Parigi: l’anti modernista Rabaud nella sua Mârouf
Figlio di un violoncellista e di una cantante, il parigino Henri Rabaud (1873-1949) fu a sua volta professore di violoncello al Conservatorio di Parigi ma, soprattutto compositore e direttore d’orchestra che ebbe in vita una certa reputazione per essere immediatamente dimenticato. Allievo di Jules Massenet al Conservatorio di Parigi, nel 1908 fu nominato direttore dell’orchestra dell’Opéra all’Opéra-Comique e dal 1914 al 1918 diresse l’Opéra. Fu poi nominato direttore musicale della Boston Symphony Orchestra ma vi rimase per una stagione soltanto.
Nel 1922, in seguito alle dimissioni di Gabriel Fauré, Rabaud divenne il suo successore alla guida del Conservatorio di Parigi, dove rimase fino al 1941. La sua cantata Daphné vinse il Prix de Rome nel 1894.
Il suo lavoro più noto è però l’opéra-comique in cinque atti Mârouf, savetier du Caire (Mârouf, il ciabattino del Cairo) su libretto di Lucien Népoty tenuta a battesimo alla Salle Favart nel 1914. Musicista conservatore, Rabaud fu conosciuto per il suo motto: “il modernismo è il nemico” e Mârouf fu definito, sbrigativamente, un miscuglio di wagnerismo e di esotismo.
Riascoltarla oggi fa una certa impressione per la vastità dell’organico orchestrale, il numero dei personaggi coinvolti nella vicenda oltre a un coro e a un corpo di ballo, e la complessità dell’azione legata alle tre ore di musica. Come dire l’anti Debussy e l’anti Ravel per eccellenza, l’anti modernista Rabaud cita nella sua musica opulenta, oltre a Wagner, i colleghi “nemici” per tuffare il tutto nell’esotismo orientaleggiante allora in voga.
A ripresentare Mârouf è l’Opéra Comique che, dopo averne affidato un nuovo allestimento a Mark Minkowski e Jérôme Deschamps nel 2013, la propone a fine aprile in coproduzione con l’Opéra National di Bordeaux dove Minkowski, che ne è direttore principale, l’ha portata al successo. La ripresa parigina è a sua volta un successo di pubblico e le sue quattro rappresentazioni celebrano la felice ricorrenza dell’anno di riapertura della Salle Favart dopo imponenti lavori di ristrutturazione.
Fin qui le note liete corroborate dal fatto che lo spettacolo, firmato da Deschamps per la regia con la collaborazione di Olivia Ferciani per le scene, Vanessa Sannino per i costumi, Marie-Christine Soma per le luci e Franck Chartier per le coreografie, è di buona qualità e suggerisce un universo da mille e una notte rivisitato con gli occhi di un teatrante degli anni Duemila, bene informato su nuova drammaturgia e altre novità.
Il personaggio centrale, il ciabattino del titolo, è poi affidato a un artista eccellente, Jean-Sébastian Bou il cui timbro baritonale è accattivante, le capacità attoriali di gran pregio, la restituzione della parola “cantata” impeccabile. Un Mârouf che domina non solo la tessitura acutissima, quasi tenorile, che gli è affidata, ma l’intera compagnia di canto impegnata a raccontare la meravigliosa storia del ciabattino vittima di una moglie bisbetica e bugiarda (la brava Aurélia Legay) e condannato dal Kadi del Cairo a essere bastonato. La fuga verso il Mediterraneo lo porta sulle rive di Khaïtan, dove lo accoglie Ali (Lionel Peintre) suo amico d’infanzia che lo presenta come un ricco mercante in attesa della sua carovana all’avido Sultano (Jean Teitgen, un basso dalla vocalità paterna e imponente).
Nonostante i dubbi del Visir (impeccabile Franck Léguerinel), il Sultano destina in sposa a Mârouf l’adorata figlia (il soprano Vannina Santoni, dal timbro dolce e melodioso). Questa si rivela non solo bellissima ma docile e mansueta. Messa a parte dell’impostura, decide di fuggire con il neo-marito. Come in una bella favola, l’epilogo è a lieto fine e coinvolge nel suo svolgimento scenico anche Valerio Contaldo, Luc-Bertin-Hugault, Yu Shao, Jérémy Duffau, Sydney Fierro, Simon Solas e David Ortega oltre al gruppo di danzatori Peeping Tom e al Coro stabile dell’Opéra di Bordeaux preparato da Salvatore Caputo.
La musica, però, a parte qualche oasi melodica che coinvolge i due innamorati, è semplicemente gradevole nel suo esotismo fin troppo insistito e messo giustamente in rilevo dalla vigorosa lettura di Minkovski alla testa dell’Orchestre National Bordeaux Aquitaine. La Francia ricorda i suoi musicisti dimenticati. Sarebbe bello che lo stesso si facesse in Italia con autori di ben più alto profilo di Henri Rabaud.
Rino Alessi
(29 aprile 2018)
La locandina
Direttore | Marc Minkowski |
Regia | Jérôme Deschamps |
Scene | Olivia Fercioni |
Costumi | Vanessa Sannino |
Luci | Marie-Christine Soma |
Coreografie | Peeping Tom (Franck Chartier) |
Assistenti di palco | Damien Levèfre, Sophie Bricaire |
Personaggi e interpreti: | |
Marouf | Jean-Sébastien Bou |
Princesse Saamcheddine | Vannina Santoni |
Le sultan | Jean Teitgen |
Le vizir | Franck Leguérinel |
Ali | Lionel Peintre |
Fattoumah | Aurélia Legay |
Le fellah, premier marchand | Valerio Contaldo |
Ahmad Luc | Bertin-Hugault |
Le chef des marins, un ânier, premier muezzin, premier homme de police | Yu Chao |
Coro dell’Opera Nazionale di Bordeaux | |
Orchestra Nazionale Bordeaux Aquitaine |
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