Napoli: il Maometto II è un’occasione mancata

Il ritorno di Maometto Secondo ha dovuto attendere la Seconda Rappresentazione, domenica 29 ottobre 2023, per vedere la sua Prima volta sulle Scene Napoletane dopo più di due secoli. Scene che il 3 dicembre 1820 avevano tenuto a battesimo il Dramma per Musica di Cesare Della Valle (dalla sua Tragedia Anna Erizo) per le Musiche di Gioachino Rossini, all’epoca Direttore del Real Teatro di San Carlo. Un lavoro, questo, che presenta alcune caratteristiche peculiari sotto il profilo drammaturgico: pone l’ascoltatore in medias res, essendo privo di Sinfonia (sarà poi aggiunta per la successiva versione Veneziana del 1822) ed innesta forme che richiedono una adeguata resa ed un certo impegno sia esecutivo che percettivo come “Ohimè, qual fulmine!” (il Terzettone dell’Atto Primo) o come anche il Finale tragico… senza volersi soffermare su diverse e sublimi autocitazioni melodiche: un esempio su tutti, il chiaro rimando a “Dal tuo stellato soglio” da Mosé in Egitto (creato anch’esso a Napoli un paio d’anni prima del Maometto Secondo). In Tempi moderni, non può non menzionarsi quanto avvenuto intorno al Titolo, come il lavoro di Edizione Critica operato nel 1985 da Claudio Scimone, il quale curò altresì una storica incisione, oltre a quello recente a cura di Ilaria Narici per la Fondazione Rossini di Pesaro di cui il Massimo Napoletano si è avvalso per la Produzione oggetto di queste righe. Le vicende trattate nel Soggetto – ambientato durante l’Assedio alla colonia Veneziana di Negroponte del 1470 – sono sicuramente molto attuali nel generale clima contemporaneo di guerre per il controllo di centri di influenza strategica sotto il profilo economico-culturale e, ancor più recentemente, rispetto a certi altri climi di assedi mai interrotti che trovano la loro ragion d’essere nei medesimi interessi di fondo corroborati dalla scusante insita nella matrice religiosa.

Tutto ciò premesso, appare evidente come una occasione di “ritorno alle Scene” di questa importanza avrebbe dovuto richiedere al Massimo Napoletano una completezza nelle scelte artistiche volta sì a rendere pienamente giustizia alla scrittura Rossiniana, ma anche a rendere quantomeno efficace, se non memorabile, la rappresentazione scenica con giusto rilievo di tutti i molteplici agìti dettati dal costrutto drammaturgico. Il condizionale, ahinoi, è d’obbligo in quanto le aspettative di completezza sono state palesemente deluse da uno squilibrio fortissimo tra il versante musicale e quello scenico-registico.

Uno scontro tra crismi di intelligibilità, messi in campo innanzitutto dalla Direzione Musicale eccellente di Michele Mariotti, versus un vuoto aleatorio e svilente di altre componenti che ha generato, nella Critica come nel colto pubblico, una fisiologica reazione di forte disappunto rispetto ad una Recita che, visti gli esiti dell’Allestimento, sarebbe risultata ben più adeguata se proposta in forma di Concerto.

Il lavoro di scavo musicale operato da Michele Mariotti può difatti considerarsi un riferimento per il Titolo, inoltre la sua Direzione Musicale ha ulteriore merito nell’aver messo in rilievo il valore dell’Orchestra del Teatro di San Carlo che ha mostrato un proprio timbro caratteristico e caratterizzato, offrendo una performance di alta qualità verso la quale non può mancare una convinta nota di merito, nella sua totalità così come in alcuni passi “a solo” (notevole quello di clarinetto nell’apertura della Scena Terza dell’Atto Secondo). L’impronta di Mariotti si rileva, altresì, nei momenti in cui gli interpreti dei Ruoli hanno dimostrato di aver colto l’input offerto, che ha loro permesso di venir fuori in modo personale sì ma sempre al servizio di un linguaggio musicale, quello Rossiniano appunto, tanto perfetto sulla carta quanto arduo a conquistarsi se si sceglie di non assecondare certe brutte mode, preferendo a queste una resa giustamente pulita e scevra da forzati abbandoni.

