Musiche per un antico massacro: Costantinopoli 1453

La clarissa Caterina de’ Vigri, santa monaca bolognese che s’intendeva di musica e di pittura, vaticinò alle sue consorelle la presa di Costantinopoli il giorno stesso dell’evento, 29 maggio 1453; ma con gli ordinari mezzi di comunicazione dell’epoca la notizia arriverà a Creta il 9 giugno, a Venezia il 29, a Roma il 4 luglio. Entro l’anno tutta l’Europa conosce gli orrendi dettagli del fatto d’armi che cambierà la sua storia.

Diffuse in molte lingue, le relazioni di prima mano concordano nel riferire che dopo la vittoria l’armata di Maometto II perpetrò stragi indiscriminate. Racconta nel suo concreto vernacolo il veneziano Nicolò Barbaro: «si fexe una gran taiada [macello] de cristiani; el sangue se coreva per la tera come el fosse stà piovesto [piovuto]». Ma anche il vincitore aveva pagato un pesante tributo di vite: «corpi morti cusì de cristiani, come de turchi […], i qual andava a segonda [alla deriva] per mar, come fa i meloni per i canali». In un più aulico latino, il cardinale Isidoro di Kiev parla di monache e nobildonne trascinate nei bordelli, fanciulli di ambo i sessi sgozzati oppure stuprati e venduti schiavi dopo la conversione forzata all’Islam, case depredate, conventi e ospedali devastati, chiese sconsacrate da soldatacci fanatici che su altari e sacre icone «mingebant, stercorizabant, omnia vituperabilia exercebant» (a chiarire l’ultimo eufemismo, Leonardo da Chio parla di “non modo crapulam, sed luxuriam”).

Il ventenne e colto sultano forse non approvò tanti eccessi, però aveva promesso ai suoi soldati tre giorni di libero saccheggio e mantenne la parola. Invece, a quanto narra il suo fiduciario Tursun Bey, proibì di spezzare a picconate il pavimento marmoreo di Santa Sofia da lui già destinata alla trasformazione in moschea; dopodiché, salito sulla cupola della basilica, contemplò le rovine del palazzo imperiale bizantino di Boukoleon e recitò un distico sulla caducità degl’imperi, variamente attribuito a grandi poeti persiani come Firdūsī, Shirāzi Sa’di o Khāqānī: “Il ragno tesse la sua tela alla finestra di Cosroe,/ il gufo suona la musica di guardia nel palazzo di Afrāsiyāb”.

Non meno incerte delle fonti poetiche sono le cifre della guerra, come sempre gonfiate dalle fonti coeve. Secondo stime prudenziali degli storici moderni, una città che nei secoli aveva già resistito a una ventina di assedi – ma che ora contava solo 40mila abitanti di contro al mezzo milione dell’era di Giustiniano I – era difesa da 5mila soldati bizantini e 2mila alleati occidentali (veneziani, genovesi, napoletani, catalani). I 100mila dell’esercito attaccante comprendevano, accanto a 80mila regolari turchi ben addestrati, contingenti di rinnegati balcanici e mercenari di varia provenienza, più un largo stuolo di ausiliari non combattenti fra cui molti musicanti. Secondo Konstantin Mihajlović di Ostrovica, un serbo reclutato a forza nelle file dei giannizzeri, le bande musicali degli Ottomani coprivano i rintocchi delle campane che chiamavano i difensori alle mura. Un concerto dall’effetto psicologico devastante, un violento impasto di percussioni, rauche trombe d’ottone (boru) e strumenti ad ancia doppia dal suono stridulo e penetrante (zurna): la mehterhâne, banda militare “alla turca”, fu per quasi quattro secoli l’arma segreta dei Sultani, capace d’infondere il terrore nei nemici che sul campo di battaglia ne udivano il rimbombo annunciatore di morte. Tanto efficace da spingere molti eserciti europei a copiarne in età barocca gli strumenti, le insegne, e perfino talune formule estranee all’orecchio ben temperato: settime ribattute, modulazioni non preparate, cadenze sul grado abbassato. Insomma cose turche. Ma questa è un’altra storia che ci condurrebbe assai lontano: fino a Gluck, Mozart e Beethoven.

Che musiche udirono gli assediati durante i 54 giorni del loro calvario? Non lo sappiamo con certezza, perché le più antiche “marce turche” originali, firmate da musicisti di corte come Nefiri Behram Ağa, Emir-i Hac e Han Gazi Giray, risalgono al secolo successivo. La cinematografia turca vorrebbe accreditare in questo contesto il bellicoso inno Ceddin deden (I vostri antenati, gli avi) composto dal capitano di marina Ali Rıza Bey (1881-1934); un falso storico usato anche come tema principale nella suite Fetih Senfonisi (Sinfonia della conquista, 2012) di Murat Malay e Tuğrul-Karataş. Dove la conquista è appunto la presa di Costantinopoli, che valse a Maometto II i titoli di Fatih (Conquistatore) e Qaysar-ı Rûm (Cesare dei Romani), nella fede che dopo la Nuova Roma sul Bosforo sarebbe presto toccato alla prima sul Tevere e poi alla sua succursale germanica, Vienna. Programma mai del tutto rimosso dall’agenda dei musulmani fondamentalisti, come si vede dalle pubblicazioni ufficiali dell’Isis. Dopo la parentesi modernista di Atatürk e successori, fantasmi neo-ottomani popolano le notti mediatiche di Istanbul e di Ankara, dove Muhteşem Yüzyıl (Il secolo magnifico), una soap opera televisiva sulle gesta di Solimano I, ha toccato nel 2014 le 139 puntate.

Propaganda? Continuazione della guerra santa con altri mezzi? Ebbene sì, ma anche in questo campo noi moderni non abbiamo inventato molto. Nel ruolo di cantore della resistenza antiturca si distinse a suo tempo un sommo maestro della scuola polifonica franco-fiamminga: Guillaume Dufay (1397-1474), protagonista di un’errabonda carriera fra la natìa Fiandra e le corti italiane. Sui dettagli la ricerca musicologica non è unanime, tuttavia l’elenco delle sue composizioni “di crociata” includerebbe diversi mottetti a 5 voci volti a celebrare le politiche di riavvicinamento fra la Cristianità bizantina e quella cattolica in funzione difensiva contro l’espansionismo islamico. Sono: Apostolo glorioso (1420) per Pandolfo Malatesta da Pesaro, il vescovo latino di Patrasso dove la chiesa di Sant’Andrea ospitava le reliquie del fratello di San Pietro; Vasilissa ergo gaude per le nozze fra Teodoro Paleologo, figlio del basileus Manuele II, e Cleofe Malatesta (1421); Ecclesiae militantis, forse scritto per il Concilio di Firenze che nel 1439 sancì l’effimera riunificazione delle due Chiese.

Invano, perché una parte del popolo ortodosso, che non aveva mai dimenticato il sacco della città durante la Quarta crociata del 1204, avrebbe “avrebbe preferita la necessità di vedere a Costantinopoli il turbante di Maometto all’odiosa presenza della tiara del Papa o di un cappello di cardinale” (così nella poco lungimirante esternazione di Loukas Notaras, primo ministro del basileus Costantino XI Paleologo). Furono accontentati, ma dopo la catastrofe i tardivi piani di riscossa trovarono ancora un’eco nella musica di Dufay. Dei quattro mottetti da lui composti in quell’occasione sopravvive solo la Lamentatio sanctae matris Ecclesiae constantinopolitanae a 4 voci, che si pensa eseguita il 17 febbraio 1454 alla corte di Filippo di Borgogna onde incitare il duca e i suoi cavalieri ad unirsi alla crociata bandita, anche stavolta senza esito, da papa Nicolò V Parentucelli e dal Kaiser asburgico Federico III.

Il brano unisce il testo latino di Geremia sulla desolazione di Gerusalemme espugnata da Nabucodonosor (Lamentazioni I/2) alla preghiera di una madre sul figlio ucciso, libera perifrasi francese dello Stabat Mater. Sugli artifici mensurali del mottetto isoritmico in più lingue prevale qui un più sommesso andamento di chanson derivato dalla semplice armonizzazione di un cantus firmus liturgico. Uno struggente capolavoro, un rimpianto di occasioni perdute.

1453 in rete

Tutti su YouTube i film: L’Agonie de Byzance (1913) di Louis Feuillade, risonorizzato con la partitura a suo tempo composta da Henri Février, allievo di Massenet e di Fauré; İstanbul’un Fethi (La conquista d’Istanbul), di Aydın Arakon, musica di Nedim Otyam, 1951; Fetih 1453 (1453: La conquista) superkolossal di Faruk Aksoy, musica di Benjamin Wallfisch, 2012. Costo di produzione: 16 milioni di dollari pari a 100mila dollari al minuto, grandiose scene di massa, effetti speciali mozzafiato, ma accuratezza storica a dir poco carente.

Con qualche taglio si può inoltre ascoltare il cd The Fall of Costantinople, pubblicato nel 2009 dalla Capella Romana di Portland diretta da Alexander Lingas: brani per la liturgia imperiale bizantina, inedite registrazioni di prepolifonia greca, la Lamentazione di Manuil Doukas Chrysaphios sulle parole del Salmo 78/79 (“O Dio, sono entrati i pagani”), più tutti i citati mottetti di Dufay.

Un’ampia compilazione di marce militari turche (Çeşitli Sanatçılar – Mehter Marşları) è reperibile a QUESTO INDIRIZZO

Carlo Vitali

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