Negli spazi bianchi di musica e danza: Simona Bertozzi e Claudio Pasceri alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri
“Tra le linee” fa dialogare danza, musica elettronica (sintetizzatore e campionatore), composizioni dell’altro ieri (la Grande fuga), di ieri (Rihm, 1991) e di oggi (Riccardo Perugini, prima esecuzione assoluta, commissione festival EstOvest 2020). Il progetto di Simona Bertozzi (coreografa e danzatrice) e Claudio Pasceri (violoncello e direttore artistico del festival est ovest) è concepito, sin dall’inizio, a quattro mani e due menti, portando in scena un cortocircuito di musiche che si fondono l’una nell’altra e poi a loro volta trascolorano nella danza, entrambe in dialogo con l’elettronica. Bertozzi e Pasceri scrivono: “in questo strettissimo dialogo tra corpo/coreografia e musica l’elemento centrale, che risulta costantemente destabilizzato, è proprio il confine delle singolarità, il grado di aderenza e di frizione che si genera nel rapporto con il limite, quando si offre come un’occasione di vicinanza e di contatto, ma anche di sottrazione, prevaricazione, mescolanza o dissoluzione”.
Ad Io per il solo violoncello di Claudio Pasceri (in solitaria, sul fondo dello spazio essenziale, illuminato con un cono di luce) ed elettronica (che par provenire da un altro pianeta inconosciuto e forse non minaccioso, è persino facile vederci i suoni del mondo post-Covid, se vogliamo) è un canto dalle movenze lente, a volte tragico, errante, in cerca di qualcosa. Il violoncello intesse un dialogo acquatico con alcune forme di vita (organismi flagellati? amebe? spermatozoi? chi lo sa) adagiate sul pavimento: a volte esso pare perdersi, volutamente, imbevuto in questa sorta di liquido amniotico. Le forme di vita semplici, nel loro involucro trasparente, come meduse vibrano di vita con movimenti lenti, apparentemente inoffensivi: i cinque danzatori che animano discretamente gli involucri, sono all’inizio puro respiro. Arretra il suono dell’elettronica, torna in avanti il suono del solista, escono i danzatori dai girini. La scena è ora attraversata poi attraversata da una duplice scossa (rispettivamente due momenti segnati in partitura Presto e Prestissimo), quasi un fulmine del violoncello, che scompone letteralmente, disfa le bolle nelle quali vivevano i corpi (Giulio Petrucci, Manolo Perazzi, Sara Sguotti, Oihana Vesga e la stessa Simona Bertozzi).
Ora è un solo di danzatore, al centro della scena, in sneakers e cappuccio, ora sparisce l’elettronica come l’agitarsi di un sonaglio orientale al vento. E, fra le linee (Zwischen den Zeilen è il titolo della brevissima composizione per quartetto d’archi di Rihm), la danza riempie i silenzi sonori di cui questa musica è fatta: Rihm è il ponte gettato fra la nuova composizione di Perugini e la Grande Fuga: a questa i danzatori danno corpo in modo nettamente diverso dalla prima parte erratica ed eterea. Se in Perugini la musica è stilizzata ed essenziale, e così la danza la riprende, rispecchiandola, dandole forma e vita, per Beethoven Bertozzi ha in mente una fisicità che congela in pose altamente simboliche la lotta, (si vedano i materiali iconografici su: Simonabertozzi.it).
Liberati dagli involucri, bave di lumache, bianco d’uovo, scie, la musica trasfigurata dai danzatori è pura tensione in potenza, una forza letteralmente schiacciata nei loro corpi (e ci scommettiamo anche in quelli dei musicisti) che lotta per uscire e farsi gesto.
L’azione coreografica chiama a raccolta le forze dei cinque danzatori in Beethoven, soprattutto. Di questa lunga e complessa coreografia colpisce un momento a due, delle ragazze, quasi antigravitazionale, raggelate, in una dimensione eterna, rallentata, simile all’atmosfera rarefatta di molte opere di Casorati che hanno al centro dei nudi. Gli altri danzatori stanno a bordo scena, come sbalzati sul bordo di qualcosa. L’azione si fa collettiva verso lo stretto della fuga: chi sono queste creature? Forme che vogliono uscire da una materia molle come cera, come nelle sculture di Medardo Rosso. Presi da una certa urgenza motoria che non fa star fermi sulla sedia, fin dalle prime note della Grande fuga, ben interpretata dal quartetto NEXT, ci si chiede solo perché questa musica non sia sempre danzata o perché non lo debba essere. Per la sua natura totalmente astratta, ma muscolare (una pura forma di energia che ha preso dimora in quella precisa impalcatura perché solo in una costruzione così, fatta dalla mente del compositore, poteva abitare) la danza sembra immantinente a molta della musica di Beethoven e alla Grande Fuga in modo particolare (in tempi remoti, consigliavo – in un modo non ortodosso che rivendico tuttora – di correre con la Grande fuga). È la materia sonora stessa che postula un movimento. Il movimento – dice la stessa Bertozzi in un incontro pubblico della seria “Around”, attorno al festival Estovest – è tensione che crea delle relazioni, non delle forme.
Il vertiginoso climax musicale si concreta nei gesti più icastici della serata: immobili e silenziosi, eppure potenti, ad esempio le X delle braccia che si incrociano (sono quelle di Joshua Wong, nella rivoluzione degli ombrelli, Hong Kong 2014), diventano pietra scolpita nei corpi.
Sembra che vadano, tutti, tutti assieme, a stanare qualcuno lassù. Dio? L’infinito? L’essere supremo? O il potere senza volto dei dittatori? Chiamiamolo come vogliamo. Lo staniamo, però, chiedendogli delle ragioni tutte umane, con la finitezza di donne e uomini. Soprattutto col corpo: attraverso il pensiero sonoro e danzato. Domande che si fanno nel corpo e col corpo. Sul finire dello spettacolo, quando l’energia si libera del tutto, la forma della coreografia pare esplodere. I danzatori restano brevemente immobili a stagliarsi su una luce colorata, cangiante, sul fondo della scena: semi immobili, coi piedi ben piantati a terra (anche i musicisti, scopriremo, hanno dimenticato le scarpe a casa), come direbbe lo yoga ben “centrati” nel loro elemento. Forse è questo il senso ultimo di questo spettacolo: radicarci, e nel tentare di farlo, nel mentre, capire come riuscirci davvero.
Benedetta Saglietti
(2-3 ottobre 2020)
La locandina
Compagnia Simona Bertozzi | |
NEXT- New Ensemble Xenia Turin | |
Librettista | Leonardo De Santis |
Luci e set spazio | Giuseppe Filipponio |
Costumi | Katia Kuo |
Programma | |
Ludwig van Beethoven | |
Quartetto d’archi op 133 Die grosse Fugue | |
Riccardo Perugini | |
Ad Io, per violoncello sintetizzatore e campionatore * | |
Wolfgang Rihm | |
Zwischen den Zeilen per quartetto d’archi ** | |
*Prima esecuzione assoluta, Commissione EstOvest Festival | |
**Prima esecuzione italiana |
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