Oxford Lieder Festival, la Grande Bellezza
Nella situazione non favorevole di un mondo musicale in streaming, professionisti e pubblico si trovano ormai da dieci mesi a convivere con un nuovo modo di fare e fruire i concerti. Piaccia o non piaccia, così è, e le nuove ondate di contagi che attraversano l’Europa (per guardare vicino) hanno smorzato l’entusiasmo per le esibizioni en plein air dell’estate. Siamo tornati in casa e abbiamo ricominciato a tenere d’occhio i cartelloni che comunque vengono programmati e che trovano esecuzione nei “nuovi teatri” dell’anno pandemico: YouTube, FaceBook e Televisione.
In questo grigiore la cui nebbia impedisce di vederne la fine, l’Oxford Lieder è riuscito comunque, con sforzi enormi e risultati notevoli, a proseguire la sua attività e a offrire al suo pubblico regali preziosi. Istituzione inglese dedicata alla celebrazione della liederistica, Oxford Lieder festeggia nel 2021 il ventesimo anniversario. Ogni anno propone una cinquantina di concerti – quasi esclusivamente nella città di Oxford – attraverso diverse iniziative (le due più importanti sono l’Oxford Lieder Festival in ottobre e lo Spring week end of song in aprile) la cui direzione artistica è affidata al pianista Sholto Kynoch.
La risposta di Oxford Lieder all’improvvisa pandemia che ha travolto il mondo lo scorso marzo è stata, in primis, garantire agli artisti scritturati per lo “Spring songs” di aprile 2020 (ovviamente cancellato) il cinquanta per cento del compenso pattuito, riprogrammando una proposta alternativa nel “Social Distansong” che attraverso il canale YouTube ufficiale (più di 8.000 iscritti) ha presentato per una settimana incontri con gli artisti, presentazione di opere, ascolti di registrazioni passate del Festival rese appositamente accessibili. Plauso per la serietà e la cura dell’artista, non abbandonato, e per il legame non interrotto con il pubblico.
Ma è stato fatto ancora di più. Il Festival autunnale, punta di diamante di questa istituzione inglese, è stato ripensato, modificato, arricchito, variato a tal punto da restituire una manifestazione sorprendente senza snaturarne i contenuti. Parliamo ovviamente di un festival che è stato realizzato interamente “a distanza” per il pubblico, ma reso più che onorevole dalla cura di aspetti essenziali. Se da un lato è stato fatto un notevole investimento sulle riprese audio e video, assicurando un prodotto che restituisse degnamente l’alto livello delle performance, dall’altro è stato sfruttato al meglio il canale tecnologico: contenuti extra sul sito quali videointerviste con gli artisti in vista del concerto, tutti i testi dei lieder con le traduzioni in inglese, note di sala molto più approfondite (lo spazio infinito della pagina web) con rimandi ipertestuali; e ancora, question time in diretta con gli interpreti al termine della maggior parte dei concerti, in cui venivano poste le domande inviate dal pubblico durante l’esibizione. Ma non solo, l’assenza fisica di un uditorio ha dato la possibilità di realizzare i concerti in luoghi impensabili per gli spazi e le regole di sicurezza che richiede uno spettacolo dal vivo, aprendo le porte di castelli privati, musei, chiese e sale suggestive che mai avremmo potuto ammirare in un evento partecipato.
Sotto il titolo di Connections across time – A brief history of song, il 19° Oxford Lieder Festival ha aperto una finestra sul mondo liederistico dal 10 al 17 ottobre scorso. Innumerevoli le connessioni promesse e realizzate, con approfondimenti legati alla storia, l’arte, la letteratura, la filosofia e la scienza, mai lasciati al caso o all’ovvio, attraverso quaranta appuntamenti con musiche dal XIV secolo ad oggi, interpretate e raccontate da un centinaio tra artisti e relatori. Così, grazie al biglietto singolo o all’abbonamento, si poteva seguire ogni appuntamento in diretta oppure “on demand” per alcune settimane.
