Parigi: ultima frontiera, la Bohème interstellare di Guth
Mentre Roma festeggia il compleanno di Héctor Berlioz e il Teatro dell’Opera ne rappresenta, non senza qualche polemica sul nuovo allestimento, La Damnation de Faust, Parigi dedica il suo dicembre lirico all’Opéra Bastille a La Bohème di Giacomo Puccini e dopo le dieci riprese della “vecchia” produzione di Jonathan Miller ne mette in cantiere una nuova di zecca. Talmente nuova da essere ambientata nello spazio: del resto, spiega il regista Claus Guth nelle note raccolte da Yvonne Gebauer sul programma di sala, perché non osservare il capolavoro pucciniano da una distanza paragonabile a quella dei suoi personaggi che, come nel romanzo di Murger cui s’ispira liberamente il libretto di Illica e Giacosa, si rivedono, ormai anziani, nel ricordo della loro giovinezza?
Ed eccoci su un’astronave. Il poeta Rodolfo (Atalla Ayan) delira non per la fame e il freddo, ma per la mancanza di ossigeno; ha allucinazioni e visioni e, tutto di un tratto, ricorda l’incontro con Mimì (Nicole Car), che è morta da qualche tempo, ma ricompare nel suo semplice vestitino rosso e scalza a chiedere d’accendere la candela che si è spenta mentre saliva nella sua cameretta con vista sui tetti di Parigi. La citazione di Murger si mescola a un tributo ai film di fantascienza e, in particolar modo a Solaris diretto nel 1972 da Andrej Tarkovskij e tratto dall’omonimo romanzo dell’autore polacco Stanisław Lem. Presentato in concorso al venticinquesimo Festival di Cannes, vinse in quell’occasione il Gran Premio Speciale della Giuria. Insomma, un capolavoro indiscusso che nulla ha in comune con Puccini e con la sua opera forse più amata che, lo ricordiamo, fu tenuto felicemente a battesimo nel 1896.
Prosegue Guth: ascoltare La Bohème da questa prospettiva fa sorgere immagini nuove, differenti, che ci trascinano nell’infinità dell’universo. Traduci universo con spazio ed eccoci in viaggio con i quattro artisti bohémiens non attraverso Parigi, ma nel cosmo. A bordo della navicella ecco apparire il pittore Marcello (Artur Rucinski), il musicista Schaunard (Alessio Arduini) e il filosofo Colline (Roberto Tagliavini) e raggiungere il poeta lacerato dai ricordi. Rievocano l’incontro con il padrone di casa Benoît che, per l’occasione, non è che un fantoccio in mano ai nostri eroi e le cui battute sono dette ora dall’uno ora dall’altro dei quattro artisti burloni.
Dopo il primo incontro con Mimì e il bacio sotto la luna nella soffitta parigina, Rodolfo si sdoppia: il poeta, muto, accompagna la gaia fioraia chez Momus mentre il corteo funebre della giovane morta di tisi si svolge tra i tavolini del caffè e Musetta (Aida Garifullina) intona l’inno alla propria bellezza. L’astronauta canta e osserva la scena dall’esterno mentre Parpignol (Antonel Boldan) è un Pierrot lunare circondato da una folla di acrobati e, anche lui, si sdoppia e Musetta ci riappare, più bella che mai, all’interno di una camera stagna.
Nella seconda parte i nostri eroi sono arrivati sulla luna e indossano tutti lo scafandro. La bisboccia dell’ultimo quadro non c’è ma i quattro giovanotti non esitano a rovesciarsi addosso schiuma di champagne sotto forma di lustrini multicolori che escono copiosi dalle bottiglie. Nel finale Mimì s’innalza nei cieli più che bigi lunari, e – come se non bastasse – muore anche Rodolfo. Il tutto fra sonori dissensi del pubblico che affollava la sala nella serata che l’Opéra National diffondeva in diretta streaming e nei cinema.
Fortunatamente in buca, a ricordarci che la serata era dedicata a Puccini, c’era l’Orchestra stabile dell’Opéra National di Parigi agli ordini di Gustavo Dudamel che, per l’occasione, faceva il suo debutto parigino. Debutto insidioso che il giovane musicista venezuelano ha superato con onore dimostrando talento, forte musicalità, belle intenzioni, ma anche una certa insicurezza nel garantire un corretto equilibrio fra orchestra e palcoscenico nei momenti di maggiore concitazione.
La compagnia era discreta nei due giovani protagonisti, il brasiliano Ayan e l’australiana Car in sostituzione di Sonya Yoncheva; lui di bel timbro tenorile e bella espressività, lei altrettanto gradevole nel timbro di soprano lirico puro ma meno felice dal punto di vista interpretativo. Entrambi si sono dimostrati in difficoltà nell’affrontare i rispettivi Do acuti.
Gli altri bohémiens si sono tratti d’impaccio con onore con una nota di merito per la “Vecchia zimarra” di Roberto Tagliavini. Completavano il cast l’Alcindoro di Marc Labonnette e il Coro stabile dell’Opéra cui si aggiungevano i ragazzi della Maïtrise des Hauts-de-Seine tutti preparati magnificamente da José Luis Basso. Dei contrasti in sala s’è detto.
Non dimentichiamo però che le scene erano firmate da Etienne Pluss, i costumi da Eva Dessecker, il disegno luci da Fabrice Kebour, i video da Arian Andiel, la coreografia da Teresa Rotemberg, la drammaturgia dalla già citata Yvonne Gebauer. Altro di lor non vi saprei narrare…
(12 dicembre 2017)
La locandina
Direttore | Gustavo Dudamel |
Regista | Claus Guth |
Mimì | Nicole Car |
Musetta | Aida Garifullina |
Rodolfo | Atalla Ayan |
Marcello | Artur Ruciński |
Schaunard | Alessio Arduini |
Colline | Roberto Tagliavini |
Alcindoro | Marc Labonnette |
Parpignol | Antonel Boldan |
Sergente dei doganari | Florent Mbia |
Un doganiere | Jian-Hong Zhao |
Un venditore ambulante | Fernando Velasquez |
Scenografia | Étienne Pluss |
Costumi | Eva Dessecker |
Luci | Fabrice Kebour |
Video | Arian Andiel |
Choreografia | Teresa Rotemberg |
Drammaturgia | Yvonne Gebauer |
Maestro del coro | José Luis Basso |
Orchestra e Coro dell’Opéra national de Paris | |
Maîtrise des Hauts-de-Seine / Choeur d’enfants de l’Opéra national de Paris |
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