Pinerolo: Musica in Prossimità 2023
In fondo, pensandoci bene, la questione centrale è quella terminologica. Alla lettera l’etichetta musica contemporanea dovrebbe definire tutta la musica che si fa oggi. Ma questa etichetta, che tanto affascina ma anche allontana, convenzionalmente definisce, delimita la musica innovativa del Novecento e oltre di derivazione colta (che termine spocchioso). Pensavo questo al Teatro Sociale di Pinerolo attorniato da centinaia di giovani (ma anche no) scalmanati e felici che saltavano tra le sedie con le braccia in alto come travolti da un raptus. È l’ultimo appuntamento di Musica in Prossimità 2023. Sul palco, ma dopo anche in sala, si esibisce Zebra Katz, rapper multidisciplinare, performer giamaicano-americano. È lui che ammalia, con il corpo, il gesto, la voce, la parola, l’ambiguità androgina, drum’n’bass ossessivo, elettronica, fumo e luci stroboscopiche.
Non possiedo molti appigli di analisi critica da mettere in gioco ma sento comunque che quella, perché no, è la chiusura giusta per una rassegna che indaga il contemporaneo, senza allontanare ma riunendo, soprattutto giovani, in una specie di rito pagano. Musica in Prossimità possiede questa forza, travalica la questione terminologica, lo fa mettendo in gioco, mischiando i suoni di oggi con rigore, rischi e soprattutto visioni. Tre giorni, in luoghi diversi della città, saturi, impegnativi. Oltre ai concerti, laboratori e incontri tematici, spuntini condivisi. Tirare le coordinate non è facile. Riavvolgendo il nastro potremmo avvicinare provocatoriamente il finale, l’energia, i volumi esagerati di Zebra Katz, con l’apertura, due giorni prima, del Quartetto Maurice (lì abitano le teste pensanti della rassegna) dove i quasi silenzi la fanno da padrone.
In programma Vertical lights on lost bodies (2023) di Simone Corti e Flowers#3 (dripping) (2017/18) di Francesca Verunelli. Corti apre con uno scenario teso tracciato da un lungo e denso accordo strusciato del violoncello. Quando pare sfumare le altre corde lo affiancano, punteggiano qua e là come ombre leggere con accenti vivaci, lo scarto temporale degli interventi dei singoli strumenti disegna una trama vitale e inquieta. Produce un ritmo circolare e astratto, dove le ripetizioni sommano tensioni, schegge che vagano diluite in una drammatizzazione sempre più marcata. Il rincorrersi, l’interdipendenza di tutti gli elementi in gioco, delle voci strumentali definiscono una polifonia che non tradisce sottotraccia il segno di una sofisticata ricerca compositiva. Flowers#3 prova a spingere più in là l’estetica, gli equilibri sonori e creativi del quartetto d’archi. Se la scordatura delle corde non è una novità, la Verunelli con questa scelta linguistica ci costringe, senza soluzione di continuità, nei labirinti di una radicalità estrema, dissonanze, distorsioni, pianissimi. Trama dove, grazie ad una pregevole regia, scoviamo una luce, un sapore intimo che non ti aspetti in un contesto così, una sinfonia di armonici dove trasfigura l’aspetto tecnico. Luce che nel finale trova, nell’archetto del violoncello che scorre ostinato sul capotasto, sempre lì, la strada verso un silenzio non proprio pacificatore.
Il pianoforte preparato di cageana memoria esordisce negli anni Quaranta del Secolo scorso. Ma da quel momento la fantasia creativa di compositori ed esecutori non si è posta limiti e l’evoluzione delle tecnologie ha aperto orizzonti nuovi. Una esemplificazione di questa estrema sintesi ce l’ha offerta la performance della pianista Anna D’Errico nella fascinosa location della Chiesa di San Giuseppe. Carta, acciaio, gommini, viti fanno parte di un passato glorioso e pionieristico, oggi ci sono i magneti cilindrici, i trasduttori di tracce preregistrate, i risonatori, i computer esterni per la regia del suono in tempo reale. Il pianoforte è completamento aperto, nudo, dentro pare proprio un laboratorio, la struttura funziona da cassa di amplificazione. La D’Errico lo domina, un po’ lo coccola, con l’autorevolezza e il gesto che la contraddistinguono. Il repertorio, composizioni di Michelle Agnes Magalhaes, Filippo Perocco e Marco Momi, sfruttano le miriadi di possibilità che lo strumento preparato, come uno scrigno di sorprese, offre. Le Nuvolette di Perocco ricordano giocattoli, carillon, ma lentamente, inesorabilmente qualcosa si decompone, si passa da leggere memorie infantili a scure ombre incombenti attraverso colpi secchi, dissonanze. I frammenti deformati di Momi in Almost close rimbalzano, vagano, tornano, si scontrano con i suoni preregistrati disegnando una drammaturgia che sa di magia. Con Mobile la Magalhaes gioca soprattutto sulle corde usando le sorprendenti vibrazioni dei magneti che funzionano come un’improbabile orchestra in una favola di Lewis Carroll mai scritta.
Nello stesso spazio il giorno dopo ci sono due pianoforti, soprattutto Lab51 cioè il soprano colombiano Johanna Vargas e la pianista spagnola Magdalena Vargas. Due artiste scatenate, imprevedibili, che mischiano provocatoriamente un rigoroso repertorio, che va da Aperghis, attraverso Reimann, Rihm, Walshe, fino al Ligeti di Mysteries of the Macabre. Tutti materiali vissuti, non solo letti con freschezza e disincanto sul piano strumentale e vocale, ma usati come pretesto per la surreale costruzione di una specie di teatro dell’assurdo dove le due, nello spazio sacro, usano corpo e ironie, apparendo, scomparendo, giocando, urlando, usando il telefonino come telecamera. Una formula interessante, piacevole per infrangere la rigida ritualità del concerto, incrinare il tradizionale rapporto con il pubblico, che forse merita qualche ulteriore approfondimento nella costruzione.
Chiuderei questa riflessione sulla tre giorni di Musica in Prossimità 2023 evocando i rischi, citati in apertura, insiti in una programmazione con questo taglio. Ci pare che nell’equilibrio delle scelte programmatiche le due esibizioni presso il Teatro del Lavoro, quella di Loup Uberto, ricercatore francese di melodie tradizionali, e quella di Roshin Sharafi, performer e sound artist iraniana, risultino le meno coinvolgenti per motivi comunicativi e contenutistici. Questo parere non incrina minimamente la filosofia complessiva che attraversa la rassegna, anzi, la rafforza dimostrando che quando si propongono più facce di una complessa contemporaneità ci si può esaltare ma anche, umanamente, annoiare.
Paolo Carradori
(1,2,3 dicembre 2023)
La locandina
I luoghi | |
Circolo Sociale | |
Teatro del Lavoro | |
Chiesa di San Giuseppe – Sala Italo Tajo | |
Teatro Sociale | |
Gli Artisti | |
Quartetto Maurice (Georgia Privitera violino, Laura Bertolino violino, Francesco Vernero viola, Aline Privitera violoncello) | |
Roshin Sharafi sound artist, performer, compositrice | |
Anna D’Errico pianoforte | |
Loup Uberto ricercatore di canti tradizionali | |
LAB51 (Johanna Vargas soprano, Magdalena Cereso pianoforte) | |
Zebra Katz rapper, producer, cantautore e performer |
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