In quanto alla pura Direzione Musicale, ogni momento sarebbe citabile in quanto a pensiero e resa: uno su tutti il Finale dell’Atto Primo che, nell’impostazione di Mariotti risulta essere una vera e propria lezione di Concertazione e Direzione.

Maometto II ha trovato voce in Roberto Tagliavini, e che voce! Oggettivamente il migliore in campo. La sua performance è ascrivibile anch’essa a quelle da ricordare, quasi impossibile trovargli un difetto… e perché mai farlo se si ha modo di ascoltare un interprete che vocalmente, stilisticamente e scenicamente non viene mai meno sotto alcun punto di vista. La generosa voce di Tagliavini, dal volume ampio e timbro corposo, non subisce mai la tentazione di ingrossarsi in se stessa, resta sempre proiettata al risultato e ad una realizzazione piena e durevole, così come ben prescrive la nostra Italica Scuola. Al netto della performance San Carliana, questo Artista può considerarsi un riferimento per il Ruolo.

Dmitry Korchak vestiva i panni di Paolo Erisso, sicuro ed adeguato interprete, ha offerto voce generosa (a volte, in realtà, sin troppo) al padre contrapposto a Maometto. Una performance, complici da un lato le scelte registiche alienanti e dall’altro l’incontro in Partitura con le voci femminili, in cui la sua completezza artistica è risultata evidente, ancor più quando il nonsense generale rendeva faticoso il moto apparente delle azioni sceniche a potenziale discapito di quelle musicali. Altrettanto positiva risulta la Recita per i due giovani dell’Accademia San Carliana, Li Danyang (Condulmiero) ed Andrea Calce (Selimo): in entrambi i casi, specialmente nel secondo, si apprezzano qualità potenziali di sicuro interesse ed una solida preparazione in odore di carriera, doti su cui vale la pena insistere specialmente riguardo alla capacità di cercare e trovare sempre la “punta”.

Anche il Coro del Massimo Napoletano, qui istruito dal Maestro Aggiunto del Coro Vincenzo Caruso, ha offerto buona prova di sé, anche se il versante femminile risultava leggermente al di sotto di quello maschile (“Dal ferro, dal foco”, memorabile!).

Fin qui tutto bene, se non benissimo, ma di qui si segna un vero e proprio varco, più o meno aperto, che si sostanzia sul piano musicale in una evidente differenza di impostazione tecnico-stilistica delle voci femminili rispetto a quelle maschili e che, sul piano dell’Allestimento, è tristemente identificabile con una gran bella occasione andata persa.

Acclamata dal pubblico e visibilmente in perfetta forma scenica la Anna di Vasilisa Berzhanskaya, a cui non si può negare un pieno dominio di gestione del Ruolo nel quale, però, le buone e belle intenzioni musicali si scontrano più volte con un problema di fondo: una concezione tecnica del canto che cerca la chiusura vocalica e che ha, quindi, come effetto quello di lasciare indietro i suoni (in particolare la prima ottava) risultando gli stessi a volte al di sotto delle frequenze richieste da quelli scritti in Partitura; altrettanto, in opposizione, l’andare in alcuni momenti “di forza” agli acuti, ottenendo come risultato quello di un davvero poco gradevole schiacciamento dei suoni. Annoveriamo in questa ottica dubitativa: “Giusto ciel, in tal periglio” (Scena Teraza, Atto Primo) e seguenti; “Sì: non t’inganni…” (Scena Seconda, Atto Secondo) e Duetto seguente con Maometto; “Vinto i Veneti han dunque” (Scena Quinta, Atto Secondo) che porta alla fine, dove Anna arriva con una certa dose di opacità, forse stanchezza, che qui influenza anche un’adeguata gestione dei volumi. C’è tanto di buono in questa Anna ma, specialmente nei momenti in cui il suo stile di canto si incontra e scontra con quello di Maometto, la differenza di Scuola è palese e, a nostro avviso, bisognerebbe che si andasse verso quella Italica.

