così come le simmetrie spirituali che intercorrono fra Tat’jana e Lenskij non affiorano come dovrebbero. Poco evidente anche l’evoluzione di Tat’jana che nel terzo atto dovrebbe dimostrarsi più matura e controllata.
Inspiegabile, infine, la scelta di convertire il duello fra Onegin e Lenskij in una roulette russa limitando il destino al caso anziché alimentare quel senso di colpa che rende ancora più straziante la vicenda.
Sul versante musicale si distingue la direzione di Timur Zangiev, una concertazione poetica, meno esasperata, attenta a mettere in luce la raffinata orchestrazione di Čajkovskij e sempre a servizio della cantabilità e del canto. Forse per Onegin ci vorrebbe più introspezione e si potrebbe osare di più, ma di fronte a un cubo di cemento è dura trovare elementi di ispirazione.
Delude, purtroppo, la prova di Aida Garifullina la cui vocalità estremamente leggera non le permette di rendere giustizia alla scrittura di un ruolo che richiederebbe una voce decisamente più corposa, capace di tormentati slanci, pianissimi improvvisi e pathos a profusione.
Emoziona invece il canto del tenore Dmitry Korchak, un Lenskij lirico, trasognato e malinconico, dalla voce duttile ed espressiva che gli ha permesso di realizzare i tanti pianissimi segnati in partitura seppur ripiegando sovente all’uso del falsetto.
Alexey Markov è un Evgenij Onegin distinto, incline a un fraseggio pregevole e sorretto da un’emissione morbida e molto curata che ben delinea il carattere dandy del personaggio.
Estremamente musicale il Triquet di Yaroslav Abaimov così come ottima la Filipp’evna di Julia Gertseva.
Assai in difficoltà -inspiegabilmente- Dmitry Ulyanov nella parte del Principe Gremin la cui emissione compromessa non ha permesso di godere di una delle più belle pagine scritte per basso.
Nel complesso bene Elmina Hasan nel ruolo di Olga e la Larina di Alisa Kolosova.
Ottima la prestazione del coro scaligero istruito dal maestro Alberto Malazzi, pertinenti le coreografie di Daniela Schiavone.
Al termine dello spettacolo contestazioni per la regia di Martone e applausi più o meno convinti per il cast vocale.
Onegin merita di più.
Gian Francesco Amoroso
(19 febbraio 2024)
La locandina
Direttore | Timur Zangiev |
Regia | Mario Martone |
Scene | Margherita Palli |
Costumi | Ursula Patzak |
Luci | Pasquale Mari |
Coreografia | Daniela Schiavone |
Video Designer | Alessandro Papa |
Personaggi e interpreti: | |
Larina | Alisa Kolosova |
Tat’jana | Aida Garifullina |
Olga | Elmina Hasan |
Filipp’evna | Julia Gertseva |
Evgenij Onegin | Alexey Markov |
Lenskij | Dmitry Korchak |
Il principe Gremin | Dmitry Ulyanov |
Un capitano | Huan Hong Li |
Zareckij | Oleg Budaratskiy |
Triquet | Yaroslav Abaimov |
Orchestra e Coro del Teatro Alla Scala | |
Maestro del Coro | Alberto Malazzi |
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