Parma: lo sbadiglio non si addice ai Due Foscari
In Verdi il dramma personale è inscindibile da quello politico, con una netta prevalenza del primo sul secondo: i Due Foscari non fanno eccezione.
Le vicende di Francesco Foscari – il cui dogado fu il più lungo nella storia della Serenissima – e del figlio Jacopo, messe in versi da Lord Byron nel 1821 sono soggetto ideale per la poetica verdiana; il libretto del muranese Piave esalta il rapporto padre-figlio in uno scenario di lotte di potere che vedrà i Foscari soccombere al potere del Consiglio dei Dieci.
La realtà storica narra del Doge deposto e del figlio morto assassinato nel carcere di Candia ove era stato deportato in esilio; Verdi, insofferente alla politica, incentra il dramma sul conflitto morale di Francesco, doge e padre, che oscilla tra il rispetto delle leggi – Jacopo è accusato di tradimento – e l’affetto di genitore.
Nasce così un’opera, tra le più belle di quelle degli “anni di galera”, ricca di contrasti, forse in qualche maniera statica nell’azione, ma densa di quel pathos che si ritroverà qualche anno più tardi, allorquando un altro doge e un’altra Repubblica Marinara saranno protagonisti di uno dei capisaldi non solo del catalogo verdiano ma del teatro in musica dell’Ottocento.
Opera statica, si diceva, i Due Foscari, che Leo Muscato rende ancor più statica nella produzione che inaugura il Festival Verdi 2019.
La scena di Andrea Belli – una pedana circolare inclinata al proscenio alla quale fa da cornice un’esedra sulla cui spiccano ritratti dogali e che, alzandosi e abbassandosi, definisce spazi diversi – è gradevolmente funzionale e potrebbe essere sfruttata con maggiore varietà d’intenti.
Muscato sposta la vicenda – complici i bei Costumi di Silvia Aymonino che veste gli uomini in redingote nera, come tanti Verdi e Mazzini, riservando alle donne i morbidi abiti in voga intorno agli anni Trenta del Diciannovesimo secolo – all’epoca di composizione dell’opera, in una Venezia occupata dagli Austriaci; l’operazione è condivisibile, ma la si sarebbe dovuta condire con una drammaturgia convincente.
Muscato sceglie invece la via dell’oratorialità, riducendo al minimo il gesto scenico e di fatto condannando il tutto ad una dimensione di immota rarefazione da cui deriva uno spettacolo corretto ma tutt’altro che coinvolgente.
Alessandro Verazzi realizza un disegno di luci sapiente e capace di creare gli unici momenti di movimento sulla scena.
Demenziale l’apparizione dei ballerini, in veste di maschere della Commedia dell’Arte, impegnati durante la Barcarola in una coreografia leoncavalliana.
Non va benissimo neppure sul versante musicale.
Paolo Arrivabeni si getta in una lettura concitata e patriottarda, fatta di tempi fin troppo serrati e strette esagerate; le dinamiche sembrano più volte all’effetto che non alla sostanza, così come le scelte agogiche sembrano mirare più a stupire che non a convincere. Assenti l’afflato drammatico, il palpito interiore, l’intimità nel canto di conversazione.
Il Francesco Foscari disegnato da Vladimir Stoyanov si distingue per morbidezza di timbro e proprietà di fraseggio, eppure in qualche momento appare più giovanile di quel che dovrebbe facendo mancare al personaggio il peso degli anni che lo affligge e lo rende impotente dinanzi agli eventi.
Stefan Pop incarna uno Jacopo Foscari fiero di mostrare i propri sentimenti, che si palesano in una linea di canto sicura e di bella uniformità a cui si accompagna una costante ricerca di colori e di accenti.
Di Lucrezia Contarini Maria Katzarava ha quasi tutte le note, qualche agilità, nulla del carattere del personaggio; l’approccio è superficiale, la difficoltà in una tessitura ardua risulta evidente, la recitazione è in più di un momento approssimativa.
Giacomo Prestia è Loredano lodevole nelle intenzioni, luciferino quanto basta ma vocalmente non sempre a fuoco.
Bene il Barbarigo squillante di Francesco Marsiglia, come ottima la prova del giovane Vasyl Solodkyy, voce interessante e bella presenza, nei panni del Fante.
Bravi anche Erica Wenmeng Gu, corretta Pisana, e Gianni De Angelis buon Servo.
Martino Faggiani prepara il Coro con grande perizia portandolo ad una prova maiuscola.
Pubblico più che soddisfatto, molti applausi a scena aperta e successo finale.
Alessandro Cammarano
(26 settembre 2019)
La locandina
Direttore | Paolo Arrivabeni |
Regia | Leo Muscato |
Scene | Andrea Belli |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Alessandro Verazzi |
Personaggi e interpreti: | |
Francesco Foscari | Vladimir Stoyanov |
Jacopo Foscari | Stefan Pop |
Lucrezia Contarini | Maria Katzarava |
Jacopo Loredano | Giacomo Prestia |
Barbarigo | Francesco Marsiglia |
Pisana | Erica Wenmeng Gu |
Fante | Vasyl Solodkyy |
Servo | Gianni De Angelis |
Filarmonica Arturo Toscanini | |
Orchestra Giovanile della Via Emilia | |
Coro del Teatro Regio di Parma | |
Maestro del coro | Martino Faggiani |
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