Ottavio Dantone, Il Tamerlano di Vivaldi e la libertà nella filologia
La nuova avventura del Tamerlano è partita dal Teatro Alighieri di Ravenna. Qui l’opera vivaldiana del 1735, su libretto già più volte utilizzato di Agostino Piovene, è stata rappresentata il 14 e il 15 gennaio con calorosissimo successo nel Teatro Alighieri stracolmo. Il pubblico aveva affollato anche la presentazione dell’opera affidata al musicologo Guido Barbieri e a Ottavio Dantone.
Oltre che a Dantone, direttore al clavicembalo, la realizzazione musicale è affidata all’Accademia Bizantina e a cantanti come, tra gli altri, il baritono Bruno Taddia, il controtenore Filippo Mineccia e il contralto Delphine Galou, che già avevano partecipato alla registrazione dell’opera pubblicata nel 2020 dall’etichetta Naïve. Stefano Monti, regista e autore di scene e costumi, ha coinvolto nell’allestimento la DaCru Dance Company.
Ora Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet RV 703 (il nome del condottiero mongolo è quello apposto al libretto, quello di Bajazet è in partitura ed è con questo che l’opera viene spesso citata) è attesa al Teatro Municipale di Piacenza il 20 e 22 gennaio, al Valli di Reggio Emilia il 27 e 29 gennaio, al Comunale Pavarotti-Freni di Modena il 3 e 5 febbraio e al Teatro del Giglio di Lucca il 17 e 19 febbraio. In occasione delle rappresentazioni ravennati, abbiamo rivolto qualche domanda a Ottavio Dantone.
- Il Tamerlano è un pasticcio, cioè un’opera che comprende arie di altri compositori, Geminiano Giacomelli, Johann Adolf Hasse e Riccardo Broschi, oltre ad alcune già utilizzate da Vivaldi in lavori precedenti. Quali sono le ragioni di questo procedimento, molto diffuso in epoca barocca?
Intanto il diritto d’autore all’epoca non esisteva, ma non è questo il punto. Il pasticcio era da un lato un modo per mettere in scena un’opera in maniera molto veloce, perché utilizzando musiche già facenti parte di altre opere, o comunque già esistenti, tutto era molto più rapido nella messa in scena; ma, soprattutto, un pasticcio era l’occasione per utilizzare brani richiesti dai cantanti o comunque per proporre la musica migliore possibile: arie già collaudate, che erano già state eseguite, che erano già nel favore del pubblico.
Il pasticcio, quindi, da un lato può diventare una forma d’arte assolutamente elevata dal punto di vista del livello musicale, dall’altro a volte, come anche nel caso del Tamerlano di Vivaldi, essere oggetto di messe in scena abbastanza sfarzose.
In realtà, l’opera barocca non va giudicata sulla base né del libretto né della struttura: va giudicata sulla capacità di muovere le emozioni, gli affetti. Il punto è come esprimere le emozioni. Si possono esprimere anche cantilenando una canzoncina, dipende da come lo si fa. È un po’ quello il concetto della musica barocca: si può realizzare un capolavoro eseguendo La bella Gigogin, oppure si può suonare male, se non si è compreso e non si sa bene come esprimere una frase, come parlare all’ascoltatore.
- Il manoscritto autografo del Tamerlano, recuperato nella Biblioteca Nazionale di Torino dopo secoli di oblio, non è completo, vero?
Non lo è, e anche noi dobbiamo contribuire al pasticcio: nella musica che è giunta a noi mancano cinque arie, è rimasto soltanto il testo relativo. Quindi chi dirige quest’opera oggi deve assumersi il compito di cercare cinque arie che abbiano una metrica corrispondente al libretto. È quello che ho fatto io e che ha fatto o dovrà fare chiunque altro diriga Il Tamerlano: ho trovato arie adeguate dello stesso Vivaldi, di Giacomelli e di Hasse e le ho inserite nell’opera.
- Un’operazione libera ma a tutti gli effetti filologica; riguardo all’esecuzione, che cosa significa oggi rispettare la filologia?
Non bisogna essere troppo rigidi nel considerare la musica antica attraverso una filologia che ricerchi l’imitazione di ciò che è accaduto in passato. Lo studio attento è sul linguaggio: per fare la musica barocca è necessario imparare un vero e proprio vocabolario di gesti e di codici che permettono di comprendere questa musica. Oggi si pensa alla filologia riferendosi agli strumenti antichi, ma è limitativo, non è tutto lì; anzi, la questione più importante rispetto alla musica antica sta proprio nella ricerca attenta di un’estetica e di un linguaggio.
- La compagnia di canto di questo Tamerlano comprende due controtenori e un ruolo maschile è sostenuto da una donna en travesti: che cosa comporta la scelta degli interpreti per questo repertorio?
Se è vero che i castrati venivano usati in maniera copiosa nell’opera barocca, c’è da dire anche che il gusto del travestimento faceva sì che le donne a volte interpretassero ruoli maschili e gli uomini ruoli femminili. Nella prima esecuzione di quest’opera, Tamerlano fu cantato da una donna e non da un uomo: in generale c’erano femmine che facevano femmine, castrati che facevano uomini, ma anche donne specializzate proprio nei ruoli maschili.
È interessante questo fascino dell’ambiguità sessuale attraverso i personaggi delle opere; è proprio il gusto di un’epoca e va visto in questo senso. La stessa libertà è giusto utilizzarla anche oggi: non bisogna pensare che a tutti i costi le voci acute maschili debbano essere cantate da uomini, anche perché i castrati non esistono più: ben vengano i controtenori, ma comunque è giusto scegliere gli interpreti a seconda delle caratteristiche vocali e non perché una volta si usavano i castrati e occorre mettere dei surrogati a tutti i costi. La libertà è frutto sempre del buon senso e del ragionamento, e questo è uno dei comandamenti dell’epoca barocca.
- Tamerlano è uno dei lavori che possono far capire l’importanza del Vivaldi operista?
Sì, soprattutto se si pensa non tanto alle arie: Vivaldi ne ha composto solo una parte, quelle corrispondenti ai personaggi positivi, mentre ha utilizzato degli altri autori le arie dei personaggi diciamo cattivi, negativi, e ciò indica comunque una struttura nell’assemblamento dei brani.
Ma questo Tamerlano, come altre sue opere, contraddice quello che si dice sempre su di lui, che non è un autore oggi facile da mettere in scena, che la sua drammaturgia è debole: non è affatto vero.
Soprattutto i recitativi sono scritti con una straordinaria attenzione, con un’enorme cura per i silenzi, per il ritmo, per le dissonanze, per tutto ciò che è teatro. Il recitativo è il teatro, mentre l’aria è l’emozione, la rappresentazione delle emozioni.
Vivaldi scrive recitativi bellissimi, non solo secchi, ma anche accompagnati: hanno un ritmo teatrale drammaticissimo, vorticosisissimo e molto interessante da ascoltare. In particolare, ci sono due recitativi accompagnati di Bajazet e di Asteria, sua figlia, che danno una misura delle capacità drammaturgiche del compositore.
Patrizia Luppi
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