La manifestazione, di casa nella Holywell Music Room (sala da concerto costruita a questo scopo nel 1748 grazie ad una sottoscrizione pubblica), ne è uscita per un viaggio affascinante: tra le mura medievali di Broughton Castle è risuonato John Dowland con il tenore James Gilchrist ed Elizabeth Kenny al liuto; nella Biblioteca Bodleian, dove si trova la maggior raccolta di manoscritti di Mendelssohn, e nella Upper Library del Queen’s College si è parlato di Illuminismo, intonando Lieder su testi di Voltaire e Rousseau con il soprano Anna Cavaliero e il fine tastierista Julian Perkins; nel Museo di Storia Naturale, proprio dalla stanza dove avvenne nel 1860 il “Grate Debate” sulle teorie darwiniane, si è indagato come la produzione liederistica ottocentesca abbia risentito del dibattito tra scienza e religione. E ancora, nell’Oxford Botanic Garden si è parlato del forte simbolismo delle rose nei testi dei lieder, e nell’Harcourt Arboretum è stato discusso, grazie al Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, sul rapporto tra natura e salute mentale con riferimento alla produzione liederistica di Ivor Gurney; non ultimo, speciale era l’ambientazione a lume di candela nello storico Osservatorio astronomico Radcliffe, con lieder tra i più intimi per mezzosoprano e chitarra.
Se solo questo valeva la curiosità di seguire il Festival, è nulla a confronto del livello degli artisti coinvolti: il tenore Ian Bostridge (artista in residenza impegnato in una masterclass, una lunga intervista e ben quattro concerti, uno dei quali con la pianista italiana Saskia Giorgini nei lieder bachiani arrangiati da Britten), il baritono Roderick Williams (protagonista in passato per Oxford Lieder di una interessantissima versione inglese della schubertiana Winterreise), il mezzosoprano Dame Sarah Connolly (meravigliosa nei Rückert-Lieder di Mahler accompagnata da Eugene Asti), il già citato tenore James Gilchrist, e ancora il baritono Benjamin Appl, il tenore Christoph Prégardien, il basso baritono Stephan Loges. Questi nomi per indicare solo alcune stelle di un firmamento che ha sapientemente coinvolto anche le giovani promesse premiate in concorsi (della Young Artist Platform da segnalare il timbro ambrato del contralto Jess Dandy, la voce sensibile ed elegante del baritono Benson Wilson e la coppia spumeggiante Siân Dicker soprano e Krystal Tunnicliffe pianista) e talenti emergenti (che hanno aperto tutti i concerti serali con quattro/cinque lieder di Schubert e che sono stati anche protagonisti di una breve intervista, un intelligente biglietto da visita!).
Ultima nota positiva da segnalare (perché ci sarebbero altri mille aspetti da lodare in questo festival) è stata la presenza – accanto alle divinità onnipresenti di Schubert, Schumann, Mahler e Britten – di autori moderni (interessante il ciclo Before and After Summer op. 16 di Gerald Finzi, magnificamente svelato da Roderick Williams) e contemporanei (Lori Laitman e Dominick Argento sono stati una piacevole scoperta) nonché di tre prime assolute commissionate dal Festival: Baruch: Ten Propositions of Baruch Spinoza di Michael Zev Gordon (come guardare al divino attraverso l’Etica di Spinoza; la voce ora declama il latino ora si ferma su note lunghe, mentre il pianoforte è utilizzato per cercare colori e timbri, non melodie), Six Songs of Melmoth della compositrice in residenza Cheryl Frances Hoad (ispirata all’uomo errante di un romanzo gotico inglese, la musica racconta i chiaroscuri di una storia maledetta alternando silenzi a esplosioni; il pianoforte spiega le emozioni delle parole perlopiù recitate) e A Photograph di Philip Venables (l’occasione di una foto ritrovata per mettere in scena una “falsa” storia; la voce ora racconta i fatti – parlato, personaggio esterno – ora le emozioni – cantato, personaggio nella fotografia – mentre arpa, clarinetto e contrabbasso dipingono la scenografia).
Per approfondire lo straordinario mondo di Oxford Lieder, potete leggere l’intervista al direttore artistico Sholto Kynoch oppure fare diretta esperienza di questo meraviglioso mondo liederistico seguendo il prossimo evento, Winter into Spring – The Changing Seasons, che verrà realizzato il 27 e 28 febbraio prossimi (tutte le info su https://www.oxfordlieder.co.uk/events/forthcoming).
Monique Cìola
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