Nicola Berloffa: «Ariadne è puro divertimento»

Il prossimo 15 ottobre l’Auditorio de Tenerife inaugurerà la stagione d’opera 24-25 con una nuova produzione di Ariadne auf Naxos affidata a Nicola Berloffa. Abbiamo raggiunto il regista cuneese per porgli qualche domanda sull’allestimento e non solo.
  • Qual è lo stato dell’arte per quanto riguarda la regia d’opera?

Sicuramente stiamo attraversando un grande periodo di stallo e di crisi. C’è una grandissima confusione che perde di vista la principale missione del regista: comunicare al pubblico emozioni, perché il regista è un vettore che deve riunire insieme un’infinità di persone e di cose verso la realizzazione di un’idea artistica chiara.

Il “mettersi a servizio” di un’opera non vuol dire non fare arte, piuttosto il contrario, bisogna esser capaci di esaltarla.

Purtroppo dal post covid è un settore in crisi in cui mancano i professionisti: c’è troppa improvvisazione e a farne le spese è il pubblico.

  • Il drammaturgo è strettamente necessario?

Il drammaturgo può essere una figura, misteriosa ai più, estremamente interessante e utile. Il suo compito è quello di porsi in mezzo all’idea di regia e al materiale originale, di mettere in discussione in modo critico, costruttivo e quotidiano il lavoro registico, di diventare una specie di confidente e aiutare l’evoluzione della creazione verso il concetto elaborato all’inizio di essa. Detto questo è una figura molto delicata che non si può assolutamente improvvisare senza creare danni, non ha per forza una formazione prettamente teatrale ma deve avere una cultura universale vastissima. Il drammaturgo è, infatti, legato a un certo teatro dove tutto deve esser messo in discussione, un modo di lavorare più nord Europeo di tradizione e meno italiano.

Lavorai con una Drammaturga in un Teatro Svizzero, parlava sei lingue, era pluri laureata, diplomata in Pianoforte… ora è Rettrice di una Facoltà Universiteria, fu un’esperienza di condivisione di idee unica.

  • Si lavora meglio in Italia o all’estero?

Il modo di lavorare in teatro è universale, ma tutto cambia da Teatro a Teatro: ci sono piccole realtà dove si lavora benissimo e grandi realtà piene di problematiche. Tutti hanno punti forti e punti deboli, da una parte trovi un coro di attori e dall’altra nessuno si muove a ritmo di musica , in una città il laboratorio di scenotecnica è un fiore l’occhiello dall’altra parte lo è la Sartoria. Questo perché in un teatro d’opera ci sono riuniti insieme una quantità enorme e diversa di professioni e di professionisti con tutte le problematiche che ne derivano.

  • Venendo alla produzione che la vede impegnata a Tenerife: come sarà la sua Ariadne?

Ariadne è un titolo che ho inseguito per diversi anni, un piccolo sogno.

Per il regista è puro divertimento e inventiva, come non lo potrebbe essere d’altronde se pensiamo ai tre geni che hanno inventato e lavorato sulla creazione del progetto, Richard Strauss, Von Hofmannsthal e Max Reinardt, tre tra le più grandi figure del teatro del secolo scorso.

  • Quali le difficolta?

La difficoltà principale è quella di trovare due unità di tempo per raccontare lo spazio del prologo e il tempo sospeso del mito di Opera. Mi piaceva l’idea di avvicinarmi all’epoca stessa della composizione per creare un parallelismo con alcune delle stesse problematiche che i creatori incontrarono nella creazione. I costumi di inizio novecento, prossimi all’anno della composizione, 1916, aiuteranno a leggere la seconda parte anche come una fuga dal tempo reale verso il sogno del mito e lo stesso grande salone del prologo verrà invaso durante Opera da una coltre di sabbia che seppellirà il mondo altoborghese della prima parte, sospendendo il tutto in un mondo irreale.

La vera sfida è rendere la commedia del Prologo, i ritmi serratissimi scritti da Strauss, implacabili e geniali, i versi di Von Hofmannsthal, taglienti e così viennesi. Una volta che viene liberato il personaggio da un bozzettismo di tradizione la commedia si asciuga in un delizioso intreccio che potrebbe quasi richiamare con vent’anni d’anticipo una commedia di Cukor o Lubitsch.

  • E riguardo ai suoi impegni futuri?

Ritornerò a Seul per la fanciulla del West, poi una ripresa di la Wally  a Verona, cavalleria rusticana e i pagliacci a Saint Etienne dove rileggeremo i due drammi cercando di avvicinarci a un neorealismo sociale più vicino a Visconti e Antonioni ( la Valli ne “il Grido”), il tutto avvolto in una nebbia padana. Infine un terzo progetto di Carmen per il Festival di Quebec City.

Alessandro Cammarano

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