Palermo: la Traviata secondo Pontiggia convince così così
Sold-out al Teatro Massimo di Palermo per la prima della Traviata di Giuseppe Verdi inserita nel cartellone 2022/2023. L’opera verdiana, di indiscutibile bellezza e valore, sta diventando quasi un appuntamento fisso per il pubblico palermitano. Quarta Traviata nelle ultime sei stagioni di cui tre firmate da Mario Pontiggia (2017, 2019, 2023). Il regista argentino ha certamente un legame speciale con Palermo, potendo contare in meno di due anni ben tre allestimenti di opere diverse (Bohème a dicembre 2021; Tosca a maggio 2022; Traviata 2023). Complice il ridotto budget e l’irresistibile richiamo nostalgico-sentimentale che esercita su buona parte del pubblico il dramma di Violetta Valery, ecco servita l’ennesima Traviata.
Quello di Mario Pontiggia è un allestimento nato nel 2017 proprio per Palermo, e in questa terza edizione conferma (ma diremmo quasi esaspera, dato che non è più una novità), una concezione registica asfittica, forse troppo concentrata sugli effetti delle belle scenografie di Francesco Zito e Antonella Conte piuttosto che su un reale lavoro di analisi e svisceramento delle dinamiche emotive dei personaggi.
La messa in scena, che certamente non si distingue per originalità restando in linea con la tradizione, è una trasposizione fin de siècle e proietta il dramma in un’ambientazione elegante e soffusa da Belle Époque. Di grande impatto è il bellissimo fondale trompe-l’oeil che si svela ad apertura del sipario: un lussureggiante giardino tipico delle ville liberty, con una vetrata in ferro battuto decorata con volute raffinate che rievocano i fasti dell’epoca dei Florio. L’effetto è notevole, ma dura quel tanto che basta e poi si resta in perenne attesa che possa accadere qualcosa, che possa svilupparsi qualche idea per gli interpreti in scena che invece sono lasciati ai loro consueti movimenti da manuale, con petti prominenti, spostamenti incrociati e gli immancabili ammiccamenti. Man mano che il dramma evolve l’impianto scenico però implode, passando da un boudoir, ad una scarna sala da ballo di Flora, per finire all’estremo minimalismo dell’ultimo atto con un letto desolato al centro della scena. Il coro si muove bene anche se lascia perplessi qualche scelta di postura, come durante la quarta scena del primo atto «Si ridesta in ciel l’aurora», in cui tutti assumono una posizione sciatalgica agitando le braccia alla maniera dei marshallers. Da rivedere (in fase di prove per le prossime recite) qualche svarione: tra i più eclatanti l’entrata fuori tempo «È qui un signore…» di Giuseppe, che interrompe goffamente il flusso del recitativo di Violetta che legge l’invito di Flora al ballo.
Una Traviata che dunque non brilla per la regia ma che non riesce a sorprendere neppure con le interpretazioni. La Violetta di Nino Machaidze delude: nonostante si muova bene e in parte convinca la recitazione, bisogna ammettere che la pessima dizione ha reso a tratti incomprensibile il testo; il soprano georgiano adotta uno stile di canto a tratti esasperatamente singhiozzato, alternando bruschi salti dinamici tra il piano e il forte, senza dar risalto ad altre gradazioni d’intensità. Non ha particolarmente colpito la sua performance e il pubblico non le ha tributato particolari entusiasmi, anzi abbastanza tiepida s’è rivelata la reazione al termine dell’aria «Teneste la promessa – Addio del passato» che generalmente è un punto del dramma su cui lo spettatore ripone grandi aspettative. Saimir Pirgu nel ruolo di Alfredo dà quello che ci si aspetta da un buon tenore: ottima articolazione e chiarezza e porta a casa il compito senza infamia e senza lode. Una certezza, in senso positivo, è il Giorgio Germont di Roberto Frontali, non per niente considerato uno dei più importanti baritoni della sua generazione, che unisce alle indiscutibili qualità canore anche uno stile interpretativo convincente. Il conflitto tra genitore e figlio è uno di quegli elementi sottintesi al dramma e che, nel triangolo di relazioni emotive tra Violetta, Alfredo e Giorgio Germont, soltanto Frontali è riuscito a trasmettere incisivamente. Da sottolineare anche la buona prestazione di Blagoj Nacoski nel ruolo di Gastone. Tra i rari momenti apprezzabili della serata, sia sul piano musicale che interpretativo, ci sono senza dubbio il duetto del primo atto «Un dì felice eterea» e il finale dell’opera, ben riuscito… ma questo è in massima parte merito di Giuseppe Verdi. La direzione di Carlo Goldstein tutto sommato è corretta e prevedibile e probabilmente è complice di quest’anonima performance che alla fine ha riscosso quel garbato applauso che accontenta tutti.
A questo punto crediamo sia necessaria una profonda riflessione; perché se è vero che di Traviata moderne ce ne sono state parecchie (Luca Baracchini, Andrea Cigni, Andrea Bernard), e alcune hanno fatto storcere il naso (vedi Baracchini), è pur vero che di Traviata come queste ne abbiamo viste finanche troppe; ben venga la tradizione, ma se proprio dev’essere, che almeno lasci il segno.
Giuseppe Migliore
(17 gennaio 2023)
La locandina
Direttore | Carlo Goldstein |
Regia | Mario Pontiggia |
Scene | Francesco Zito e Antonella Conte |
Costumi | Francesco Zito |
Luci | Bruno Ciulli |
Coreografia | Gaetano La Mantia |
Assistente alla regia | Angelica Dettori |
Personaggi e interpreti: | |
Violetta | Nino Machaidze |
Giorgio Germont | Roberto Frontali |
Alfredo | Saimir Pirgu |
Flora | Tonia Langella |
Gastone | Blagoj Nacoski |
Il Barone Douphol | Italo Proferisce |
Il marchese d’Obigny | Luciano Roberti |
Il dottor Grenvil | Andrea Comelli |
Annina | Francesca Manzo |
Giuseppe | Alfio Vacanti |
Un domestico di Flora / Un commissionario | Antonio Barbagallo |
Zingarella | Francesca Davoli |
Matador | Michele Morelli |
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo | |
Maestro del Coro | Salvatore Punturo |
Direttore del Corpo di ballo | Jean-Sébastien Colau |
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