Pisa: uno Chénier interlocutorio

Il Teatro Verdi di Pisa si fa capofila inaugurale di un nuovo allestimento di Andrea Chénier, in coproduzione con sei fratelli sparsi per il centro-nord, ed apre la stagione in un trionfo di pubblico.

Il trionfo, però, necessita di essere mitigato, perché anche se il pagante apprezza, non sempre significa che tutto sia andato per il meglio. Chénier, infatti, come altre opere del medesimo repertorio, è assai difficile da dirigere (o si risolve andando al sodo, o si corrono rischi calcolati), soprattutto per questioni stilistiche ancor prima che tecniche: in buona sostanza è fondamentale che il podio abbia le idee chiare, in linea col senso intrinseco della partitura, e che tali idee possano collimare con le necessità del palcoscenico, di cui va tenuto particolarmente conto se due dei tre interpreti principali, come in questo caso, sono al debutto.

Peccato allora che Francesco Pasqualetti, che conosciamo quale direttore solido e affidabile, abbia diretto l’opera unendo al suo solito controllo orchestrale – buona la prova dell’Orchestra Filarmonia Veneta – una pesantezza ed una lentezza inaspettate.

Il primo quadro, con l’oasi bucolica e la gavotta, con quell’aria “falsamente” settecentesca, è certamente il migliore dei quattro, cesellato e ben descritto. Tuttavia, s’insinua già una tendenza ad allargare le frasi che fa sorgere dei dubbi. I dubbi, ahimè, trovano conferma nei quadri successivi, in cui c’è perdita di ritmo e l’incalzare del dramma si raffredda, sacrificato in favore di certi allentamenti che, se nei frangenti più lirici ed intimi potrebbero avere senso, lo perdono quando si scontrano con le difficoltà dei cantanti: la frase “Ora soave, sublime ora d’amore” sembra non finire mai e tutto il duetto costringe gli artisti a dare (troppo) di più; La mamma morta è così diluita, quasi rotta nella linea musicale stirata, che viene da togliersi il cappello davanti alla “prova del fiato” di Maria Teresa Leva; sentiamo lo stesso desiderio, durante l’ultimo quadro, verso Angelo Villari, mai percepito così sotto sforzo eppure concentratissimo nel restituire l’afflato romantico e drammatico del poeta.

Per entrambi – concesse le attenuanti del debutto e della bacchetta – c’è ampio margine di miglioramento, come è lecito che sia, eppure le intenzioni sono già lodevoli e la cura del fraseggio, del senso dietro le parole, apprezzabile: la Leva ha bello strumento, non amplissimo ma penetrante quando necessario; Villari ha canto sia vigoroso che sfumato, nonostante alcuni acuti un po’ crescenti. Da riascoltare tutti e due.

Angelo Veccia è colui che pare seguire meglio la direzione, ricorrendo a tutto il suo mestiere per restituire, con voce e recitazione, la doppia anima di Gérard: se la linea di canto non è sempre immacolata e il timbro si mostra a tratti un po’ ruvido, la potenza vocale ed espressiva è invece imponente ed incanalata a dovere. Sia il lamento minaccioso del primo quadro che il monologo del terzo innescano, giustamente, gli applausi a scena aperta più calorosi della serata. Eccellente la Bersi di Shay Bloch; vocalmente meno a fuoco la Contessa/Madelon di Alessandra Palomba.

Davvero ben assortito lo stuolo di comprimari maschili – centrati e ben cantati – che contribuiscono in modo decisivo alla descrizione del microcosmo dell’opera. Bene anche il Coro Arché, specialmente nel primo quadro.

Andrea Cigni, direttore artistico del Ponchielli cremonese e del Festival Monteverdi, è un lungimirante ed aperto uomo d’arte, cui piace rischiare e puntare sul nuovo (basta vedere la programmazione del Festival). In questo caso, la sua regia è forse incardinata su stilemi classici – già visti nell’impostazione delle scene, nella gestione delle masse e dei rapporti tra i personaggi – perché c’è da mettere d’accordo teatri e pubblici eterogenei, di zone provinciali poco inclini agli azzardi.

Va detto, però, che il meccanismo funziona in modo impeccabile – al di là di due intervalli che ci son parsi troppi – e che tutto è gestito con estremo gusto e mano sapiente, capace di imprimere personalità anche in uno Chénier quanto mai tranquillizzante.

Destabilizzante, invece, l’arringa accusatoria di Gérard, durante la quale si sono accese le luci in platea e Veccia si è rivolto al pubblico: la casa dorata e qualche anzianotta in seta ed in merletti hanno tremato un poco. Io mi sono sfiorato il collo: era solo un brivido di freddo poco sotto l’attaccatura dei capelli.

Mattia Marino Merlo
(25 ottobre 2024)

La locandina

Direttore Francesco Pasqualetti
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Chicca Ruocco
Luci Fiammetta Baldiserri e Oscar Frosio
Personaggi e interpreti:
Andrea Chénier Angelo Villari
Maddalena Maria Teresa Leva
Gérard Angelo Veccia
Bersi Shay Bloch
La Contessa di Coigny/Madelon Alessandra Palomba
Roucher Alessandro Abis
Mathieu/Fléville Fernando Cisneros
Un incredibile/L’abate poeta Marco Miglietta
Schmidt/Fouquier Gianluca Lentini
Il Maestro di Casa/Dumas Giorgio Marcello
Orchestra Filarmonia Veneta
Coro Arché

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