Nello Stiffelio secondo Vick il teatro siamo noi
Ci sono degli spettacoli che bisogna assolutamente vedere, pena il pentirsene per il resto della vita e lo Stiffelio secondo Graham Vick è fra questi.
È difficile resistere al cedere alla tentazione di superlativi, perché in questo caso ci starebbero tutti e forse ancora non renderebbero con sufficiente obbiettività la valanga di emozioni che l’allestimento di una delle “figlie minori” (secondo molti ma non per noi) di Verdi ha suscitato e continuerà a suscitare nel pubblico e che ha avuto la fortuna di assistere ad almeno una delle recite.
Nella recensione pubblicata sulle nostre pagine nei giorni scorsi (la si trova QUI) la grandezza del tutto era pienamente percepibile, così come una serie di articoli di colleghi mai tanto concordi riguardo ad uno spettacolo; non potevamo dunque perdere lo Stiffelio “partecipato”, cui ci siamo avvicinati con curiosità crescente.
Non si può prescindere dall’emozione (in realtà non lo si dovrebbe fare mai) nel raccontare cosa è avvenuto nello spazio del Teatro Farnese, ampio e raccolto, trasformato nel palcoscenico della vita, che mai è così reale come a teatro.
Va in scena l’Ipocrisia, il bigottismo mascherato da carità, la “tutela” della religione sui fedeli ignari e pecoroni, e i protagonisti siamo noi, noi siamo il teatro, il pubblico rappresenta se stesso aggirandosi fra le pedane mobili sulle quali si racconta una storia di tradimento e “perdono”.
Il pastore Stiffelio assolve la moglie adultera solo quando ha la certezza della morte del giovane rivale, il tutto nell’ottica di armare la mano di qualcun altro per non sporcare la propria.
Il Coro si muove fra il pubblico, indistinguibile e un folto gruppo di splendidi mimi guidano l’azione drammatica con gli spettatori, che in realtà non sono più tali, e partecipano liberi di passeggiare e fotografare.
Ipocrisia, dicevamo, quella delle campagne “no gender” e in difesa della famiglia “tradizionale”, delle Sentinelle in piedi e di bulli omofobi che picchiano, aiutati da pretini zelanti e parecchio ambigui, due ragazzi gay. La violenza vera è proprio quella che comincia in famiglia, con Lina stretta fra un marito padrone ed un padre ossessionato dall’”onore”.
Emozione pura, crescente, con i cantanti vicini tanto da poterli toccare.
Genio puro quello di Vick che, come tutti i grandi, non torce un capello al dettato verdiano e nel contempo lo esalta in una dimensione contemporanea e convincentissima.
Questo Stiffelio è di tutti, costringe a schierarsi e porsi domande, il tutto abbracciando fisicamente i protagonisti, cantando col Coro o semplicemente passeggiando alla ricerca di un punto di vista personale.
Tutto si fonde in un percorso che, da quanto abbiamo potuto vedere, non ha lasciato nessuno indifferente.
Le scene e i costumi di Mario Tinti, le luci di Giuseppe Di Iorio i movimenti coreografici di Ron Howell sono da incorniciare.
Impeccabile il cast, partecipe come non mai, con lo Stiffelio di Luciano Ganci sugli scudi e con lui Maria Katzarava, Lina perfetta.
Ottime le prove di tutti gli altri: Francesco Landolfi (Stankar), Giovanni Sala (Raffaele), Emanuele Cordaro (Jorg), Blagoj Nacoski (Federico) e Cecilia Bernini (Dorotea).
Guillermo Garcia Calvo, alla testa dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, imprime il giusto ritmo drammatico ed al contempo consente un ampio respiro narrativo; molto bene fa anche il Coro preparato da Andrea Faidutti.
Successo, non poteva essere altrimenti, e applausi interminabili; questa volta il Teatro ha vinto.
Alessandro Cammarano
(21 ottobre 2017)
La locandina
Stiffelio | Luciano Ganci |
Lina | Maria Katzarava |
Stankar | Francesco Landolfi |
Raffaele | Giovanni Sala |
Jorg | Emanuele Cordaro |
Federico di Frengel | Blagoj Nacoski |
Dorotea | Cecilia Bernini |
Maestro concertatore e direttore | Guillermo Garcia Calvo |
Regia | Graham Vick |
Scene, Costumi | Mauro Tinti |
Luci | Giuseppe di Iorio |
Movimenti coreografici | Ronald Howell |
Maestro del coro | Andrea Faidutti |
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA |
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