Lascia invece alquanto sconcertati il Calbo di Varduhi Abrahamyan che, ad onor di cronaca, vanta nel suo repertorio una certa eterogeneità di Titoli appartenenti a Stili ed Epoche molto diverse tra loro. Riflettendo su quest’ultimo dato proviamo a dare una risposta all’interrogativo che ci ha pervaso durante tutta la Recita rispetto al fatto che Calbo ha qui presentato almeno tre voci differenti: una prima voce ben riconoscibile ed a posto per i centri, un’altra alquanto artificiosamente ingrossata e tutta indietro nei gravi, un’altra non meglio identificabile per tutti quei passaggi risultati “non a posto”. L’esperienza della parola con tutta la sua importanza è qui sofferta: una su tutte, la parola “pianto” (Scena Terza, Atto Primo) che diviene grottesca per pronuncia ed emissione, come diverse altre. L’esperienza di confronto col fatto stilistico arriva quasi a raggiungere il fastidio: un esempio su tutti “Non temer: d’un basso affetto”, dove si assiste sia allo spezzare la Coloratura che allo sparire sotto l’Orchestra, il tutto attraverso una emissione difettante in proiezione, per poi trovare la conclusione tramite un accento(ne) dall’effetto quantomeno stucchevole.

Pur dovendo doverosamente segnalare certe differenze, va detto che quanto oggettivamente analizzato negli ultimi paragrafi potrebbe ergersi addirittura a vanto di Bellezza se messo a confronto con tutto ciò che riguarda la parte relativa all’Allestimento, a cominciare dalla condotta registica: un guazzabuglio di concettualismo aleatorio mischiato ad un simbolismo discutibile, scevri sia dall’occasione (la ripresa Napoletana dopo due secoli) che da una puntuale rispondenza alla consecutio degli agìti.

È possibile sicuramente trasporre sia temporalmente che a livello ambientale, come è anche necessario utilizzare il testo poetico offerto dal Librettista per condurre a riflessioni contemporanee il pubblico, ovviamente attraverso la complicità di certe musiche eccelse: non ha alcun senso ridurre un lavoro importante come Maometto Secondo ed una occasione come quella Napoletana ad un esercizio di divagazione fine a sé stesso come invece è accaduto. Come detto in premessa, i fischi e le proteste roboanti di domenica 29 ottobre 2023 hanno trovato piena giustificazione anche da parte nostra e hanno sottolineato una competenza del pubblico Napoletano troppo spesso sottovalutata o negata. La squadra – composta da Calixto Bieito (Regia, sulla carta), Anna-Sofia Kirsch (Scene, quali?), Ingo Krügler (Costumi, help!), Michael Bauer (Luci, ri-help!) – ha oggettivamente fallito l’impresa.

