Padova: La sfida di Turandot
Portare in scena Turandot al Teatro Verdi di Padova è una sfida non da poco. L’opera richiede cantanti esperti ed agguerriti, un’orchestra solida e dall’ampia palette timbrica, un direttore di acuta abilità ed accesa sensibilità e una regia che renda al meglio le violente tensioni che percorrono la partitura. Una sfida che la Turandot andata in scena il 25 ottobre al Teatro Verdi di Padova è riuscita a portarsi a casa, non sempre al meglio, ma con dignità.
La regia di Filippo Tonon era di impatto, classica ma efficace, dal chiaro effetto cinematografico e costruita per grandi quadri come spesso avviene con i lavori di Tonon, che ha curato anche le scene e le luci.
Questo non ha potuto evitare una certa sensazione di disordine nel primo atto, da cui si percepiva la volontà di seguire il dialogo serrato e l’azione incalzante, ma che non è riuscita a domare la frenetica confusione in cui ci getta Puccini nella prima mezz’ora d’opera.
Per il resto, l’idea funzionava: l’intera vicenda era trasportata in una Cina atemporale (tanto lontano passato quanto distopico futuro), in cui simboli ed elementi tradizionali cinesi si fondevano a luci fluo e scene da fabbrica abbandonata.
Buoni i costumi di Cristina Aceti, che si sposavano abbastanza bene con la regia di Tonon, ma che risultavano a tratti gratuitamente eccessivi. Un esempio le ancelle dell’Imperatore Altoum, i cui buffi copricapi hanno riversato fasci di luce in sala, impietosi delle diottrie degli sventurati professori.
Superflua l’azione del corpo di ballo del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Maribor, che, certo, aggiungeva movimento alla scena, ma non appariva fluidamente inserito nello scorrere dell’azione. Non molto convincente poi la gestualità tremolante, quasi effetto “polvere di fata” delle intrepide ballerine, che trovava in realtà un particolare corrispettivo nelle scoriandolate dal soffitto: una scelta vagamente kitsch per realizzare il pulviscolo luminoso o il graduale depositarsi del sangue di Liù. Il corpo di ballo è però parte della componente più riuscita dell’intera serata: il Teatro nazionale di Maribor, che ha curato l’allestimento.
L’Orchestra e il Coro del Teatro di Marburgo sulla Drava hanno infatti offerto un’ottima prova, nonostante l’acustica del Verdi abbia più volte dato l’impressione di faticare a reggere una partitura spessa come Turandot. La compagine è apparsa solida e sicura, specialmente nei primi due atti, con ottimi fiati e particolare distinzione per viole e contrabbassi.
Meno riuscito il terzo atto, forse per stanchezza dei musicisti, forse per complessità di realizzazione (soprattutto nel passaggio da Puccini ad Alfano).
Solidissimo il rapporto con il Coro, davvero eccelso salvo qualche sbavatura dei soli soprani, e sempre bene insieme con l’Orchestra, senza peraltro degnare di uno sguardo la bacchetta di Alvise Casellati.
Casellati che ha condotto una Turandot scorrevole, ma senza particolare interesse: l’opera è stata in piedi (ma su quello il sospetto è che sia ben più merito della geniale scrittura di Puccini), ma molto mancava nella cura di dettagli, nella ricerca dei fraseggi, nella concertazione dei piani timbrici, ma anche negli attacchi ai cantanti, specialmente nel vorticoso primo atto in cui diversi scollamenti tra palco e buca si sono realizzati nelle scene con Ping, Pang, Pong, e nella gestione delle dinamiche. Più volte uno sforzo per controllare l’orchestra e favorire la pesante parte vocale sarebbe stato fortemente necessario.
La parte vocale ha retto bene alla complessa opera.
La Turandot di Rebecca Nash si è spinta soprattutto su una aggressiva drammaticità, sicuramente un po’ forzata dalla pesante orchestra, che però ha sostenuto bene nel corso dell’opera.
Il Calaf di Gaston Rivero ha ben funzionato, nonostante una certa ingolatura nel tentativo di ingrossare e inspessire il più possibile la voce, ed è stato accolto da scroscianti applausi, ma a lui il merito di aver ben centrato il Nessun dorma, che il pubblico stava vistosamente attendendo da oltre un’ora.
Non molto convincente il primo atto di Erika Grimaldi (Liù), un po’ instabile, ma il soprano piemontese ha dato decisamente migliore prova con il proseguire dell’opera, raggiungendo nel Tanto amore segreto e inconfessato alcuni momenti di splendida espressività.
Bene Ping (Leonardo Galeazzi), Pang (Emanuele Giannino) e Pong (Carlos Natale), nonostante i detti scollamenti, con netta prevalenza di Galeazzi che ha saputo tratteggiare un Ping umano ed espressivo anche nel clima allucinato che pervade l’opera.
Un po’ bofonchiato l’Imperatore Altoum di Antonello Ceron, confinato in fondo al palco e non aiutato nella proiezione del suono.
Veramente splendida la prova di Abramo Rosalen nei panni di Timur, solido, sicuro, con voce nitida e carattere fiero. Bene il Mandarino di Cristian Satta.
Poste tutte le considerazioni del caso, comunque, la recita può dirsi sicuramente ben riuscita per il teatro padovano, stracolmo di pubblico in ambo le recite, e in realtà anche teatri ben più grandi si sarebbero trovati in difficoltà con l’estremo capolavoro pucciniano.
Vedremo ora come verrà costruito un altro capolavoro, il Don Giovanni di Mozart, che andrà in scena il 29 e il 31 dicembre.
Alessandro Tommasi
(25 ottobre 2019)
La locandina
Direttore | Alvise Casellati |
Regia, scene e luci | Filippo Tonon |
Costumi | Cristina Aceti |
Personaggi e interpreti: | |
Turandot | Rebecca Nash |
Altoum | Antonello Ceron |
Timur | Abramo Rosalen |
Calaf | Gaston Rivero |
Liù | Erika Grimaldi |
Ping | Leonardo Galeazzi |
Pang | Emanuele Giannino |
Pong | Carlos Natale |
Mandarino | Cristian Saitta |
Il principe di Persia | Tiberiu Marta |
Orchestra, coro e corpo di ballo del Teatro Nazionale di Maribor | |
Maestro del coro | Zsuzsa Budavari-Novak |
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