Omaggio a Martina Franca: il labirinto bianco e i suoi luoghi pulsanti di pathos

Se il filo di Arianna è fil rouge dell’edizione quarantaseiesima del Festival della Valle d’Itria, miglior occasione per cominciare ad addentrarsi nel bellissimo labirinto bianco di Martina Franca non poteva che essere questo ben congegnato omaggio alla città stessa e alle sue risorse umane ed architettoniche che tante presenze, nonostante il Covid, fa registrare anche quest’anno. Un polittico di appuntamenti cesellati all’insegna della presentazione dei luoghi-simbolo della città legati al Festival e, non di meno, ad alcune delle sue peculiarità artistiche in quanto a programmazione e presenza nei cartelloni.

Cinque tappe (di cui una in streaming) più una che hanno saputo connettere gli intervenuti attraverso un’articolata proposta che non ha dimenticato di rivelare alcuni “tesori nascosti” come da buona pratica del Festival stesso.

Prima tappa: Chiostro di San Domenico.

La prima tappa di questo viaggio l’abbiamo già definita sui canali social come “pomeriggio di qualità” e, in questa sede, non possiamo che confermarne la definizione. Due i momenti che hanno permeato di senso il bellissimo Chiostro. Il primo è stato un Atto unico a firma drammaturgica di Michele Balistreri che, unendo il Carme LXIV di Catullo e l’Epistola X delle Eroidi di Ovidio, ha segnato con graffiante incisività e meditato approfondimento quel #ritrovareilfilo di cui il Festival si fregia come nota distintiva di quest’anno. La recitazione presente ed intensa di Sara Putignano (Ariadna) e Marco Bellocchio (Theseus) ha permesso all’idea ben definita di Balistreri di essere percepita con immediatezza e rilevando ancor meglio il valore intrinseco della stessa. Il liuto di Gianluca Geremia merita in questa produzione una menzione particolare per l’esattezza stilistico-interpretativa dei suoi interventi musicali. IL secondo momento della prima tappa era affidato a Modo Antiquo che, con la guida di Federico Maria Sardelli, non poteva che donare una concreta realizzazione di Musica che viene fatta per come si deve fare. Dal “Lamento di Arianna” di Claudio Monteverdi al “Trionfo di Bacco” di Lorenzo de’ Medici, passando per Bendusi, Trabacci e Cortecci lo splendido senso filologico dei musicisti ha avuto modo di incontrare le luminose potenzialità di tre giovani figli di Martina Franca (Miriam Battistelli, Manuel Amati, Eugenio Di Lieto) che in questa occasione hanno mostrato ulteriori possibilità di realizzazione oltre quelle che già ben conosciamo. Un pomeriggio di qualità che dimostra come si possa creare, ricreare e, soprattutto, approfondire al di là del risultato speculativo ma, semplicemente, perché è giusto fare le cose per bene.

Seconda tappa: Palazzo Ducale, Sala dell’Arcadia. (trasmesso in streaming)

Terza tappa: Chiostro del Convento delle Agostiniane

Da un Chiostro all’altro, da un repertorio all’altro. Un concerto misto di cui è opportuno riferire sia del valore intrinseco della scelta del programma (L.v. Beethoven-F. Liszt, L.v. Beethoven, M. Clementi, G. Rossini) che della resa. Presentare brani come la “Didone abbandonata”, ad esempio, non è una scelta consueta per un ambito festivaliero: punto cardine all’interno della Letteratura pianistica è un punto di congiunzione stilistica sia rispetto a linguaggi precedenti (dello stesso Clementi e non solo) che rispetto a quelli successivi (se pensiamo alla Sonata in Sol minore di R. Schumann, in particolare al terzo movimento, troveremo facilmente elementi su cui riflettere); già solo per questo potremmo trovare un merito intriseco da riconoscere ad Orazio Sciortino per averla scelta, altrettanto se pensiamo alla sua esecuzione possiamo portare a casa un punto in più grazie ad un’interpretazione che si discosta da quanto la resa “scolastica” ci ha troppo spesso abituati: colpisce in particolare la scelta di alcune gestioni delle dinamiche unitamente ad una gestione delle parti che evidenzia con perizia i dettagli “vocali” ed armonici di cui la Sonata op. 50 n. 3 di M. Clementi è intrisa. L’altra protagonista della seconda tappa è il soprano Lidia Fridman che con Sciortino propone “Ah, perfido!” op. 65 di L. v. Beethoven e “Dove son io?… Fuggi” da “Armida” di G. Rossini. Entrambe le proposte confermano quanto già visto in altre occasioni rispetto all’efficace veemenza del soprano e alla sua pregnante comunicativa mimico-gestuale.

