Piacenza: una Vestale più sforzo che sfarzo

Nel celebrare i duecentocinquanta anni della nascita di Gaspare Spontini, la Fondazione Pergolesi-Spontini in coproduzione col Teatro Municipale di Piacenza, il Teatro Verdi di Pisa e il Teatro Alighieri di Ravenna, riporta sulle scene La Vestale, Tragédie-lyrique in tre atti su libretto di Victor-Joseph-Étienne De Jouy.

La Vestale non è l’unico capolavoro spontiniano, molti altri hanno reso grande questo autore, tuttavia si ricade troppo spesso nell’eseguire lo stesso titolo. Sarebbe interessante ampliare la conoscenza del repertorio, non solo per meglio comprendere l’influenza estetica di Spontini giunta fino a Wagner, ma anche per ricostruire gli antichi fasti di un’epoca gloriosa. Di certo ci troviamo di fronte a uno stile complesso che non ricade in una retorica convenzionale di comodo ma che guarda a una sperimentazione tesa a far emergere un teatro estremamente dinamico e formalmente composito.

Tutto parte, ancora una volta, dalla partitura. L’invenzione di Gaspare Spontini è inarrestabile a partire dall’Ouverture e dalle danze di squisita fattura, in cui il dettaglio architettonico pretende un sapiente equilibrio nella gestione dell’orchestrazione dove il gioco timbrico è la chiave espressiva di tutto il dramma.

Purtroppo parte di questo capolavoro è rimasto nelle intenzioni a partire dall’Orchestra La Corelli che ha mostrato non poche imprecisioni nel corso dell’esecuzione: archi sfibrati, scollamenti fra le parti, fiati non sempre intonati, ottoni dall’emissione periclitante.

Complice la direzione di Alessandro Benigni il cui gesto pareva impegnato nell’affannoso tentativo di mandare tutto insieme a scapito della vera ragion d’essere di un direttore: fare musica.

Sul versante vocale indubbiamente Carmela Remigio emerge per temperamento, a volte anche fin troppo carico di intenzioni drammatiche, soprattutto laddove l’accento sovrasta la linea di canto. Tuttavia la complessità del ruolo e della scrittura richiedono una personalità che la Remigio ha saputo imprimere sottolineando soprattutto l’elemento tragico di Julia.

Ad essa si affianca il Licinius di Bruno Taddia. Fuoriclasse del palcoscenico, fraseggiatore astuto, Taddia dà vita al generale romano tramite un intelligentissimo lavoro sul testo, sorretto da una vocalità duttile, corposa e sempre espressiva.

Ben si inserisce anche la Grande Vestale di Daniela Pini, dotata di una vocalità tornita e ben gestita anche nei recitativi.

Joseph Dahdah è un Cinna a tratti un po’ timido ma preciso e attento all’intonazione.

Bene Adriano Gramigni nel ruolo de Le Souverain Pontife così come Massimo Pagano nelle duplici vesti de Le chef des Aruspices e del Consul.

Di notevole impatto la parte corale, i cui interventi sono di strepitosa bellezza e qui ben gestiti da una compagine non numerosa ma messa ben a fuoco dal maestro Corrado Casati.

La regia è stata affidata a Gianluca Falaschi che ha firmato anche i costumi (splendidi) e le scene eleganti seppur un po’ statiche per un’opera dalla durata poderosa.

Falaschi omaggia la Callas, Vestale leggendaria, la cui voce si ode aleggiare in teatro prima che attacchi l’Ouverture. Il “fantasma” della Callas viene rievocato in alcuni video in cui Carmela Remigio si aggira in teatro indossando un costume che ricorda quello della celeberrima edizione di Luchino Visconti.

In questo gioco di visioni e veli che celano ambientazioni affidate all’immaginazione del pubblico, si è svolta tutta l’azione in cui i personaggi si son mossi con pose plastiche, talvolta esasperate ed esasperanti. Tuttavia non si può omettere una certa eleganza che ha contraddistinto la parte visiva.

Parecchie le perplessità sulle coreografie di Luca Silvestrini e sul livello tecnico del corpo di ballo. Pagine così belle meriterebbero di più.

Alcuni dissensi per il corpo di ballo e la concertazione, applausi più convinti per Carmela Remigio e Bruno Taddia.

Indubbiamente questo è un repertorio complesso e straordinariamente bello che meriterebbe di tornare nei teatri, tuttavia la presente produzione ha dimostrato che ci troviamo di fronte a un capolavoro che richiederebbe una fastosità di mezzi che oggi è difficile disporne.

In mancanza di sfarzo si apprezza lo sforzo.

Gian Francesco Amoroso
(22 novembre 2024)

La locandina

Direttore Alessandro Benigni
Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
Coreografo Luca Silvestrini
Light designer Emanuele Agliati
Personaggi e interpreti:
Julia Carmela Remigio
Licinius Bruno Taddia
Cinna Joseph Dahdah
La Grande Vestale Daniela Pini
Le Souverain Pontife Adriano Gramigni
Le chef des Aruspices | Un consul Massimo Pagano
Orchestra La Corelli
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati

0 0 voti
Vota l'articolo
Iscriviti
Notificami

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

0 Commenti
più vecchi
più nuovi più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti