Palermo: Don Pasquale hi-tech

Leggerezza, impronta novecentesca e una buona dose di hi-tech sono la giusta commistione per conquistare il pubblico palermitano con la nuova produzione del Don Pasquale di Gaetano Donizetti firmata dal regista Damiano Michieletto, titolo tra i più interessanti dell’intera stagione operistica del Teatro Massimo. Un debutto, quello di martedì 17 febbraio, atteso con trepidazione soprattutto perché vanta, oltre l’eccellente firma registica, anche la coproduzione prestigiosa siglata dal Teatro Massimo di Palermo con la Royal Opera House Covent Garden di Londra e l’Opéra di Parigi, ma che arriva nel giorno in cui si apprende l’improvvisa scomparsa di Maurizio Scaparro. Il Teatro Massimo esprime profondo cordoglio e dedica lo spettacolo al raffinato regista e critico teatrale che con Strehler fu visionario precursore della moderna regia in Italia dal dopoguerra ad oggi.

Michieletto porta in scena la divertente, ma non meno tragica, burla che l’anziano Don Pasquale subisce: intenzionato a diseredare il nipote Ernesto che è innamorato della bella Norina e si rifiuta di sposare un’altra donna, Don Pasquale decide infatti a sorpresa di sposarsi, ma incappa sfortunatamente nell’arguto piano del Dottor Malatesta, amico di famiglia, che trova un modo, cinico ma efficace, per permettere ai due giovani di sposarsi senza incorrere nelle ire del ricco zio.

Una trama tutto sommato semplice, che nelle mani del regista veneto però esprime il meglio del suo potenziale comunicativo. Immersa in un immaginario contesto moderno (come peraltro suggerito dallo stesso Donizetti), la storia di Don Pasquale diventa infatti marcatamente un ironico scontro generazionale tra un noioso e infeltrito zio e le scaltrezze dei giovani, cui non riesce a tenere testa. Don Pasquale rappresenta quella generazione abitudinaria e condannata all’isolamento dalla sua stessa incapacità di gestire sia i sentimenti che i rapporti con gli altri; in un continuo inanellarsi di coup de theatre e l’alternarsi di situazioni buffe e malinconiche, tra false identità e contratti matrimoniali farlocchi, la vicenda volge all’epilogo con una nota di tristezza che Michieletto concretizza nel rappresentare Don Pasquale in sedia a rotelle e destinato ad una casa di cure.

La scena si apre su uno scarno appartamento privo di mura, con alcune porte autosostenute e pochi arredi di scena (un letto, un divano e un tavolo con delle sedie). Lo spazio è sovrastato da una struttura scheletrica di luci al neon che simula le linee essenziali del tetto. Tutto è in vista, l’intimità domestica e i tormenti psicologici dei personaggi sono frugati dallo sguardo costante dello spettatore e dagli ipotetici vicini di casa. Qui gli irrequieti tratti di vita quotidiana di Don Pasquale (Michele Petrusi) sono interrotti dalla visita del Dottor Malatesta (Markus Werba) con cui organizza il presunto piano ai danni del nipote che darà il via all’intero meccanismo drammaturgico. Lo scontro tra Don Pasquale ed Ernesto (René Barbera) non si fa attendere e il bel duetto «Prender moglie?» chiude la terza scena del primo atto senza suscitare però particolare meraviglia. Michele Petrusi nel ruolo del vecchio Don Pasquale, seppur non ineccepibile per la tecnica vocale, colpisce positivamente per la mirabile interpretazione e Markus Werba, che è decisamente a suo agio nel ruolo del Dottor Malatesta atteggiandosi a ganzo un po’ cafone, porta in scena un personaggio per lui già ben collaudato dimostrando padronanza del registro vocale e disinvoltura nell’affrontare tutte le sfaccettature che il ruolo richiede. Nel cambio di scena Norina appare non più come ragazzetta capricciosa dell’originale donizettiano, ma come ambiziosa diva dei giorni nostri, che si aggira tra un set fotografico e l’altro. Efficace è l’espediente dello schermo chroma key che proietta via via le immagini dei personaggi immersi in svariate ambientazioni ed effetti. Giuliana Gianfaldoni veste benissimo i panni della stravagante modella anche se, dopo un inizio un po’ fiacco, riesce a dare il meglio di sé solo nel terzetto e nel finale del secondo atto, mostrando le sue qualità vocali e gli acuti eccellenti. René Barbera è un Ernesto credibilissimo e gioca tutte le sue carte vocali nel migliore dei modi, nonostante qualche piccola incertezza sull’acuto finale dell’aria «Cercherò lontana terra» la sua performance può considerarsi pienamente soddisfacente, soprattutto se si pensa che uno dei momenti migliori e riusciti dell’opera è il Notturno «Tornami a dir che m’ami» in cui alla bravura interpretativa dei due cantanti (Barbera e Gianfaldoni) si aggiunge il bell’effetto scenografico reso dalla proiezione al chroma key dei due innamorati sullo sfondo di un magnifico boschetto.

Molto bene il coro che nel terzo atto assume il ruolo dei civettuoli e diverti vicini di casa incuriositi dalla baraonda, mentre in scena alcuni pupazzi fanno il verso ai protagonisti dell’intreccio. La direzione di Michele Spotti ha un piglio brillante e deciso già dalle prime note introduttive dell’ouverture; non traspaiono incertezze e anzi rivela una metodica cura nella lettura e nell’estrapolazione di tutte le nuance timbriche che la partitura donizettiana mette a disposizione. Al termine lunghissimi applausi per tutti.

Giuseppe Migliore
(17 febbraio 2023)

La locandina

Direttore Michele Spotti
Regia Damiano Michieletto
ripresa da  Daniel Dooner
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Luci Alessandro Carletti
Video Roland Horvath/Roca Film
Assistente del direttore Danila Grassi
Scenografo collaboratore Piero De Francesco
Assistente ai costumi Camilla Masellis
Assistente alle luci Ludovico Gobbi
Personaggi e interpreti:
Don Pasquale Michele Pertusi
Ernesto René Barbera
Norina Giuliana Gianfaldoni
Dottor Malatesta Markus Werba
Notaio Enrico Cossutta
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Maestro del Coro Salvatore Punturo

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