Una vera delusione, alla luce di altri lavori di Bieito che sono, al contrario, da ascriversi a riferimenti di intelligenza di altri costrutti di Drammaturgia e Musica. In Scena non accade praticamente nulla, specialmente per il Coro che è immobile e ridotto ad azioni da fermo con atteggiamento schizofrenico attraverso distese di passeggini e buste dell’immondizia; al contrario, la necessità intellettuale di “novità” o di “denuncia” forza evidentemente la mano in più punti e si serve di azioni non richieste che risultano fuorvianti: restando nell’ovvio e nell’immediato rispetto a quanto le poche azioni presenti siano distoniche rispetto alla Parola detta dai protagonisti, è bene citare il passaggio “che ti stringi or fra le braccia” (Maometto II, Scena Quinta, Atto Primo) al quale corrisponde una separazione disposta in parallelo delle due parti in causa in oggettiva distorsione di quanto dovrebbe accadere se si ascolta il canto! Si potrebbe andare avanti per pagine intere a descrivere nel dettaglio tutti i numerosi zoppicamenti e cadute di questa linea di realizzazione registica ma, a beneficio del lettore, ricordiamo una regola fondamentale: se uno spettatore necessita di un corso di perfezionamento sulle note di Regia di uno spettacolo, detto Spettacolo non funziona e, di conseguenza, l’idea che lo sostiene. Di qui, ribadiamo che l’allestimento in Forma di Concerto avrebbe meglio dato giustizia all’impegno evidentemente profuso per la realizzazione della parte musicale, ancor più se rammentiamo la pochezza delle Scene. Costituite esclusivamente da croci di Sant’Andrea con Led annessi, addirittura nell’Atto Secondo queste si alzano (che genialità!), offrendo però almeno un momento di parvenza di senso estetico; inoltre (udite, udite!), c’è addirittura un bel divano per l’Atto Secondo che, dopo essere stato “smunnezzato”, possiamo ammirare in tutta la sua dorata magnificenza. Anche qui, oltre all’evidente scelta fuori luogo e fuori concetto dello stile del mobile, né contemporaneo e neppure “storico” per il tempo esatto della vicenda (qualora lo fosse stato avremmo potuto parlare di “finestra temporale” di vero storico), detto divano molto ci ha ricordato quelli presenti in interni ambienti del Teatro di San Carlo di cui conserviamo memoria… ci ha fatto piacere assai: in un trionfo disturbante di sacchi neri per l’immondizia, almeno è apparso un singolo elemento di aderenza alla memoria dei grandi fasti ottocenteschi che il San Carlo meriterebbe di vivere ogni giorno, ancora oggi.

Ciliegina sulla torta in mezzo a tutta questa decadenza: il Par LED blu che a un certo punto è rimasto piantato a vista sul lato destro della Scena… très chic!

Questa ultima scelta fa il paio con un delizioso momento di avanspettacolo: l’ingresso in Scena a vista dell’Arpa (e della brava arpista!) subito prima di “Giusto ciel, in tal periglio”… due attrezzisti non in costume scaricano l’arpa e lo sgabello, lei si siede e poi comincia… ma, dico, un veletto nero? Una croce maggiore? Anche un’orsa minore sarebbe andata bene, suvvia, piuttosto che avere l’impressione di assistere all’ingresso di una “musicante” buttata lì per caso!

Pomeriggio con tanta buona Musica: un Mariotti come sempre illuminante, la prova maiuscola di Tagliavini, il felice esito di Korchak e del Coro, unitamente alla scoperta degli Allievi; una meno felice conferma anche quella relativa alla composizione delle Compagnie di Canto rispetto alle vocalità femminili, abbastanza o troppo distanti da quanto ci si dovrebbe attendere in Italia, sia tecnicamente che stilisticamente. Italiane che siano Rossiniane di peso ce ne sono diverse… dare un ascolto in giro per le prossime occasioni forse non farebbe male.

Altrettanto, sarebbe anche ora di mettere un freno alla messa in Scena di progetti di Allestimento che, come evidentemente accaduto in questo caso, vogliamo immaginare non si siano conosciuti sino alla fine… eh sì, deve essere andata così: al solo pensare che un Teatro possa investire risorse, tempo e reputazione su progetti del genere conoscendoli in anticipo e nella loro compiutezza rappresenterebbe un caso dove la realtà supererebbe di gran lunga la fantasia.

Antonio Smaldone
(29 ottobre 2023)

La locandina

Direttore Michele Mariotti
Regia Calixto Bieito
Scene Anna Kirsch
Costumi Ingo Krügler
Luci Michael Bauer
Personaggi e interpreti
Paolo Erisso Dmitry Korchak
Anna Vasilisa Berzhanskaya
Calbo Varduhi Abrahamyan
Condulmiero Li Danyang
Maometto II Roberto Tagliavini
Selimo Andrea Calce
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro del coro Vincenzo Caruso

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