Quarta tappa: Chiesa di San Domenico.

È in questa tappa che si è potuto godere della perla artistica dell’intera giornata: “Il pianto della Madonna sopra il Lamento di Arianna” di Claudio Monteverdi nell’interpretazione del soprano Giulia Semenzato. Ecco, signori, non c’è storia: quando un soprano è stilisticamente impeccabile, vocalmente sano e ricco ed empaticamente in costante connessione col pubblico non può essere definito un’Artista. L’unica espressione che può sintetizzare quanto ascoltato è “pelle d’oca”. Essere consapevoli di ciò che si è e di ciò  che si fa, nel bene e nel male, non è affatto sintomo di “fragilità” ma, al contrario, di umana grandezza. A seguire, altra punta di diamante della programmazione del Festival con lo “Stabat Mater” di Domenico Scarlatti: una chicca. “L’aquilotto”, come lo chiamava suo padre Alessandro, lo ricordiamo sempre e solo per la sua monumentale produzione tastieristica ma quando abbiamo occasione, come qui, di ascoltare i suoi altri lavori non possiamo che rinnovare la nostra passione verso un musicista completo ed ardito e, altrettanto felicitarci dell’esecuzione così ben concertata dell’Orchestra Cremona Antiqua per la Direzione di Antonio Greco. Non facile l’impresa (dieci voci che devono coesistere ed articolarsi con esattezza di pronuncia e accenti) che viene portata egregiamente a termine, oltre che dai già citati, da Miriam Battistelli, Barbara Massaro, Lidia Fridman, Gaia Petrone, Ana Victoria Pitts, Francesca Ascioti, Manuel Amati, Vassily Solodkyy, Alberto Comes, Eugenio Di Lieto.

Quinta Tappa: Basilica di San Martino.

A conclusione della giornata la proposta musicale ci conduce all’ultima tappa con un ulteriore momento di interessante realizzazione. Dapprima si sono apprezzati i componenti del Trio “Gioconda De Vito” (Silvia Grasso – vl, Gaetano Simone – vc, Liubov Gromoglasova – pf) prodottisi in una eccellente esecuzione dell’Adagio dal Trio D897 di F. Schubert; in particolare da segnalare l’intenzione pianistica di Gromoglasova che, oltre al ruolo di concertatore, realizza il tutto con ricchezza di sfumature di tocco e notevole articolazione del fraseggio. A seguire ancora un intervento pianistico di Orazio Sciortino che riprende la scena proponendo un’esecuzione raffinata e pienamente rispondente alle ragioni del testo operistico del di “Les Adieux” (F. liszt da “Roméo e Juliette” di C. Gounod). Conclude la giornata l’esecuzione di “Gebet” D815 di F. Schubert: stupendo lavoro ed eccellente resa esecutiva. In questa ultima impresa della giornata, oltre allo stesso Sciortino che dimostra una sicura vocazione direttoriale sia nella lucidità degli attacchi ai cantanti che, e soprattutto, nella precisione esecutiva dei dettagli indicati per ogni singola nota così da permettere a Barbara Massaro, Gaia Petrone, Vassily Solodkyy ed Eugenio di Lieto di fare molto bene e di riprendere gli stessi dettagli con spontanea e sicura resa.

Un primo giorno a Martina Franca denso di senso: #moltobene.

Antonio Smaldone

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